(Albergue municipal Jesús y Maria)
20,5km
La notte non è andata male, ma ci svegliamo ancora carichi delle nostre preoccupazioni. Oggi però ci aspetta ancora una tappa breve, da prendere con calma. Arriveremo nella bella Pamplona e là cercheremo di raccogliere tutte le informazioni e le novità possibili. A quel punto ragioneremo di nuovo sul da farsi e prenderemo le nostre decisioni.
Stamattina ci regaliamo anche una colazione al bar, cosa molto rara per me. Peccato però che il proprietario ci presenti un conto oggettivamente sproporzionato, rovinandomi il piacere di questo piccolo lusso. Che fare, mettersi a litigare per qualche spiccio? Non vale di certo la pena, così porto pazienza e cerco di iniziare il cammino senza lasciarmi rovinare ulteriormente il morale.
Battendo ogni record, partiamo poco prima delle 9, con un cielo plumbeo e minaccioso. Spulciando la guida e parlando con Tiziano, scopro che oggi cammineremo su sentieri per lo più pedecollinari fino a Iruña, nome basco del capoluogo navarreno.
Saranno per lo più saliscendi molto accessibili che ci faranno percorrere tutta la valle di Esterìbar, solcata dal fiume Arga e dalla cosiddetta Carretera de Francia – una strada che collega Saint-Jean-Pied-de-Port proprio a Pamplona.
Poco dopo Zubiri, ci imbattiamo in una gigantesca cava che fa da scenografia al nostro cammino per qualche chilometro. È uno spettacolo particolarmente brutto, e istintivamente mi scopro a pensare ai cugini francesi, che di certo ci avrebbero fatti salire fino in cima alle colline piuttosto che farci camminare davanti a questo ecomostro. Temto di consolarmi ricordando a me stesso di stare percorrendo una rotta di pellegrinaggio secolare, piena di storia di cui anch’io ora sto entrando a far parte, ma il tentativo non sortisce l’effetto sperato.
Dopo i piccoli abitati di Ilàrraz e di Ezquìnoz attraversiamo un’area boschiva, oltre la quale incontriamo un gran capanno la cui facciata è totalmente dipinta con un caloroso benvenuto ai passanti nel Paese basco.
Il sentiero prosegue poi in maniera un po’ anonima, alternando tratti scoperti ad altri incanalati nella vegetazione. A differenza dei mesi passati, non perdo nemmeno un minuto sulle tracce Gps: le frecce gialle bastano e avanzano, e così mi rimane un bel boccone di tempo da godermi come meglio credo.
Qua e là Incontriamo alcuni pellegrini, la maggior parte dei quali già conosciuti nei primi due giorni. In qualche occasione mi ci affianco e cerco il dialogo, ascoltando le loro storie e condividendo la mia.
A dirla tutta, però, provo sentimenti ambivalenti: qualcosa del mio peregrinare tra Francia e Italia sembra continui a mancarmi, forse proprio quell’avanzare solitario vissuto per due mesi interi. Una seconda voce interiore mi ripete invece che cambiare è sano e parte nodale di questa esperienza.
Mi torna anche alla mente una frase che un amico mi rivolse tanti anni fa: “Ricordati che, se vuoi cambiare, non potrai più essere lo stesso”, un motto meno banale di quel che può sembrare. Era tutt’altra situazione, ma riesce lo stesso a scuotermi positivamente.
Sfioriamo il paesino di Larrasoaña e raggiungiamo Akerret, continuando tra piccole discese e salite ai piedi delle colline boscose. Ci conducono fino al fiume Arga, che attraversiamo presso Zuriain. Costeggiamo per un breve tratto la statale, e risaliamo infine fino al minuscolo abitato di Iroz.
Confesso che il ricordo di questa valle probabilmente non resterà impresso nel mio cuore, ma vale il discorso già fatto: il Cammino di Santiago è questo, e non è nato per essere innanzitutto bello. Quello che sto facendo non è turismo, o almeno non solo, ed è giusto che me ne ricordi.
Dopo un sottopasso, riemergiamo nei pressi di un’area barbecue pubblica. Non sta più piovendo, ma tira un gran vento e una pensilina coperta diventa il luogo perfetto per fermarsi a pranzare. Rigenerati, ripartiamo poi con calma, costeggiando la località di Arleta e la sua chiesetta, che regalano finalmente un po’ di grazia ai miei occhi affamati. Pochi minuti dopo si comincia a scorgere l’inizio della pianura urbanizzata, la Cuenca de Pamplona.
L’ultimo lembo del versante opposto è occupato da quartieri ben distinti, composti da villette tutte identiche tra loro. Sono disposte in maniera talmente ordinata e rigorosa da sembrare un grande gioco da tavolo. Non riesco a credere che urbanizzazioni simili possano giovare alla comunità di persone che li abita.
Comincio a desiderare ardentemente di arrivare in centro Pamplona, e incrocio le dita sperando che la periferia che attraverseremo non sia troppo male.
Finalmente a valle, oltrepassiamo il fiume Ulzama grazie all’antico ponte della Trinidad de Arre: un bel regalo per la vista e per lo spirito.
Siamo a sedici chilometri camminati fin qui, e d’ora in avanti gli altri saranno tutti per strade cittadine. A memoria, l’ultima area che ho percorso con una concentrazione simile è stata forse quella di Carcassone, quasi tre settimane fa.
Armati delle nostre mascherine, camminiamo in un clima urbano che percepiamo teso, frustrato, probabilmente anche a causa dell’imminente chiusura della regione.
Ci chiediamo come questa gente percepisca il nostro passaggio: chissà se si domandano che faremo ora, o se qualcuno è disturbato dalla nostra apparente noncuranza.
Sulla pagina Facebook di Tiziano una manciata di utenti che hanno commentato i suoi post sembrano perplessi, o a volte addirittura indignati: il nostro essere a zonzo nel pieno di questa situazione li turba. Personalmente, a parte alcuni casi, credo sia comprensibile; d’altronde la pressione che si è venuta a creare in tutto il mondo è davvero critica. Speriamo vada tutto bene, e non solo per noi.
Poco prima dell’arrivo, la rotta ci conduce lungo una strada secondaria che costeggia un grande campo. Per circa un chilometro ci liberiamo dalla congestione cittadina e riusciamo a tirare un po’ il fiato.
Dieci minuti dopo sbuchiamo a un passo dal Ponte della Magdalena: sormonta lo stesso fiume Arga le cui acque ieri avevano rigenerato alla perfezioni i nostri piedi.
L’antico arco di pietra è davvero elegante e le aree verdi lungo gli argini sono particolarmente curate: tutto inizia finalmente ad assumere il fascino che aspettavo. Mentre stiamo passando sull’altra sponda, comincia di nuovo a piovigginare e il vento parte a sollevare le prime foglie secche di quest’autunno spagnolo.
Le imponenti mura cittadine rievocano inevitabilmente quelle della mia Bergamo. Camminando tra i sentieri del parco che sta ai loro piedi, superiamo un grandissimo baluardo triangolare e iniziamo poi a salire, imbattendoci subito nel Portal de Francia. È chiamato così perché rappresentava l’ingresso principale per chi arrivava in passato da oltre i Pirenei, esattamente come noi oggi. Per un attimo resto letteralmente incantato dai meccanismi dell’argano che comandano il ponte levatoio, come se tornassi bambino.
La città è comprensibilmente semivuota, ma non per questo meno bella. La mia attenzione è catturata soprattutto dalla tavolozza di colori usati per le facciate, dalla raffinatezza dei tanti balconi e dalla pendenza alternata delle vie.
Siamo stanchi, ma felicissimi di essere qui. Di comune accordo, scegliamo di registrarci subito all’Albergue Municipal, di lasciare lì le nostre cose e dedicarci poi a fare un bel giro per il centro.
Alleggeriti dei nostri zaini, arriviamo in Plaza Castillo mentre ancora piove. È un luogo enorme, con un tempietto circolare al centro, simile a un chiosco per la musica. Percorriamo qualche via in cerca di un buon posto dove bere qualcosa, ma motli locali sono chiusi a quest’ora.
Dopo forse venti minuti perdo l’ispirazione: spiego ai ragazzi che preferisco rinunciare alla bevuta e dedicarmi invece a visitare un po’ la città. Loro non sono dell’idea però, così ci salutiamo e ci diamo appuntamento per l’ora di cena.
Giro prima un po’ a caso, ma poi mi nasce lo strano presentimento di starmi perdendo qualcosa di prezioso. Raggiungo quindi l’ufficio turistico, ma stranamente lo trovo chiuso. Decido così di andare in cattedrale, l’unico luogo di rilievo di cui sono a conoscenza.
È a due passi dall’albergue, ma la facciata non è appariscente come mi sarei immaginato e mi lascia un po’ titubante. Una volta dentro, invece, la mia impressione cambia rapidamente. L’architettura sembra piuttosto sobria, costruita con pietre color nocciola che mi trasmettono un senso di tepore.
Tutto ciò che vedo mi piace, ma niente supera la tomba monumentale posta tra le prime file di banchi, sotto all’altare. Non è interrata, e le statue d’alabastro dell’antica coppia di regnanti sono stese su un piano scuro a circa un metro da terra. Sono di una raffinatezza sconvolgente: ogni particolare mi cattura e continuo a girarci attorno per trovarne di nuovi. L’illuminazione è quella ideale e dà forse il suo meglio nella fascia inferiore, spartita in una serie di nicchie gotiche, ciascuna occupata dalla piccola statua di un monaco o di un cardinale. È una serie mozzafiato, seppur vagamente inquietante.
Visito anche il chiostro, rimanendo totalmente atterrito da tanta magnificenza. Le sue caratteristiche e la cura con cui è mantenuto lo avvicinano alla perfezione.
Accedo poi al museo diocesano presente all’interno del complesso, e anche qui mi trovo sommerso da una bellezza inestimabile. La cosa strana è che collezioni di questo genere, per quanto preziose e uniche, abitualmente non riescono ad incantarmi. Forse in questo caso il design degli spazi espositivi e la comunicazione incredibilmente efficace hanno saputo far la differenza, coinvolgendomi più del solito.
Inevitabilmente, torno al Municipal un po’ trasognato. Tiziano e Amedeo già stanno riposando sulle loro brande. Mi faccio una doccia veloce e usciamo a mangiare. Ci fa compagnia anche Zoe: continua il suo pellegrinaggio valorosamente, nonostante confessi molta fatica – in particolare a causa del dolore ai piedi. Provo ad aiutarla condividendo qualche dritta riguardo all’allacciatura delle scarpe, sperando possa esserle utile quanto lo è stato per me.
Scegliamo un bel bar-ristorante specializzato in cucina basca. Sembra un locale tra i tanti, ma il servizio e le pietanze si rivelano prelibatissime. Nonostante ciò, io mi limito a un semplice aperitivo, per risparmiare un po’; cenerò in albergue al nostro ritorno, con qualcosa preso in un piccolo supermercato oggi pomeriggio.
Ovviamente, passiamo parte del tempo a ragionare su che fare domani. Le posizioni sono simili a quelle di ieri sera, in particolar modo la mia: ancora non digerisco il confinamento regionale e l’idea di saltare delle tappe continua a sembrarmi un “tradimento”. Vorrei continuare solo con le mie gambe, passando il confine in un modo o nell’altro.
Purtroppo usciamo senza una soluzione, e continuiamo il confronto una volta ritornati in alloggio. È una struttura gigantesca, composta da un’enorme camerata divisa in due ali. Qui abbiamo modo di riunirci con una dozzina di altri pellegrini, più meno tutti già conosciuti, e valutare insieme le varie possibilità.
Alla fine, la persona che più di altre riesce a farmi demordere ragionevolmente è Serena, la veneta conosciuta ieri. Domani, però, non tutti adotteranno la stessa soluzione. Alcuni prenderanno l’autobus di prima mattina e si recheranno a Los Arcos, partenza dell’ultima tappa della regione. Da lì, entreranno camminando in quella successiva – La Rioja – concludendo la tappa a Logroño.
Io, Tiziano, Amedeo, Serena e le sue due compagne, invece, non prenderemo nessun autobus. La mattina partiremo da qui e cammineremo fino a Puente la Reina, dopodichè noi uomini ci trasferiremo a Logroño con un passaggio trovato per puro caso su Blablacar.
Ben altra situazione per le ragazze: la comunità dove vivono, infatti, si trova all’interno della stessa Navarra, e proprio lungo il Cammino. A loro, quindi, non basterà far altro che continuare il loro pellegrinaggio fino a casa, e semplicemente concluderlo lì.