(sala Caritas @ parrocchia di Santa Maria del Sole)
16 km
Anche stamattina spengo la sveglia prima che suoni. Nemmeno questa notte è stata il massimo, ma in fondo sono tutte prove: quelle che non ho fatto prima di partire, ovviamente.
La tenda, per esempio, comincia a farmi innervosire. Le ho provate tutte, ma non riesco a far sì che tutto il perimetro rimanga ben aderente per terra. Non ha paleria, e per tenerla in piedi si usano le racchette. Quindi alza qui, tira lá, smolla questo e tendi quello….niente!
Alcune fotografie sul web mostrano che non è un difetto, ma una sua caratteristica. Sarei disposto a farmi umiliare in tre secondi da un esperto campeggiatore, a patto che mi dica se sbaglio e dove sbaglio. L’unico modo che ho trovato per riuscirci aveva l’inconveniente di lasciare troppo molli i lati con le cerniere, e di notte hanno continuato a sbattere come vele di una nave in tempesta.
Chiaramente, a un certo punto ho rinunciato ad ogni altro tentativo e ho accettato tutti i disturbi possibili con rassegnata dignità.
Comunque ora eccomi sveglio. Cominciano i rituali di radunamento, sgonfiaggio, insacchettamento, piegatura, appallottolamento, e così via, fino a quando l’universo di cose che dava forma al mio piccolo habitat temporaneo si comprime nello zaino. E se non è magia, poco ci manca.
Mi piace un mondo anche guardarmi indietro dopo pochi passi, osservare l’erba schiacciata, i sassi usati per piantare i picchetti, pensare a quanto poco possa bastare a volte.
Oggi passerò sicuramente da Lodi. Insieme a Codogno, saranno le ultime tappe simboliche dedicate alla memoria della tragedia accaduta nei mesi scorsi.
Ho già adocchiato qualche paesino dove potrei chiedere ospitalità, vedremo se sarò fortunato. Per uscire da Spino torno sui passi percorsi ieri, proprio fino a quel ponte sotto il quale avrei dovuto dormire.
Da lì mi riaggancio alla ciclovia. Mi riporta in mezzo al verde, in scenari un po’ più ariosi di quelli del giorno prima. Riesco anche a vedere il sole spuntare, ed è sempre una grande gioia.
Il ginocchio resta l’unica scocciatura, ma ho diverse armi da giocare: pause, antinfiammatori, e…. basta. Mi barcameno con quelli, e per fortuna l’andamento del problema è altalenante, lasciandomi diversi momenti di tregua. Ai miei familiari non sto dicendo nulla per evitare incursioni imbarazzanti e inutili da parte loro, visto che sono ancora relativamente vicino.
Nemmeno l’umidità alle stelle mi aiuta. Mi ritrovo fradicio fin dai primi chilometri, e così rimango, ma ogni volta che mi fermo per far riposare il ginocchio, basta un poco di vento e dai bollori della marcia passo a brividi, che spero non sfocino in qualcosa di peggio.
Lascio la provincia di Crema e faccio pausa dopo Boffalora, presso una sorta di spiaggia erbosa sull’ansa del fiume: un posto niente male. Sta di fianco a un ristorante, è tutto molto curato. Ho una panchina solo per me e mi ci allargo con immenso piacere, togliendo gli scarponi come fossero pezzi d’armatura.
Dopo un bel panino e qualche altra delizia da viaggiatore, mi regalo un caffè al banco.
Rigenerato, tento la ripartenza ma senza troppa convinzione.
Lungo la via, attratto anche un po’ dal nome, telefono alla parrocchia di San Martino in Strada per trovare ospitalità, ma ricevo un due di picche abbastanza severo, rimanendo spiazzato sul da farsi, ma non per questo pessimista. Mi dico che in qualche modo mi arrangerò.
Proseguo fino a Lodi, cittadina che fin da subito mi appare davvero bella. Faccio un piccolo giro nel centro storico, regalandomi un po’ d’ombra e uno dei migliori gelati di sempre. Mi intrufolo poi in una messa appena cominciata nel Tempio dell’Incoronata, che ho scoperto essere un gioiello rinomato della città. Mi riempio gli occhi di bellezza, ma sono costretto a uscire dopo un quarto d’ora, demolito da una predica davvero insopportabile e stantia.
Riesco ad approfittare degli ultimi minuti di apertura del Duomo, dove chiedo se posso ricevere il timbro per la mia credenziale. Vengo accompagnato in un ufficio grande ed elgante, dove incontro don Sergio e don Gabriele. Il primo è parroco presso la vicinissima Santa Maria del Sole; il secondo è a sua volta parroco, ma di Castiglione d’Adda, a circa 20 km più a sud.
Si dimostrano molto gentili e allegramente incuriositi dal mio pellegrinaggio. In pochi minuti, scelgono di farmi una doppia offerta: pernottare questa notte qui a Lodi e domani a Castiglione. Non potrei chiedere di meglio! Non mi cruccio troppo nemmeno del rallentamento che questo produrrà sul programma che m’ero fatto: i chilometri in meno mi aiuteranno a diminuire la pressione sul ginocchio. Tutto sembra quadrare meglio quando non organizzo niente. Mistero!
Seguo don Sergio presso la casa parrocchiale. È molto più giovane dell’altro, ed è straordinariamente sorridente. Mi mostra una sala dedicata fino a qualche mese prima allo smistamento dei beni per la Caritas, ma ora è inutilizzata a causa del Covid. Per me è perfetta. Prima di andarsene mi raccomanda di farmi trovare pronto per uscire a cena. Non dico di no.
Oggi ho fatto solo 16 km, ma ci ho messo un’infinità per via delle pause. Ora, comunque, ho tutto il pomeriggio per darmi una rassettata e rilassarmi un po’.
Prima di tutto pulisco la stanza dalla tanta polvere e la allestisco per la notte, mettendo il materassino su un gruppo di banchi che ho affiancato. Lavo i panni e tiro un filo per stenderli tra un’anta e l’altra di un largo armadio.
Allo stesso lavandino, in qualche modo, mi pulisco anch’io, recuperando vigore a sufficienza per tornare sulle vie già percorse del centro.
Piazza della Vittoria è un gioiello: i tanti portici, la facciata del Duomo, i colori delle case, il bel selciato mi incantano.
Torno alla camera, scoprendo una targa che dice sia intitolata a San Giacomo. Mi gusto la coincidenza senza aspettarmi altro; quel piccolo segno mi è già più che sufficiente.
In stanza mi annoio un po’. Scrivo, ma mi appesantisce continuare a stare su quello schermino. Infatti non ho un diario fisico, di carta, ma uso lo smartphone, soprattutto per risparmiare altro peso.
Finalmente arriva l’ora di cena, e don Sergio si presenta puntuale. Raggiungiamo una bella via che oggi non avevo visto, Corso Umberto, dove c’è un discreto viavai di persone. In una strada così ci farei volentieri un buon aperitivo, peccato per l’afa.
Arriviamo alla pizzeria, che sembra ottima. Lui si conferma pieno di allegria ed entusiasmo, il che mi fa sentire particolarmente a mio agio.
La cena diventa presto un’occasione di incontro e conoscenza davvero gradevole. Ha l’età di mio fratello maggiore e, tra gli altri suoi ruoli, è un avvocato del Tribunale della Chiesa. È un titolo che ha raggiunto dopo molti studi, che mi confessa aver affrontato con grande passione: “Desideravo molto approfondire gli studi”, una frase tanto semplice, quanto efficace per far sanguinare in silenzio il mio cuore, ancora ferito dai miei abbandoni scolastici. Mi descrive quali sono gli ambiti in cui è maggiormente chiamato in causa, e ascoltarlo è molto interessante. Mi racconta anche dell’esperienza difficile vissuta dal padre a causa del Covid, e degli insegnamenti che quella prova gli ha trasmesso. Sul tema spendo anch’io qualche aneddoto, visti i mesi appena conclusi in RSA nel bergamasco.
Insiste per offrire la pizza, e a me non resta che rilanciare con un gelato, ovviamente nello stesso posto dov’ero stato nel pomeriggio.
Conclusa la serata, sceglie di aggiungere un gesto ancora più forte di sostegno, regalandomi un contributo per il mio viaggio. Sono stupefatto e grato. Non è l’unico che mi ha voluto sostenere, anche molte ex colleghe e colleghi mi hanno mostrato una generosità inaudita, che ancor oggi mi lascia scioccato ogni volta che ci penso.
La giornata non è stata niente male. Muoversi a piedi continua a dimostrarsi una sorpresa costante per tutto quanto mi capita. Le ore in cui cammino da solo nella campagna, poi, sono un toccasana per l’anima. Se riuscissi a risolvere il problema del ginocchio, sarebbe davvero il massimo.
Vabbè, domani mi aspetta un’altra tappa tranquilla e un alloggio già programmato. A Dio piacendo, dovrei dormire tranquillo stanotte. O forse era meglio non dirlo…