(campeggio Pra Vey)
23 km
Niente da fare: dormire su tavoli affiancati è una stupidaggine. Sarà per il senso di precarietà o chissà che altro, ma ancora una volta passo una notte veramente brutta, svegliandomi in continuazione. Fortunatamente la giornata inizia comunque bene, grazie all’arrivo di Filippo che, premurosissimo, mi porta caffellatte e savoiardi. Questa persona è un vero angelo.
Partenza alle sette in punto. Tutto entusiasta, scendo per la valle seguendo la via tracciata ma, arrivato alla Dora, trovo una gran cancellata chiusa. Siamo in corrispondenza dei cantieri per la TAV e questo è il motivo dell’interruzione.
In realtà ero stato avvisato che sarebbe potuto succedere, e prima di scendere ho superato delle barriere con dei cartelli affissi, ma senza leggerli. Mea culpa, ho tentato. Davanti a me, oltre il cancello, due carabinieri a fare picchetto. Faccio il finto tonto, implorando pietà e mostrando zaino e conchiglia, ma comprensibilmente vengo rimbalzato.
Tornato sui miei passi, opto per l’unica alternativa: la statale. Non certo una bella esperienza, ma per fortuna passano poche auto e c’è sufficiente spazio per camminarvi a lato.
La freddezza del tappeto d’asfalto e dei guardrail, ancora in ombra insieme a metà della valle, è temperata dalla bellezza inaudita di quelle montagne già baciate dal sole. Il cielo è limpido, le cime spoglie sono rosa come pompelmi. Fin da Chiomonte godo di questa tavolozza e mi è difficile trattenere un sorriso di meraviglia e gratitudine.
La quotidianità di questi sentimenti è una delle caratteristiche maggiori dell’esperienza, tanto quanto il mio continuo scorrere tra luoghi e persone.
Tra l’altro, proprio le rivoluzioni a cui mi sottopongo ogni giorno sembrano rafforzare quegli stessi sentimenti eccezionalmente positivi: pace, meraviglia, gratitudine, consapevolezza. Sono scoperte favolose.
In corrispondenza di un secondo ponte a valle, riesco a ricollegarmi alla Francigena e dopo mezz’ora sono di fronte al Forte di Exilles, un complesso fortificato tra i più importanti del Piemonte. Svetta al centro della valle, facendo intuire quanto efficace possa essere stato nelle epoche passate. Militarmente risulta in disuso dal ’43, ma da molti anni è diventato sede di un museo. La salita rettilinea che porta all’ingresso è piuttosto ripida, ma percorrerla è emozionante, e arrivati in fondo tutto sembra ancora più monumentale. Purtroppo le porte sono chiuse ma, voltandomi, la visione della valle è splendida, così mi godo almeno quella.
Scendo poi verso Exilles, dove avevo prenotato un alloggio già dopo Torino, ma che ieri ho disdetto. È un piccolo borgo e l’attraverso solamente lungo la breve e stretta via principale, ma tanti dettagli me lo fanno piacere particolarmente. Tra questi, il fatto che attività di base come la panetteria, il macellaio o la sartoria, condividano un unico stile per le loro insegne, qualcosa di vagamente retró. In realtà, qualcosa mi fa pensare che in alcuni casi stiano ad indicare l’attività che lì c’era storicamente, e non una esistente, ma il mio passaggio è troppo veloce per verificarlo.
Ci sono anche cartelli informativi, fotografie e mappe che aiutano meglio a calarsi in quella che era Exilles nel passato, e tutto questo nelle poche decine di metri su cui sviluppa l’abitato! Anche l’uscita è molto bella: il paesaggio si apre e si incontrano suggestivi lavatoi, una chiesetta, case ben curate, muretti a secco e tantissima vegetazione.
Si prosegue su asfalto, scendendo di nuovo a valle e attraversando un altro ponte, oltre il quale comincia una salita non da poco. È quella che mi porta in una delle aree forestali più incantevoli che abbia visto: il Parco Naturale del Gran Bosco di Salbertrand. Il nome è altisonante, ma è un’area che rivela presto la sua straordinarietà, ben all’altezza del titolo che porta. C’è un’atmosfera magica e solenne; qua e lá, tra i grandi alberi, posso scorgere le montagne dall’altro lato della valle, illuminate da una luce che ancora qui manca.
Nei pressi del forte di Sapè, che si intravede appena perché immerso tra la vegetazione, qualcuno sta bruciando qualcosa e il fumo rende ancora più visibili i raggi del sole che penetrano tra i rami. Poco più in là, il bosco si apre e sulla mia destra un largo prato verde scivola verso un piccolo agglomerato di case in pietra, bellissime. In mezzo al prato, un covone sostiene un’asta su cui sventola una bandiera rossa. Nel mezzo c’è stampato un simbolo giallo ed elegante che non so riconoscere. Mi fermo per un paio di minuti a fare qualche foto, e scorgo una coppia spuntare da una casa per occuparsi di qualche faccenda. I nostri sguardi si incrociano, ci salutiamo, mi chiedono dove stia andando e restano felicemente stupiti dalla mia risposta. Gli domando della bandiera, e mi spiegano essere quella dell’Occitania, un nome che però non collego a nulla. Con incredibile gentilezza, mi invitano a proseguire il nostro dialogo davanti a una tazza di caffè. Ne approfitto entusiasta.
Si chiamano Laura e Gigi, quella è la loro seconda casa e la stanno ristrutturando piano piano. Gigi mi affascina parlando dell’Occitania, accennando alla sua storia, alla sua lingua, alla cultura che vi si associa. Mi entusiasma pensare anche che il mio tragitto andrà proprio ad attraversare le terre che storicamente si associano a quel nome. Conversiamo molto piacevolmente, mentre Laura porta in tavola pani e mieli diversi e deliziosi. Il sole arriva a baciarci e tutto sembra perfetto, tanto che rimango addirittura quaranta minuti, seguendo Gigi mentre mi mostra gli ingegnosi macchinari che lui stesso ha costruito per lavorare alla ristrutturazione della casa.
Quando torno sui miei passi ho la pancia e il cuore pieni. Il Parco, però, non è ancora finito, e mi aspetta anche una cosa molto speciale. Proseguendo lungo il fantastico sentiero detto “dei Franchi”, infatti, avvio una diretta streaming con Genova. Per che cosa? Per il matrimonio di mio cugino! Un’esperienza più unica che rara: camminare in scenari favolosi verso Santiago mentre si segue un matrimonio lontano a cui si tiene moltissimo. Passo ore splendide nelle quali, oltre allo spettacolo della cerimonia, tutto attorno a me è una fioritura di dettagli impagabili, per lo sguardo, per il corpo e per l’anima. Consapevole di star vivendo una gioia rara che sembra affiorare senza sosta sul mio viso, mi diverto a tentare di immortalarla con qualche foto. Faccio bene, perché quando riguardo quegli scatti vedo la parte migliore di me. Sia un promemoria per il futuro!
Mi fermo per far pausa su una panchina al sole, messa lì per godere dello spettacolo del magnifico Lago Orfù, a fondo valle, dove qualche bagnante sta anche azzardando un bagno.
Infine, riparto e scendo, raggiungendo Gad, una bella frazione di Oulx, il comune dove termina la mia tappa di oggi e che raggiungo poco dopo.
Prima dal centro, incontro il campeggio Pra Vey, dove dormirò.
Trovata la piazzola, sistemo la tenda e faccio conoscenza con due bambini che mi gironzolano attorno incuriositi e poi con il padre di uno di questi, con cui resto a fare due parole. È sempre bello e mai scontato poter socializzare in un luogo dove si è appena arrivati.
Dopo una doccia, vado al supermercato di fronte a fare un po’ di spesa, dopodiché approfitto di uno dei tanti negozi sportivi per chiedere aiuto. La linguetta frontale delle scarpe, infatti, si è staccata ancora, il che significa che la colla di Filippo non è adatta. La cosa mi preoccupa molto, ma riesco a restare ottimista. Fortunatamente, trovo un negoziante molto gentile che mi propone di usare una sua colla “speciale”, a suo dire, che funziona alla grande e che alla fine ricevo pure in regalo. Io lo ringrazio vistosamente, anche se più tardi scopro che, aldilà della innegabile cortesia della persona, la colla non era altro che un piccolo campione di comune Attack. In fondo è un ottima notizia. Se funzionerà a dovere saprò che basta quella colla tanto comune per poter risolvere i miei problemi.
Oulx è un bel paese, molto vivo. Un crocevia per tante persone e turisti, ricco di servizi e ben tenuto. Anche qui i fiori non mancano. Ormai, insieme ai lavatoi, sono diventati una piacevolissima costante lungo questo tratto.
In centro paese, domando per la chiesa e, lungo la strada, mi imbatto nel sacerdote che sta uscendo da un negozio. Gli chiedo se c’è qualcuno alla parrocchia che possa timbrarmi la credenziale. Mi risponde di sì, ma in maniera un po’ strana; io comunque mi incammino fiducioso. Arrivato in cima alla salita, lo vedo uscire da una macchina fuori dalla porta. È tornato apposta per me perché probabilmente la verità è che in casa parrocchiale non c’è nessun’altro. Beh, a conti fatti è stato molto gentile.
La sera ceno al caldo presso il bar del campeggio, e fuori, poi, ho il piacere di conoscere diverse persone tutte insieme. Innanzitutto Caterina e Cynthia, una coppia di simpaticissime amiche, poi Loris, un trentanovenne di Torino, ex scout, che mi dice che a diciott’anni ha raggiunto Santiago in 35 giorni da Torino, camminando sessanta chilometri al giorno assieme ad un’amica. Rimango davvero stravolto da questi numeri. Il racconto sembra abbondantemente improbabile, ma non riesco a respingerlo e quei numeri si annidano in me fin da subito, come un’inutile e fastidiosissima pietra di paragone.
In ogni caso, ai tre si aggiunge una quarta persona, Jacqueline, una donna apparentemente sui cinquant’anni, ma non posso dirlo con certezza perché i segni sul suo volto, pur luminoso e sorridente, raccontano fin dal primo istante di anni vissuti con qualche difficoltà fuori dal comune. Una mezzora con lei e le altre due donne mi regala l’opportunità di conoscersi un po’ meglio. Jacqueline ha un’aura intensa e magnetica, e allo stesso tempo profondamente buona. Si coglie il lavoro che lei ha dedicato a comporre la sua pace interiore nonostante gli inciampi della vita. Mi esprime il desiderio che io passi a prendere un caffè nel suo bungalow domani mattina, prima di partire. Accetto volentieri.