(da Sylvie)
24 km
La sveglia oggi è qualcosa di memorabile. Tutto il popolo del campeggio è in fermento perché oggi è il grande giorno: ha inizio la raccolta delle mele. Una volta pronti, vedo tutti salire sui propri mezzi e partire quasi contemporaneamente per i meleti. Sono uno sciame operoso e colorato, tanti cuori pieni d’amore per la libertà.
Io parto insieme a loro. Ovviamente sono l’unico a piedi, e molti mi salutano con il clacson o dai finestrini.
La caviglia non sembra malissimo. Oggi, comunque, scelgo per prudenza di rinunciare al sentiero e di camminare lungo la strada a valle, quella tanto ostinatamente evitata da questo GR. Manco quindi l’appuntamento con un sito collinare dal nome particolarmente tetro: il Passaggio dell’Uomo Morto.
In realtà, salterò un’intera tappa, perché la strada mi porterà dritta a Sisteron.
Secondo il tracciato originale sarei dovuto salire circa a 1000 m d’altitudine, presso una località chiamata Saint-Geniez, ipotetica meta di tappa, per poi scendere a Sisteron domani. Non me ne rammarico troppo; non volendo rischiare di peggiorare la mia situazione, ho fatto la scelta più prudente. Spero tutto fili liscio.
Studiando la mappa, trovo il modo di percorrere i primi due chilometri lungo una mulattiera nella campagna di fianco alla dipartimentale, in un’atmosfera calmissima, tra meleti, terreni incolti e tanto silenzio.
La prima luce arriva sempre riflessa, prima dal cielo e poi dalle cime nude, e per qualche ora la valle rimane immersa in un’ombra azzurra.
La mattina presto sembra fatta per essere vissuta nella contemplazione. Tutte le forze opprimenti con cui spesso ci confrontiamo sembrano restare in sospeso: sono ore di vero nutrimento.
Con questo spirito, e sostenuto dalla gioia e dalla libertà del camminare, riesco ad accettare senza troppo dispiacere il finire della prima parentesi campestre e l’arrivo alla strada principale.
Non ci sono corsie pedonali e lo spazio che ho a disposizione in certi punti è minimo, imponendomi grandissima attenzione. Il traffico non è molto, ma mi devo sempre fermare per lasciare spazio ai mezzi più grandi. C’è però una grande cortesia: tutti i veicoli, superandomi, si spostano abbondantemente verso il centro della strada. Da questo punto di vista, in Italia ho ricevuto raramente lo stesso trattamento.
Anche Simone – il mitico pellegrino incontrato a Lignana – confermava questa mia stessa impressione. La cosa più divertente era una sua ferma convinzione: la categoria che meno si sposta per evitare il pellegrino a lato della carreggiata sono le donne di mezza età, come se vogliano insegnargli che lì non ci deve stare. Personalmente, confesso di non averlo notato, quindi lascio che questa resti una simpatica leggenda pellegrina.
La strada si snoda a fianco del Torrent du Grand Vallon che poi affluisce nel Le Sasse, un po’ più grande. In entrambi i casi, per me oggi tutto si limita ad un gran letto ghiaioso con pochissima acqua, mentre sulla mia destra si impennano le pareti rocciose dei monti che non ho salito.
Raggiungo il minuscolo paese di Nibles, leggermente scostato dallo stradone. Riempio la borraccia e faccio una pausa per far riposare la caviglia. Di fronte a me posso vedere l’altipiano su cui sarei dovuto teoricamente arrivare oggi, ma non me ne faccio un cruccio; sono contento di sperimentare che effetto possa fare percorrere questa valle da quaggiù. Avanti tutta, quindi!
Tornato sulla larga carreggiata, lo scenario cambia: la strada si allontana dal torrente, si restringe e comincia a salire lungo il pendio della montagna, regalandomi qualche bel panorama. Ai lati, si fanno più frequenti campi e case sparse.
Il sole si alza sempre più e comincia già a cuocere un po’. L’asfalto non è quasi mai un buon amico, ma le caratteristiche complessive del tragitto sembrano più che accettabili e la tappa è comunque più gradevole del previsto.
Dopo qualche ora di cammino non particolarmente memorabile, raggiungo le prime aree residenziali della periferia di Sisteron, un’area che credo si chiami Plan-de-la-Baume.
La maggioranza delle case sono color beige, a differenza del gran concerto di colori visto in tante località attraversate nei giorni scorsi. Non c’è più traccia dello stile tipicamente montano di certi paesi. Anche i giardini sono allestiti e curati diversamente; d’altronde il clima è diverso, e già si sente.
Spostarmi con lentezza mi piace anche per questo: posso accorgermi chiaramente di star entrando in un territorio completamente nuovo. A volte il segnale più nitido è la natura che cambia – non solo nei giardini, ovviamente. In altri casi, ciò che si trasforma maggiormente sono le abitazioni e il modo in cui un territorio viene abitato. Capita anche che siano i semplici confini amministrativi la soglia di passaggio a scenari inediti, come successe quando entrai in Francia.
Non credo sia una caso che io stia facendo certe riflessioni poco prima di raggiungere Sisteron, soprannominata “la porta della Provenza” – un appellativo non solo simbolico. Infatti, all’ingresso della città si elevano due imponenti speroni rocciosi tra i quali passa la Durance. È una meraviglia: come Scilla e Cariddi, sembrano davvero minacciare chi voglia proseguire.
Su quello di destra si erge la cittadella fortificata, mentre a sinistra si innalza la Rocher-de-la-Baume, una cresta rocciosa mozzafiato.
Salendo verso il centro storico della città, prima di perdermi tra le vie piene di negozi e locali – ahimè perlopiù chiusi – mi volto a contemplare quello zoccolo enorme, fatto da strati spessi metri, scivolati uno sull’altro fino al cielo. Tra di essi, profonde scanalature che creano disegni ipnotici e pare rendano la parete perfetta per essere scalata.
Una volta sazio di quello spettacolo, gli volto le spalle e affondo nella città. Le vie sono piuttosto pittoresche, ma ci sono pochi visitatori. La chiesa e la cittadella sono chiuse, così mi dirigo all’ufficio turistico per farmi timbrare la credenziale. Sta di fronte a un crocevia attorniato da alcune fortificazioni e qualche piazzetta. Ovunque c’è una grande abbondanza di fiori, ma la cosa più originale sono gli addobbi per il recente passaggio del Tour de France. Questo piccolo centro è sicuramente uno dei più belli che ho visto finora.
Faccio rifornimento di cibo e mi fermo a pranzare in una piazza particolarmente graziosa: è occupata da un obelisco che fa anche da fontana, e sta a fianco di un’elegante torretta su cui campeggia il quadrante di un orologio.
Proprio lì incontro Sylvie, la persona con cui Marc mi ha messo in contatto per poter essere ospitato stanotte. Si presenta con due amiche, di certo non giovanissime, ma insieme emanano un’energia positiva strabordante. Mi spiegano che ora hanno in programma una breve gita, e mi invitano ad accompagnarle. Ringrazio, ma rifiuto per via della caviglia. Ci accordiamo per ritrovarci ancora qui al loro ritorno.
Prima di partire Sylvie ci tiene a chiarirmi che lei non abita a Sisteron, ma a Peipin, qualche chilometro più avanti. Scoprirlo mi dispiace, perché significa perdere l’opportunità di camminare quel tratto, ma il problema al piede oggi non mi avrebbe comunque permesso di andare oltre.
Quando ripartono, scelgo di andare a visitare la zona del lungo fiume e percorrere un pezzetto della sua bella promenade. Torvata un’aiuola ombreggiata e ben inclinata, mi sdraio e mi godo un pisolino a testa in giù – per dar beneficio alle gambe – regalando qualche sorriso ai passanti.
Le tre amiche tornano alla piazza prima del previsto e la loro telefonata mi sveglia di soprassalto. In quattro e quattr’otto raduno tutto e risalgo più rapidamente possibile, zoppicando vistosamente.
Le ritrovo ancora molto allegre, così chiedo che tipo di gita abbiano fatto in così poco tempo. Pare si siano immerse in alcune strane vasche sul monte di fronte, qualcosa per riallineare le energie interiori, se ho capito bene. Beh, davvero un trio originale!
In auto, Sylvie mi spiega che la Via Domitia passa sui colli che ora stiamo costeggiando. Praticamente, ho bruciato due tappe in un giorno solo. La mia caviglia, però, tira un sospiro di sollievo; le ho risparmiato un saliscendi che avrebbe mantenuto troppo viva l’infiammazione, anche se ho il presentimento che avrei attraversato scenari splendidi. Metto in conto, promettendo a me stesso e al cammino che salderò il debito in futuro.
Prima di arrivare a destinazione, lasciamo a casa le amiche. Il viaggio insieme, pur breve, è stato delizioso. Resto allibito dall’età della più anziana, per il semplice fatto che è incredibilmente in forma. Mi spiegano poi che è insegnante di yoga e che è stata lei a proporre la gita di prima. Evidentemente deve sapere il fatto suo.
Arrivati a casa di Sylvie, resto meravigliato: è totalmente diversa da quella di Claire a Prunières, ma ha comunque mille particolarità che la rendono a sua volta calda, originalissima e piena di carattere.
Anche in questo caso confesso le mie impressioni alla padrona di casa e al cordialissimo marito. Mi raccontano che l’hanno costruita loro stessi in un paio d’anni, con l’aiuto di alcuni amici e… di un libro: un testo scolastico del ‘79 per muratori. Da non credere!
Come da Claire e Jean-Paul, l’abitazione è ricolma d’arte: dal grande e bel mosaico che hanno realizzato per decorare la vasca da bagno, fino ai tanti quadri dipinti da lui, che è pittore – oltre che imbianchino e insegnante di sostegno.
Faccio la prima lavatrice da parecchio tempo, mi do una sistemata, riposo un po’ e poi ci riuniamo per un aperitivo.
Io spendo il mio pessimo francese, graziato frequentemente dalla gentilissima Sylvie, che sceglie di mettersi in gioco col suo inglese raffazzonato pur di mettermi a mio agio. Faticherà così per tutta la serata, regalandomi la più grande dimostrazione di cortesia ricevuta in terra francese.
Come se non bastasse, cucina anche una cena abbondante e molto gustosa: pasta con salsiccia come primo e poi una torta salata memorabile, con pomodori spellati e mostarda dolce. Concludiamo come meglio non si poteva, grazie a un bicchiere di genepì, che da settimane sembra essere il liquore del mio pellegrinaggio.
Scopro che è attivissima nella rete di associazioni amiche del Cammino e mi racconta alcuni dettagli e aneddoti rispetto alla progettazione della Via Domitia, al suo miglioramento costante, alle dinamiche e alle logiche associative. Per me sono informazioni preziose, che mi chiariscono alcuni aspetti a cui non avevo pensato. Scelgo di sottoporle con rispetto alcuni dei punti su cui rimango un po’ critico. Il tema centrale, ovviamente, è la durezza del percorso fatto fin qui, sviluppato su e giù da montagne e colline per uno scopo che spesso mi è parso tutto turistico, e che ha allungato vistosamente il mio tragitto verso la Spagna.
Con un leggero stupore, mi spiega che nessuno si sarebbe preso la responsabilità di far passare i pellegrini sulla strada a fondo valle, non essendo minimamente predisposta al passaggio pedonale. Avendolo sperimentato oggi, le do ragione, ma le espongo meglio le mie titubanze. Finisco col trovarvi una certa conferma: non sembra esserci stato un vero lavoro di immedesimazione nel pellegrino proveniente dall’Italia e diretto a Santiago, ma ha prevalso un approccio spontaneo di valorizzazione massima del patrimonio locale. Mi pare di cogliere che non sia stata esattamente una scelta consapevole, ma probabilmente il frutto di una naturale attitudine radicata in questo popolo. In effetti, la cura per la propria terra e la capacità di darle magnificamente risalto è qualcosa che ho potuto toccare con mano, fin qui, sia nel privato che nel pubblico.
Tutti visibilmente stanchi, finiamo con l’augurarci la buonanotte, felicissimi delle ore appena vissute. Davvero due persone dall’anima splendida ed eccezionalmente accoglienti!