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cammino di santiago - roberto pesenti

23/09 Arles – Saint-Gilles du Gard

(Maison des pelerins)
24 km

Spengo il telefono prima che suoni la sveglia delle 6. Oggi sarà una tappa speciale: la prima totalmente in compagnia di un’altra persona.
Nel silenzio della piccola camerata, saluto a bassa voce Fabian. Non lo vedo particolarmente in forma. Poverino, chissà se si è già pentito di avermi dato retta? Gli sorrido, sono certo che arrivati a destinazione, sotto il sole del primo pomeriggio, sarà felice di essere partito presto. In ogni caso, è stato veramente un bel gesto fidarsi di me, per niente scontato.

Scendo in cucina per preparare la colazione e scopro con mia gran sorpresa che la ragazza del ristorante ci ha fatto trovare il pane fresco. Era incluso nel prezzo, ma ieri mi aveva confessato che non sarebbe riuscita a portarcelo per quest’ora, e invece ce l’ha fatta! Tutto il resto è già in cucina. Faccio scaldare del latte e preparo il caffè. Metto in tavola marmellata, burro e zucchero, taglio il pane, prendo tazze, posate e tovaglioli. Sono gesti che mi piace fare, in particolar modo quando qualcun altro condividerà la colazione con me. Fabian arriva con una faccia stravolta ma, trovando tutto pronto, sul suo volto si disegna un’espressione di stupore e subito dopo un bel sorriso. Un buon inizio, direi!

Una volta pronti, ci carichiamo gli zaini in spalla e scendiamo per le strade ancora deserte di Arles. L’aria è fresca e la città ha un fascino indiscutibile. Il mio nuovo compare ha già il naso sulla sua guida. Mi propone di rinunciare al percorso più lineare per Saint-Gilles-du-Gard, meta di oggi, e di optare per uno alternativo, suggerito dal testo. Accetto volentieri. Mi alleggerisce tantissimo il fatto che qualcun altro prenda il ruolo di navigatore.

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Raggiungiamo il grande fiume Rodano e lo attraversiamo, dedicando un minuto ad ammirare lo spettacolo che stiamo per lasciarci alle spalle: le luci della città si riflettono nell’acqua mentre il cielo, rannuvolato, tarda a mostrare il suo primo chiarore.

In un’ora scarsa usciamo dal tessuto urbano e arriviamo sulle sponde del Petit-Rhône, il ramo occidentale del delta del Rodano.
Il sentiero che imbocchiamo corre parallelo al fiume, mentre dal lato opposto, qualche metro più basse rispetto a noi, ci sono risaie a perdita d’occhio. La vegetazione ai bordi della pista è folta e variegata, anche se la fanno da padrone soprattutto degli alti canneti verdi.
La via alternativa scelta da Fabian si sviluppa quasi tutta in questo modo: una grande curva lunga chilometri e chilometri, tra il Petit-Rhône e i campi.
Da domani, invece, lasceremo che il fiume prosegua verso il Mediterraneo, mentre noi ci dirigeremo a Nord-Ovest.

Piccola note geografica: il Petit-Rhône ha un fratello maggiore, il Grand-Rhône – ramo orientale del delta del Rodano – e sono i due corsi d’acqua che delimitano la famosa Camargue. Purtroppo noi ne sfioreremo solamente il confine settentrionale, ma conto assolutamente di tornarci in futuro.

Durante il cammino le zanzare sono tante ma, come nei giorni tra Lodi e Vercelli, godo di un’inattesa immunità. Senza mostrare grande tatto, non riesco a evitare di riderne un po’ col povero Fabian, che invece è vittima di punture continue.
Altri animaletti che ci fanno compagnia per ore sono le lumache. Il sentiero ne è completamente pieno e basta un poco d’erba verdissima per nasconderle totalmente, condannandole a finire schiacciate a decine sotto i nostri scarponi. Il suono dei gusci che si frantumano è la nostra colonna sonora per una buona metà della mattina.

È su questo sinistro sottofondo che iniziamo a presentarci davvero l’un l’altro. Grazie alla possibilità di usare l’inglese, finiamo col parlare tantissimo. Conoscersi camminando è particolarmente bello: ci si apre reciprocamente con enorme scioltezza. Forse il moto continuo evita il formarsi di certe rigidità, non saprei.

Pensandoci, direi che sono parecchie le cose che vengono meglio camminando: riflettere su qualcosa di cui non riusciamo a venire a capo, sbollire, rilassarsi dalle tensioni accumulate; oppure distrarsi, lasciare la mente perdersi, magari aumentando il ritmo.
Un passo dopo l’altro si può esplorare il mondo intero, con una velocità sufficiente ad innamorarsi di tutto. Quando sei lungo la via sembra che le cose abbiano più senso, che non siano mai banali.
E poi il corpo si attiva in maniera equilibrata, sana; si digerisce meglio, si respira meglio, e queste non sono cose che valgono meno. Esagero se dico che camminare è una delle migliori opportunità di sperimentare la sinergia tra anima e corpo, tra mente e cuore? Io dico di no.

Sono stato fortunato, con questo mio nuovo compagno d’avventura. Oserei dire sia la persona perfetta al momento giusto. Tra noi sembra che tutto fluisca con naturalezza. A volte capita che uno o l’altro finisca nel dilungarsi in qualche monologo, ma entrambi siamo anche buoni ascoltatori, e alla fine il discorso torna sempre in carreggiata. In ogni dialogo trovano sempre spazio delle belle risate, domande mai inopportune, piccoli segni di stima reciproca.

È qui perché ha pensato che questa possa essere un’esperienza utile per lui in questo periodo. È separato e ha una figlia. Ha un lavoro molto soddisfacente nel settore finanziario delle energie rinnovabili, ma si è preso una pausa, quelle per capire cosa fare dopo. È solido, ha progetti concreti, nessun accenno a qualche timore particolare. Parla con rilassatezza e buona umiltà.
In un altro momento della vita mi sarei sentito in soggezione davanti ad un uomo così esperto e convinto di sé, ma oggi no. L’essere sulla strada, a quanto pare su quella giusta, probabilmente dona anche a me una sana centratura.
A dirla proprio tutta, credo conti molto anche il fatto che io sia ormai ben allenato e lui invece assomigli a me quando sono partito. L’avermi di fianco sembra rassicurarlo e portarlo ad affidarsi un po’ a me. Nella mia vita raramente sperimento questa condizione, e pare mi faccia sentire particolarmente a mio agio, stemperando quel pungente senso di inferiorità che troppo spesso mi attanaglia nel rapporto con gli altri.

Le ore scorrono in scenari ripetitivi ma comunque belli. Il clima molto caldo e umido raddoppia la fatica.
Entrambi abbiamo bisogno di un caffè e scopriamo di avere una sola possibilità lungo il percorso, facendo deviazione a Saliers.
L’esperienza mi insegna quanto sia difficile trovare bar aperti in paesini dispersi tra le montagne o nella campagna, ma con i consigli di un postino scoviamo nel villaggio quello che cercavamo. Senza di lui sarebbe stato impossibile, perché vista da fuori è una casa come tutte le altre. Scopriamo con gusto che fa anche da piccolo negozio di alimentari, oltre che da caffetteria. Ci prendiamo un po’ di frutta, qualcosa di rinforzo per il pranzo e un paio di caffè, gustandoci la merenda seduti nel grazioso cortiletto esterno.

Tornati in cammino raggiungiamo il Reno, un paio di chilometri dopo. Attraversandolo, ci lasciamo alle spalle in un sol colpo il fiume stesso, le Bouche-du-Rhône e la Regione Sud (o PACA), facendo il nostro ingresso in Occitania e precisamente dal dipartimento del Gard.

Fabian è cotto, e lo capisco. Nelle stesse condizioni climatiche, anch’io ho sofferto moltissimo i primi giorni di viaggio. Cerco di essergli di sostegno, ma ha una buona tempra e basta solo qualche parola ogni tanto. Ad ogni modo, si sta già rendendo conto di quanto sia stata azzeccata la scelta di partire presto.

Immerso tra campi e zone industriali, iniziamo a vedere all’orizzonte il profilo di Saint-Gilles-du-Gard sopra una bassa collina. Come molte altre volte, però, il percorso non segue una via dritta verso la meta. Psicologicamente non è il massimo, ma mancano ormai solo una manciata di chilometri. Tra l’altro sono anche ravvivati dall’attraversamento del canale che scorre ai piedi della cittadina, vicino al suo pittoresco porto turistico. I cambi di scenario aiutano sempre molto quando si è affaticati.

È mezzogiorno e mezzo. Non ci resta che salire nel borgo storico – sopraelevato di un centinaio di metri – per goderci il panorama su tutta la pianura attraversata questa mattina. L’ostello non aprirà prima di due ore, quindi ci mettiamo a cercare una panchina all’ombra dove goderci il nostro pranzo al sacco. Troviamo il posto ideale in un bel parco di fronte al palazzo comunale. Spogliati con gran gioia scarponi e calze, ci avventiamo letteralmente sui nostri pasti super-economici, che ingurgitiamo in un batter d’occhio. Tentiamo di sfruttare il tempo restante per un sonnellino, ma le zanzare non ci danno tregua. Nessuno dei due trova una soluzione efficace al problema, e finiamo col rassegnarci.

Arrivata l’ora dell’apertura raggiungiamo l’ostello, che sta proprio nella piazza principale, di fronte all’abbazia dedicata a Sant’Egidio. Questa ha una facciata straordinaria e l’impatto è talmente forte che, nonostante la stanchezza, riesco a convincere Fabian a visitarla prima di andare a registrarci.

L’interno non è sensazionale, ma è comunque apprezzabile. Troviamo anche una statua che rappresenta in maniera un po’ semplicistica il legame tra il pellegrino di oggi e quello delle epoche passate. È una figura intera di un uomo in cammino: la metà destra ha veste e accessori ispirati ad un pellegrino medievale, mentre l’altra quelli uno contemporaneo.
La cosa più bella che visitiamo è il cortile esterno, posto alle spalle dell’abside. Lì ci sono alcuni resti del vecchio coro, che fanno subito capire quanto in passato la chiesa fosse stata molto più lunga.
Resto affascinato e incuriosito anche da una parte non crollata. È un elemento davvero particolare: sembrano i resti di una piccola torre, ma in realtà è una scala a chiocciola tutta in pietra, antica di secoli, ancora racchiusa nelle pareti che la sostengono. È visibile al suo interno solo se accompagnati da una guida, ma oggi pare non sia possibile, purtroppo.

Conclusa la rapida visita, ci rechiamo finalmente alla reception, dove una gentilissima signora ci accoglie, ci timbra le credenziali e ci mostra l’alloggio. Al momento siamo i soli presenti in ostello. Si rivela un luogo umile ma spazioso, e non manca niente.
Dopo la doccia, mentre Fabian sonnecchia e io sto stendendo i panni che ho lavato, rientra la signora di prima per mostrare i locali anche ad una nuova pellegrina appena arrivata, una ragazza francese.
Un attimo dopo facciamo la sua conoscenza. Si chiama Severine e vive anche lei a Parigi, come Fabian. Ha un’aria vagamente diffidente, eppure dopo poco ci invita ad accompagnarla a visitare la cripta della chiesa. In effetti, prima non eravamo scesi, quindi accettiamo volentieri.

Facciamo anche la felice scoperta che, avendo con noi la credenziale, possiamo scendere gratuitamente. Si scende da una scala che sta quasi al centro della navata principale. Una volta sotto, lo spazio si rivela essere particolarmente ampio, più di quanto avrei potuto immaginare. È piuttosto spoglio, fatta eccezione per il sepolcro del santo. Ha comunque grande fascino, per molti dettagli anche minori. Tra queste un paio di piccole vetrate colorate – forse moderne – e una statua la cui vernice si è degradata in maniera stranissima, creando un effetto affascinante del tutto simile a quello della vitiligine.

Usciti, Severine ci lascia per proseguire da sola il tour del paese, e noi ne approfittiamo per andare a fare la spesa per la cena.
Fabian mi chiede se mi va di cucinare una pasta. Accetto volentieri e optiamo per un’amatriciana, a patto di non prendere la classica pancetta confezionata, ma di cercare un’alternativa migliore in macelleria.
Ne troviamo una proprio a pochi metri dall’ostello. Il proprietario ha un atteggiamento spiritoso, ma mi dà subito l’impressione di essere anche un po’ furbo. Ne ho conferma quando ci serve, perché raddoppia sfacciatamente le quantità che gli domandiamo, sia di carne che di formaggio. Fabian resta composto, ma io non trattengo un commento a bassa voce. Il macellaio, pur sorridendo, fa un po’ lo sbruffone e mi dice che se voglio posso parlare anche italiano, perché lui è originario della Corsica e conosce la mia lingua. Ne approfitto senza vergogna e gli faccio notare il fatto, confermando comunque l’acquisto dell’intera quantità. Non amo questo genere di furberie, e ancora meno in questo periodo in cui sto risparmiando all’inverosimile. La mia sfrontatezza lo fa rifugiare in qualche balbettio sornione, e tutto finisce lì.

Severine arriva appena in tempo per l’aperitivo che abbiamo preparato. La ragazza è di quelle molto loquaci ma, nonostante le spieghi i miei problemi non ancora risolti col francese, non si sforza minimamente né di parlare più lentamente né tantomeno di abbozzare un po’ di inglese. Praticamente si rivolge solo a Fabian, escludendomi totalmente. Sorvolo, concentrandomi sulla preparazione della pasta.
La cena va poi perfettamente, e le porzioni enormi sembrano molto apprezzate. Quella che per me è solo una discreta amatriciana, per loro è una delizia. La mia gioia più grande, però, è che il gran piatto di spaghetti riesce ad ammutolire la signorina, strappando una risata sotto i baffi anche al mio compare.

Finito il pasto, resto comodo a tavola, aspettandomi ingenuamente che i due si propongano almeno di lavare i piatti, ma non fanno nemmeno finta. Avrei una gran voglia di spronarli, ma non mi va di rischiare gli equilibri con Fabian, così mi faccio carico anche della pulizia. Purtroppo, poi, non si fermano nemmeno per asciugare, ma vanno immediatamente in stanza.

Non vado a letto di buonumore e il nervosismo mi ha fatto pure passare il sonno. Attaccato al cellulare, mi metto a cercare opzioni accettabili per gli alloggi dei giorni successivi, senza nemmeno un gran successo. Finisco con lo sprecare così addirittura due ore, crollando solo per sfinimento. E vabbé, pazienza.

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Francia, Gard, Occitania