(Le Mas Olivier)
25km
Ieri ho fissato una sveglia posticipata rispetto al solito, alle 7, sperando di recuperare un po’ di energie. Beata ingenuità! Ancora mi illudo. Non ho perso ogni speranza, ma con la mia attrezzatura ho capito che in autunno inoltrato sarà ben dura riuscire a vivere delle nottate rigeneranti all’aperto. Mi alzo quindi parecchio appesantito, ma non sto troppo a crucciarmi. So perfettamente che la farò anche stavolta.
La temperatura è bassa ma il cielo è terso, fortunatamente. Subito dopo essere partito, posso addirittura godere di una bellissima alba – questa sì, rigenerante.
Visto l’ottimo risultato di ieri, ancora una volta faccio disegnare il tragitto alla solita applicazione. La prima piacevole sorpresa è che mi indirizza subito lungo la stessa pista ciclabile su cui mi ero tanto divertito.
È domenica, sono le 8 e c’è già gente che corre, che porta fuori il cane o fa semplicemente una passeggiata. Mi trovo a fantasticare sulle vite delle persone che vedo, tentando come al solito di immedesimarmi e intuire almeno un po’ come possa essere vivere da queste parti. Mi diverto a immaginarmi al loro posto, ma in pochi secondi me li lascio alle spalle e torno nei miei panni, facendo ogni volta la scoperta più bella: non farei cambio con nessuno.
Non sempre è così nella vita, ma in cammino questa cosa si ripete costantemente. Prima o poi concluderò quest’esperienza nomade, ma farò di tutto per ricordarmi queste sensazioni; ho il presentimento mi saranno molto utili.
A Mèze oltrepasso il supermercato dove ho fatto la spesa, ma senza raggiungere poi la costa del grande Étang-de-Thau. Mi piacerebbe passarci, ma perderei troppo tempo. Oggi è bene che gestisca con cura le mie energie. Au revoir, Mèze.
Una volta fuori dalla cittadina, inizia il primo tratto in aperta campagna. Sarà il più lungo della giornata: ben 8 km. Mi ci vogliono un paio d’ore per completarlo, immerso tra giganteschi campi vitati, e direi una bugia se dicessi di non annoiarmi. D’altronde anche questo è cammino. A volte davvero si tratta solo di resistenza psico-fisica, inutile negarlo.
È il secondo giorno senza più il mio compagno di viaggio. L’esperienza con Fabian è stata speciale e preziosa, ma non mi ha di certo tolto il piacere di procedere per conto mio. Conosco la solitudine, so quanto e come può bruciare dentro, ma in cammino non mi succede.
Soprattutto muovendo passi nella natura, anche quella modellata dall’agricoltura, la solitudine si neutralizza; lascia invece spazio alla gioia del rapporto con i grandi elementi e con lo stupore per gli infiniti dettagli.
Non mi sono ancora stancato, per esempio, degli interminabili vigneti francesi. Anzi, poter osservare i tanti modi diversi utilizzati per coltivare lo stesso frutto mi appassiona. Così come soffermarmi qua e là a guardare quanta differenza può esserci tra fusti di viti diverse per età, varietá, clima, zona.
Con grande curiosità, studio anche i giardini, gli orti, le piante spontanee a bordo strada. Apprezzo la compagnia dei canali e attraversare un fiume mi fa sempre un po’ emozionare: mi chiedo da dove arrivi e dove sia diretto, oppure se lo incontrerò ancora.
E poi gli animali. Ne sto vedendo di ogni genere, seppur prevalentemente d’allevamento. Anche gli insetti, gli uccelli e le lumache, però, accompagnano le mie ore di cammino.
Oltretutto, fin dalle prime settimane parlo con ogni cosa, mi viene spontaneo. Lo faccio tra me e me, oppure rivolgendomi a questo o quello, senza mai l’impressione sia una cosa strana o folle.
Parlo tantissimo col sole, e col vento quando arriva a spingermi – come fosse un bambino che vuol giocare. Consolo la pioggia quando si sente in colpa per avermi infradiciato; sembra intenerirsi quando le dico che mi piace anche così, oppure se la ringrazio per quello che fa.
Mi scopro spesso a imitare i versi che sento – siano cani o rapaci – oppure a cantare in direzione di un gregge o una mandria, come sulla strada per Montpellier.
Non sono mai solo.
Non lo sono nemmeno tra le ville dei quartieri residenziali, perché anche lì osservo curioso e imparo mille cose, ragionando sulla disposizione delle case, sulla loro forma, i loro colori, le loro recinzioni. Guardo i marciapiedi, l’asfalto, le aiuole, i campanelli, le cassette della posta, i cartelli stradali, le insegne, i cestini, i lampioni. Esamino i palazzi comunali, i parchi, le fontane, le pensiline, le rotonde. Studio come parcheggia la gente, le marche delle auto, i giochi dei bambini in cortile, gli animali domestici. Mi soffermo sugli impianti sportivi, i campi da bocce, i crocifissi, le locandine degli eventi. Dedico uno sguardo ai cassonetti, alle vetrine, ai monumenti.
Tutte queste cose mi permettono di essere presente, di non camminare totalmente immerso in me stesso. Ovunque imparo qualcosa: sugli usi dei luoghi che attraverso e sui miei gusti personali, semplicemente badando se una tal cosa mi piaccia oppure no, se magari vorrei fosse così anche dove vivo io.
Il mio passo è svelto, il tempo che dedico ai singoli dettagli è sempre poco, ma ormai la mia mente si predispone ad essere ricettiva e rapida. Immagazzina, si fa domande, ipotizza risposte, si diverte.
Ecco, si diverte! Io quando cammino in posti nuovi mi diverto.
E quando sono brutti soffro, ma è la vita: bisogna saper accettare anche a quelli.
La Francia, anche là dove è meno fastosa, mi sta continuando a piacere profondamente. A volte di più, a volte di meno, ma io vedo comunque un sacco di buon gusto, di sensatezza, di voglia di dare una forma ben fatta alle cose. Hanno stile, questi cugini francesi. Anzi, hanno stili, tanti e diversi.
E resta poi il fatto inoppugnabile che li coltivano, eccome! I territori che ho attraversato hanno sempre mostrato un’identità nitida, fatta di elementi ricorrenti declinati sapientemente in mille varianti, sia in ciò che componeva il paesaggio, sia in ciò che lo comunicava, come cartelli e tavole esplicative.
Tutto questo mi continua a dare l’idea di una creatività attiva. A volte percepisco anche un po’ di competizione, come se territori diversi gareggiassero in questo processo di raffinamento; non è una cosa che posso dimostrare, ma credo esista anche questo aspetto, un po’ come in un grande palio delle contrade.
Ogni ufficio turistico in cui sono entrato, anche nel paese più piccolo, aveva un’ottima impostazione interna, sempre ricca di materiale informativo d’impatto, capace di catturare l’occhio e mostrarsi al contempo funzionale affinché il turista possa avere una visione completa dell’offerta di quel luogo: dallo sport alla cultura, fino all’enogastronomia – ovviamente – e tutto il resto.
I siti che finora ho consultato per orientarmi, per trovare informazioni o alloggio, non sempre erano bellissimi, ma erano organizzati sempre in maniera ben strutturata e mai scontata. Alcuni, quelli dei singoli comuni, per esempio, mi è parso siano tutti curatissimi.
Delle case private dove ho dormito, ho già scritto: pur diverse, erano sempre piene di oggetti unici e tendenzialmente ben sposati tra loro, a formare una scenografia mai banale. Non può essere un caso che ogni volta mi sia stato detto che loro stessi, i proprietari, avevano ideato e costruito parti significative della casa o del mobilio.
Anche i prodotti locali vengono promossi costantemente, è risaputo, ma colpisce scoprire quanto spazio venga loro dedicato anche in alcuni super e ipermercati.
Insomma, a Cesare quel che è di Cesare! Non mancheranno certo grandi contraddizioni a quello che sto notando, ma credo comunque sia benefico per me coltivare uno sguardo attento al meglio che incontro.
Della tappa di oggi non ho molto da dire. Sono passato rapidamente da Pinet, Pomérols e Florensac, ho attraversato il fiume Hérault – che dà il nome a questo dipartimento – e poi, semplicemente, sono arrivato a Bessan, proprio mentre cominciava a piovere.
Sono qui perché era il posto più economico che ho trovato, come al solito, ma sono stato fortunato, e non è certo la prima volta.
L’alloggio è in pieno centro, all’interno di un edificio di vecchia data. Sembra di essere in una vera propria a casa, ma ha una caratteristica curiosa: avendo i soffitti alti ma pochi metri quadri calpestabili, i proprietari hanno allestito ciascuna stanza con due specie di cuccette, una sopra l’altra. Non sono solo dei letti a castello: ognuna è come una micro-stanza, e nemmeno troppo soffocante.
Essendo poi io da solo in tutto l’ostello (o meglio, gîte d’etape), la sensazione non può che essere di grande agio.
La cucina è una bomba: ci trovo ogni strumento possibile ed è piena di viveri. Ancora una volta, però, non posso approfittarne granché. Avrei potuto comprare qualcosa di fresco e cucinarmi un piatto come si deve, ma non stava scritto da nessuna parte ci fossero tutti questi attrezzi, i condimenti e tutto il resto. Al telefono, per abitudine, avevo chiesto solo del microonde, ricevendo una scarna risposta affermativa, niente più. Pazienza. Terrò a mente; chissà non apra anch’io un bed & breakfast, prima o poi.
Passo quindi un buon soggiorno, anche se non vedo nessuno, purtroppo. Proprio nessuno. Infatti la prenotazione e il pagamento li ho fatti online, con Booking, e le password per aprire la porta d’ingresso e quella della stanza le ho ricevute telefonicamente. Niente più.
Sono dispiaciuto anche perché non hanno un timbro per per la mia credenziale; vorrà dire che me lo dovrò creare da solo più avanti, quando avrò la giusta ispirazione. D’altronde non è la prima volta che mi succede: mi manca anche quello della tappa conclusasi a Reotier, facendo campeggio illegale in una vigna.
Il timbro di oggi, tra l’altro, sarebbe stato l’ultimo della mia prima credenziale, quella della confraternita di Perugia. Lascio quindi la casella vuota e domani inaugurerò quella comprata ad Arles, che sarà più che sufficiente per arrivare fino alla fine.