(Camping Le Peupliers)
33 km
Oggi ho previsto più di 30 km, studiati per il terzo giorno consecutivo utilizzando Komoot. Questo fa sì che debba guardare spesso al telefono, ahimè, ma fra non più di un paio di giorni tornerò su sentieri segnalati, e quindi non dovrei più avere bisogno del navigatore.
Vista la lunghezza della tappa, parto molto presto, prima delle sette.
Ovviamente è ancora buio, ma finché cammino per il paese le luci dei lampioni riscaldano l’atmosfera. Una volta fuori, invece, l’oscurità è assoluta, almeno per il primo quarto d’ora.
Imbocco un sentiero che taglia una grandissima pianura quasi brulla; solo qualche albero sparso e rari vigneti in lontananza. I lotti sono delimitati solamente da fili sottili, cosicché quasi nulla ostacola la vista. Forse per il fatto io abbia attorno così pochi elementi, il cielo mi appare straordinariamente più grande del solito.
Lentamente, alle mie spalle l’aurora comincia ad infuocarsi, squarciando velocemente le ombre della notte sulla pianura. Le sfumature fiammeggianti che salgono dall’orizzonte lasciano in controluce i pochi alberi spogli, e sembra di essere nella savana.
Lo scenario scarno e primitivo aiuta a rendere questo momento profondamente sacro; ho il cuore in gola.
Quando parlo del bacio mattutino col sole, di quanto lo brami, la gente fa smorfie derisorie, ma so quel che dico: per me ormai è più concreto e importante di tante altre cose. Da tempo è diventata un’esperienza portante del mio viaggio e, quando manca, ogni cosa sembra porti una lieve traccia di quell’assenza.
Ma eccolo, finalmente!
La luce quasi fluorescente sulla mia pelle mi fa sembrare brace viva. Il respiro aumenta di frequenza e i battiti si fanno per un attimo esplosivi. L’estasi vira verso una gioia commossa, trasformandosi infine in pace profonda. Sto vivendo qualcosa di impagabile. È una delle albe più belle che abbia mai vissuto.
Alcuni minuti dopo, torno a dar le spalle a quel miracolo e ricomincio a camminare, gonfio di un’energia indescrivibile.
Non passa molto e ho il piacere di incontrare un vecchio contadino ruspante, fermo nel suo orto per godersi il momento. Rivolto verso il sole, ha il volto colorato da quella luce primordiale. Con un’espressione eloquente e un piccolo movimento della testa, commento l’alba alle mie spalle. Lui annuisce col sorriso in volto. Per qualche secondo torno anch’io in contemplazione, ma d’improvviso sembra risvegliarsi e mi chiama dentro al suo orto con inattesa esuberanza.
Sorpreso, lo raggiungo con gran piacere. Inizia a mostrarmi dei fantastici pomodori, insistendo con gran simpatia perché ne prenda il più possibile. Mi limito a una manciata; sarà già difficile riuscire a evitare che si schiaccino questi. Ci lasciamo tra i suoi auguri e i miei ringraziamenti.
Continuo per quasi un’ora tra altri campi immensi dominati da vigneti, arrivando infine a ridosso dell’aeroporto di Béziers. Lì, per un paio di chilometri, mi ritrovo in una fittissima rete di sentieri in mezzo a una macchia di bassi arbusti. Ho come un déjà vu: è la terza volta che attraverso un luogo simile. La prima fu appena dopo Gargas, dove non scattai nemmeno una fotografia tanto ero incantato; l’altra, invece, è stata un paio di giorni fa, prima di arrivare a Loupian. Tratti piuttosto brevi, eppure divertentissimi da percorrere; forse perché mi sembrano dei circuiti, più che dei sentieri, e il semplice passarci prende automaticamente il sapore del gioco.
Oltre quell’area, di nuovo vigne, e che vigne! Viti splendide, grappoli succosi e invitanti. Non manco di assaggiarne qualcuno, stavolta senza esagerare, e decido di coinvolgere ancora la mia amica sommelier di Bergamo, mandandole la mia posizione e chiedendole qualche curiosità su queste terre. Mi conferma che sto attraversando una zona di uve particolarmente famose, sciorinando nomi e consigli con l’entusiasmo di chi ama davvero quello di cui sta parlando. Sarebbe straordinario se per ogni mia curiosità avessi una persona capace di rispondermi con la stessa passione e competenza. Quante volte avrei voluto avere in rubrica un amico botanico, oppure storico dell’arte o chissà che altro.
Raggiungo il paesino di Cers, dove finalmente trovo una chiesa aperta. Una vera rarità fin qui. Ci spendo solo un attimo, ma sento sempre di averne bisogno, almeno per dire grazie: per il ginocchio guarito, per star riuscendo in tutto, per l’infinita bellezza di questi luoghi, per le albe e il bel tempo, per l’energia che non viene mai a mancare, per le generosità ricevute, per i messaggi di sostegno, per i frutti della terra, per non sentirmi mai solo. Sicuramente non serve per forza una chiesa per farlo, ma trovarne finalmente una aperta mi mette in uno stato d’animo ideale per stare un po’ in raccoglimento.
Uscito, bevo un caffè in un bel bistrot e lascio questo paesino molto grazioso.
Attraversando un ponte, noto attraccate barche coloratissime e intuisco di essere arrivato al famoso Canal du Midi, iscritto tra i beni patrimonio dell’umanità.
È in Piemonte che scoprii di essere affascinato da questo genere di opere, in particolare dopo aver visto il Cavour. Ora, davanti a uno dei più famosi canali del mondo, la meraviglia e la sorpresa mi riempiono gli occhi.
Continuo il mio percorso camminando sul viale che lo costeggia. È un sentiero curatissimo, in alcuni tratti addirittura elegante, con lampioni a due lanterne che ricordano il secolo passato. Le barche attraccate non sono certo sempre belle o ben tenute, ma rendono tutto incredibilmente pittoresco.
Il tratto migliore è in corrispondenza della cittadina di Villeneuve-lès-Béziers. Scelgo quindi di deviare dal percorso e visitare anche questo piccolo centro. Ritrovo quel bouquet di belle caratteristiche che tanto spesso sto incontrando qui in Francia: la grazia delle forme e dei colori, l’ariosità degli spazi, l’abbondanza di fiori e altri originali tocchi creativi. L’impressione risultante è sempre quella di un’ottima vivibilità, di paesi a misura d’uomo.
Torno poi sull’alzaia del canale, dove veder passare lentamente traghetti, chiatte e altre imbarcazioni illumina ogni volta il mio sguardo bambino. È uno scenario tutto nuovo per me, l’ennesimo in cui mi imbatto da quando sono partito. È impossibile abituarsi a questo succedersi, ogni giorno è una sorpresa.
Ad un tratto, sono costretto a cambiare sponda a causa di alcuni cantieri. Stanno tagliando i grandi platani che storicamente compongono lo scenario del canale; la causa è una malattia prodotta da un fungo infestante. Alcuni cartelli indicano le enormi proporzioni di questo fenomeno e l’avanzamento delle operazioni di sostituzione. I grandi platani vengono poi bruciati, e ad un certo punto posso assistere anche a questo triste spettacolo.
La variazione di percorso mi obbliga a camminare di fianco a strade molto trafficate; riesco a tornare solo sporadicamente sui viali che costeggiano il canale. Passo dopo passo, raggiungo la prima periferia di Béziers. In prossimità del fiume Orb, svolto verso il centro storico, che esibisce fin da subito la sua bellezza – soprattutto a partire dalla piazza antistante la stazione dei treni.
Lì si affaccia l’ingresso solenne di un grande parco all’inglese, posto in forte pendenza, superato il quale si raggiunge la parte più antica e bella della città. Imbocco la grande scalinata iniziale e scopro grandi viali, alberi enormi ed esotici, fontane monumentali, splendide composizioni floreali, uno stagno con cigni e tanti busti di poeti. Quest’ultima è la caratteristica da cui il parco prende il suo nome: le Plateau du Poetes.
Arrivato in cima e superati i cancelli d’uscita, mi ritrovo di fronte ad una ruota panoramica, oltre la quale si spiega una larga promenade, che accompagna poi ad una piazza vuota e ventosa. Da lì, mi tuffo tra i saliscendi del centro storico, fino a raggiungere la cattedrale, splendidamente affacciata sulla pianura antistante.
Purtroppo, ancora una volta trovo le porte chiuse. Sono stato sfortunato, gli orari affissi dicono che si è appena conclusa l’apertura mattutina e io non ho tempo per attendere quella pomeridiana. Pazienza.
Posso comunque godermi una bellissima vista panoramica su tutto il territorio che attraverserò nei prossimi giorni, anche se non sono in grado di identificare punti di riferimento particolari.
Rimango solo pochi minuti, poi scendo proprio sotto la cattedrale e attraverso l’Orb passando dal Ponte Vecchio (XII sec.), della cui bellezza essenziale godo ancora meglio dalla sponda opposta. Lì mi ritrovo come di fronte a una gigantesca cartolina, nella quale tutto sembra inquadrato nel miglior modo possibile. Mozzafiato!
Mi fermo a mangiare uno dei miei soliti cibi in scatola in una piazzetta vicina, ma mi rimetto presto in marcia. In una decina di minuti raggiungo un altro luogo che scopro far parte del patrimonio UNESCO e di cui non avevo mai sentito parlare: le nove chiuse di Fonséranes.
È un’opera ingegneristica del XVII sec. che ancor oggi sembra produca grande stupore, permettendo al Canal du Midi di abbassarsi di circa venti metri su un arco di trecento. Lo fa, appunto, attraverso nove “cancelli”, strutturati in modo tale che anche le imbarcazioni possano gradualmente scendere all’altezza finale.
Tutto il sito è molto ben curato, anche perché pare accolga ogni anno più di trecentomila turisti. Non mi stupisce, una volta arrivato in cima, trovare anche un bel ristorante.
Soddisfatto per la felice scoperta di questo ennesimo gioiello d’oltralpe, mi lascio alle spalle Béziers e ricomincio a camminare lungo il canale. Il sentiero, dopo poche centinaia di metri, si fa stretto e in certi tratti davvero selvatico, diventando ancora più affascinante.
Lo percorro per sei lunghi chilometri, di cui la seconda metà immersi tra i campi – nella maggioranza dei casi ancora sterminati vigneti. In mezzo ad uno di questi, vedo un uomo a cavallo lanciato come se ci fosse un’emergenza. È una scena d’altri tempi per me, e d’un tratto mi sembra di essere tornato indietro di alcuni secoli.
Quando inizio di nuovo a vedere barche attraccate, capisco di essere giunto a destinazione: è il porto di Colombiers, finalmente. Ha una forma insolita che lo rende particolarmente interessante, così come le forme e i colori delle imbarcazioni che lo occupano. Il paese vi si affaccia con una piazza commerciale un po’ anonima, ma di fianco spicca un edificio dal sapore più antico, che scopro essere una vecchia cantina, alle cui spalle fa capolino un piccolo castello.
Mi riposo con gusto, aspettando l’apertura del minimarket, e dopo la spesa mi allontano dal centro per raggiungere il campeggio dove dormirò. Vengo accolto benevolmente dalla giovane coppia di proprietari. Lui parla un po’ italiano perché lo aveva studiato a scuola, e lo usa con simpatia. Con mia grande gioia, mi fanno addirittura uno sconto “pellegrino” senza che io chieda nulla. Stanchissimo ma soddisfatto della bellissima tappa, mi dedico poi agli impegni che restano, in attesa dell’ora di cena.
Ultima nota di giornata è che mi si rompe a metà la conchiglia appesa allo zaino. Era un regalo per la mia partenza da parte dei proprietari della casa che ho lasciato, Antonella e Renato.
Incredibile: pochi giorni fa, a Montpellier, resistevo alla tentazione di comprarne una nuova proprio per onorare questa, e ora eccola rotta. Un po’ mi dispiace, ma non cedo certo ad interpretarlo come un cattivo presagio. Solamente, chiedo “al cammino” di farmene avere lui un’altra, perché non mi va di comprarne una qualsiasi. Vorrei avesse ancora la bellezza di un dono. Chissà se sarò ascoltato…