(Casa parrocchiale)
29km
La colazione era inclusa nel prezzo, così ho modo di salutare Michel, che si alza alla mia stessa ora per prepararla.
Non si può certo dire che abbiamo ingranato molto. Ad ogni modo, l’esperienza di cammino ha la particolarità evidente di dire addio ogni giorno a luoghi e persone. Può sembrare una cosa difficile, ma confesso che – nel mio caso – la gioia degli incontri e le scoperte quotidiane ha sempre prevalso sul rammarico dei continui commiati. In alcuni casi, è stato anche un sollievo lasciarsi alle spalle qualcosa o qualcuno, e ammetto che l’esperienza qui a Juzet-d’Izaut rientra in questa categoria.
Il clima e il cielo non sono affatto male. I chilometri iniziali sono lungo un sentiero ondulato immerso tra campi, prati e pascoli recintati. I versi degli animali e i suoni della natura mi regalano una pace preziosissima, colorata dalle tenui sfumature dell’aurora.
Giunto al villaggio di Cazaunous, attraverso un ponticello in pietra che dà inizio alla prima salita del giorno. Tagliando alcuni tornanti, raggiungo piani diversi del paese. Seppur su asfalto, mi godo una traversata di tre chilometri nel bosco, fino al Col de Ares. Da lì poi scendo fino a Saint-Pé-d’Ardet: un paesino particolarmente bello, con diverse ville sontuose circondate da grandissimi giardini. Mi colpisce talmente che tradisco il percorso per esplorare un po’ i dintorni. Facessi sempre così, non arriverei più alla meta, ma ogni tanto alcuni luoghi riescono a sedurmi e faccio eccezione. Ne sto incontrando moltissimi, devo ammetterlo.
Ormai ho percorso circa tre quarti delle tappe tra Alpi e Pirenei. La Francia se non mi ha ancora conquistato, poco ci manca. Prima di partire non sapevo nulla di ciò che avrei incontrato. Arrivato qui, però, sento che ormai tutta questa bellezza è riuscita ad entrarmi sottopelle, e che anche tutte le difficoltà incontrate abbiano contribuito a questo risultato. Certo, forse è anche una lettura ottimistica per superare gli strascichi della disavventura di ieri, ma scelgo di tenermela stretta comunque.
Torno sulla rotta del GR, arrivando a un laghetto niente male appena fuori dalla cittadina. L’area attorno è attrezzata con tavoli, e a uno di questi c’è un gruppo di giovanissimi viaggiatori che sta facendo colazione. Mentre mi perdo nelle fantasie di un viaggio in un furgone come il loro, un asino che sta dietro una rete a pochi passi da me comincia a ragliare fortissimo, per un tempo che mi pare non finire mai.
Con le orecchie che mi fischiano, e tra le risate sommesse dei ragazzi, mi allontano fino ai piedi di una bella falesia, per poi scendere lungo un sentiero dietro al lago.
Mi ritrovo per un centinaio di metri in un piccolo bosco umido in cui tutto è avvolto dal muschio, in maniera molto simile a qualcosa già visto ieri.
Appena ne esco, sento il verso fortissimo di un rapace. Passa una ventina di metri sopra la mia testa e la particolarità è che, appena termina il suo stridere, il campanile suona dieci rintocchi. Non vorrà dire nulla, ma la sincronia mi lascia incantato per qualche secondo.
In pochi minuti, ben due fortissimi versi di animali hanno fatto irruzione nella calma del mio camminare. Mi è quasi impossibile considerarli semplici eventi fortuiti. Il pellegrinaggio, ormai, mi spinge a raccogliere e custodire, e non posso ignorare una simile concordanza di eventi. Forse non sveleranno nessun significato, non si legheranno a nient’altro, ma di certo resteranno lì, nella memoria, non meno di un sorriso inatteso o del sapore del mio primo mauresque.
Alla fine della radura, entro a Génos, un’altra graziosa cittadina. Nonostante ci siano giusto quattro vie, riesco a perdere la svolta giusta a causa di una telefonata. Per fortuna incrocio diverse persone, e una di queste mi avvisa che sto sbagliando strada, indicandomi quella corretta.
È l’inizio della seconda salita della giornata. Saranno circa 500 metri di dislivello spalmati su 4 km. Il primo tratto, tutto sviluppato in un bosco con alberi molto grandi, si rivela particolarmente duro, ma le gambe si sono rafforzate ed ora mi è più facile gustare anche questo genere di fatiche.
A un certo punto scelgo di deviare di qualche centinaio di metri verso i resti un’antica chiesetta, dove sembra ci sia un belvedere non male. L’edificio si chiama Notre-Dame-du-Bien e, in effetti, si dimostra un luogo suggestivo, perfetto anche per un piccolo break.
Tornato poi sul sentiero, continuo la salita, fattasi molto più accessibile. Il bosco regala pochi scorci sul paesaggio attorno, ma quando capita è un godimento, soprattutto per la presenza di altre montagne già tutte colorate di giallo e di arancione.
L’arrivo al punto più alto del mio percorso (nemmeno 1000 m, in realtà) non è per niente entusiasmante. Alte conifere impediscono ogni visuale sulla valle e la terra è incredibilmente fangosa a causa del passaggio di grandi mezzi per il disboscamento. Sembra di stare in un cantiere, peccato. Inizia però la discesa, e dopo quaranta minuti mi riappacifico con la montagna sbucando in un’ampia radura erbosa che il sentiero taglia esattamente a metà. Proprio al centro, succede per la seconda volta che un rapace passi sopra di me esplodendo il suo verso, e di nuovo mi sale un brivido d’emozione lungo la schiena.
Parte da lì, poi, una discesa asfaltata lungo la quale è disposta qualche panchina, in corrispondenza di splendidi punti panoramici sulla piana sottostante. Questa è tagliata dal corso sinuoso della Garonna e delimitata da montagne i cui pendii salgono con dolcezza dal fondovalle. Proprio ai piedi di uno di questi c’è il piccolo colle su cui svetta nitidamente la cattedrale di Saint-Bertrand-de-Comminges. È là che sono diretto. In linea d’aria saranno cinque chilometri, ma la strada che dovrò seguire per arrivarci è lunga più o meno il doppio. Difficilmente troverò un posto migliore di questo per fare pausa, quindi anticipo quella che avevo in mente e mi godo la vista per una decina di minuti.
Una volta ripreso il cammino, arrivo a valle in un attimo, in corrispondenza del comune di Barbazan. Per me è solo un luogo di passaggio, ma rimango molto stupito attraversando l’area delle vecchie terme, in disuso da una ventina d’anni. C’è un grande parco non recintato con viali costellati da numerosi platani molto alti. Ad evocare i fasti di un tempo ci pensano un lungo ed elegantissimo porticato, uno splendido chiosco art-nouveau e i resti di una chiesetta lasciata incompiuta. Con spunti simili, è facile perdersi a immaginare quel luogo nei suoi anni migliori.
Attraversata poi la Garonna, eccomi nella cittadina di Loures-Barousse. Non è memorabile, a dire il vero, ma mica ogni paese può esserlo. Forse però la ricorderò per un curioso dettaglio: la statua di un soldato dedicata ai morti in guerra. Il motivo è che anche questa è stata verniciata in maniera davvero discutibile, come anche un’altra vista ieri a Juzet-d’Izaut, o come tanti crocifissi che sto incontrando ultimamente. Dev’essere forse la moda del momento, perché sono interventi evidentemente recenti.
Dopo aver fatto scorta di cibo al supermercato, riprendo il GR78 e cammino in mezzo ai larghi appezzamenti pianeggianti per una trentina di minuti, fino a raggiungere la parte bassa di Saint-Bertrand-de-Comminges. Il tragitto mi fa costeggiare un piccolo canale che – curiosamente – corre anche all’interno della piazza del paese, tra l’altro deliziosa nella sua rusticità.
Poco dopo, algo la scalinata che mi porta all’ingresso della cittadella fortificata, le cui vie mi proiettano suggestivamente indietro nei secoli molto più di quanto non mi sia successo a Carcassonne. La vista dell’antica cattedrale mi affascina moltissimo, con quella strana torre che domina la facciata. L’interno non è da meno. In mezzo alla navata sta un alto coro ligneo, la cui particolarità è quella di sembrare una specie di chiesa nella chiesa. Le sue pareti, infatti, vanno a chiudersi a ridosso del presbiterio, lá dove si celebra il rito. Riesco a vedere l’altare e i preziosi stalli che stanno all’interno spiando da un minuscolo spiraglio, perché purtroppo non ho tempo per la visita guidata. Uscendo, poi, ho occasione di apprezzare anche uno straordinario organo, posto in una posizione rialzata molto originale, simile a quella che di solito è riservata ai vecchi pulpiti.
Una volta fuori, contatto la signora che si occuperà della mia sistemazione presso l’ostello pellegrino dentro la casa parrocchiale, e resto ad aspettarla in piazza. Arriva poco dopo, molto sorridente e gentile; mi dice di chiamarsi Maïté.
Il luogo dove mi accompagna è affascinante e spazioso, si percepisce sia di un’altra epoca. Ha un giardino interno che posso scorgere attraverso le vetrate di un lungo corridoio che forse una volta era un chiostro. Le stanze, poi, hanno grandi finestre affacciate sulla vallata, ed essendo in alto, la vista è spettacolare.
Come da accordi telefonici, oggi accetto volentieri un pasto cucinato dalle premurose mani della signora. Prepara un originale piatto di sua invenzione, che oggi si direbbe “fusion”, per la combinazione tra elementi orientali e occidentali. Condividiamo la tavola e le nostre esperienze. Scopro che il suo nome originale è Nami, e che è franco-giapponese. Per due terzi della vita ha lavorato nell’ambito della moda, ma da molto tempo ha fatto la scelta radicale di dedicarsi al servizio della Chiesa. L’esistenza non le ha risparmiato profonde sofferenze, ma dice di trarre enorme forza dalla fede che ha dentro.
Vado a dormire molto felice di averla conosciuta, anche se non è stato facile accogliere l’intensità degli eventi di cui mi ha parlato e dei sentimenti che mi ha descritto. È un’anima molto preziosa.
Sono tante le persone che si sono aperte con me finora senza mai avermi visto prima. Mi rendo conto più che mai che le loro storie rimarranno dentro di me; non so quanto e non so come, ma sarà così. Chissà cosa rappresenterà per la mia vita futura tutto questo? Non lo posso sapere, ma è la cosa che più si avvicina a quello che sognavo fin da ragazzo: girare il mondo e ascoltare le storie delle persone più diverse, faccia a faccia, a cuore aperto.
Da questa prospettiva più di ogni altra, ho l’impressione di cogliere l’incalcolabile valore dell’essere umano all’interno di questo mondo pieno di bellezza.
No, non voglio dimenticare mai.