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cammino di santiago - roberto pesenti

16/10 Oloron-Sainte-Marie – Mauléon-Licharre

(a casa di Nico, con Air BnB)
35km

Ieri sono riuscito a convincere Jean-Luc ad anticipare l’orario della colazione, ma non è voluto scendere sotto le 7:30. Mi avrebbe fatto comodo una mezz’ora in più, anche se comunque è stato gentile: è rimasto anche a farmi compagnia a tavola. Abbiamo chiacchierato di pellegrinaggi, con un francese che sto iniziando a maneggiare ogni giorno sempre meglio. Da questo punto di vista è un peccato che lasci questo Paese proprio ora, ma ho un obiettivo più grande.
Sperando che le prossime ore non frantumino questo mio buon umore, comincio poi a fare quello che faccio ogni mattina: iniziare a mettere un piede davanti all’altro!

Fuori fa freschino. Auto non mancano, ma non c’è nemmeno troppo caos. Seguendo la strada che ho studiato, arrivo fino a un grande giardino pubblico di fine ‘800, con un chiosco per concerti nel centro. Me lo lascio alle spalle e, dopo aver attraversato un ponte sulla ferrovia, entro in un quartiere periferico vicino all’ospedale. Le case diventano man mano sempre meno, e in un paio di chilometri sono già in piena campagna, giusto in tempo per godermi una delle mie amate albe.

Terminata un’altra breve parentesi tra campi e allevamenti, mi immetto su una dipartimentale molto trafficata, con un gran viavai anche di mezzi pesanti. Inizialmente non ha davvero nulla di bello, è tutta da sopportare, ma poi il paesaggio attorno migliora quel tanto che basta da riuscire a sopportare meglio il resto.
Prima del paese di Orin, riesco finalmente a spostarmi su una tranquilla parallela più vicina alle colline. La via collega sei paesi che insieme compongono la valle di Josbaig.

I piccoli centri che attraverso, poco distanti l’uno dall’altro, sono tutti molto decorosi, in certi casi anche eleganti. Per l’ennesima volta, mi capita di notare uno stile architettonico omogeneo, con i soliti tetti che sto incontrando fin da Balaguéres e molti altri dettagli ricorrenti. Più che in altri posti, sembra esserci una identità ben definita e la volontà di esprimerla.

A Géronce mi fermo a prendere un caffè in un bar abbastanza anonimo. All’interno ci sono solo il proprietario e un cliente, entrambi sulla settantina. Forte del francese ormai oliato, approfitto di una loro curiosità per parlare un po’ e condividere il buon umore di oggi. Nella semplicità del momento, accade una cosa piccola che però mi tocca tanto: ricevo veri complimenti per il fatto di aver imparato la loro lingua senza studiarla, e in premio mi viene addirittura offerto il caffè. Ringrazio con gran sorpresa. So solo io i sacrifici che mi ha comportato la mia impreparazione, e l’asprezza gratuita di certe cose subite. Questo caffè me lo ricorderò molto a lungo.

Dopo Geüs-d’Oloron, la strada torna a incrociare la dipartimentale di qualche ora prima. Mi ci immetto di nuovo, il tempo di arrivare all’imbocco di un sentiero dove riaggancio il GR78. Fin qui stamattina ho fatto di testa mia, per ridurre il chilometraggio totale della giornata che altrimenti sarebbe stato insostenibile, ma ora proseguirò fino in fondo seguendo la traccia GPS di Sara. In alcuni tratti corrisponderà alla via ufficiale, ma poi la “tradirà” in molte occasioni. Da molto tempo, però, questo non è più un problema per me. Le grandi vie tracciate francesi sono favolose, ma nell’ottica di un cammino di tre mesi (nel pieno di una pandemia) bisogna fare i calcoli con tanti altri fattori.

Passo tra qualche campo gigantesco, imboccando poi un’altra grande strada, ma meno battuta della precedente. Snodandosi tra boschi e pascoli, in meno di un’ora mi conduce a L’Hôpital-Saint-Blaise: un piccolissimo villaggio, ma molto noto per la presenza di un’antica chiesa. Fortunatamente la trovo aperta, e ne approfitto per un momento di pausa e di raccoglimento. È molto sobria e spoglia, ma leggo che è particolarmente preziosa per la sua unicità architettonica. Addirittura anch’essa, come già la Eglise Sainte-Marie di Oloron o le Chiuse di Fonséranes a Beziérs, è nella lista UNESCO dei patrimoni dell’umanità.

L’altra particolarità di questo paese è che le case, pur mantenendo caratteristiche simili a quelle viste finora, si assomigliano tra loro ancora di più: le facciate sono tutte dello stesso tono neutro e le imposte rigorosamente rosse o marroni. Ad un tratto, noto anche una griglia artistica in ferro battuto applicata ad una finestra. C’è rappresentato un uomo con un cappello inconfondibile. Direi che ormai gli indizi sono sufficienti: sono ufficialmente entrato nei Paesi Baschi francesi.

Torno sulla strada e la seguo per ben 10 km. Serpeggia anche questa in mezzo all’ennesima valletta, noiosa quando chiusa tra alti alberi, e splendida quando si apre su pascoli verdissimi.
A causa di alcuni smottamenti, purtroppo, devo rinunciare a una passaggio lungo un sentiero tra i boschi che mi avrebbe fatto molto piacere. L’asfalto affatica molto di più che la terra, anche se ho trovato qualche escamotage per ridurne i cattivi effetti sui miei piedi: in particolare, una specie di passo alternato inventato da me. Sembra buffo a dirsi, ma lo uso da settimane in circostanze simili – e non solo – e funziona alla grande. Mi permette di cambiare costantemente l’appoggio dei piedi, quel tanto che basta ad evitare di fare attrito sempre e solo negli stessi punti. Oltretutto, concentrarmi sul mantenimento del ritmo mi libera da ogni altro pensiero e mi fa camminare più velocemente, eppure con meno fatica.

Dopo un’ora mi fermo a pranzare nei pressi di un ponte, baciato dal sole e con la vista rilassante di un piccolo campo verdissimo. Mi godo la pausa più che posso, anche perché la parte più impegnativa della tappa deve ancora venire.

Una volta tornato per strada, passa ancora un’ora e mezza prima che possa finalmente lasciare la dipartimentale. Seguendola arriverei a destinazione senza troppi fronzoli, ma preferisco così piuttosto che fare un altro chilometro su questa strada.
La svolta sta in corrispondenza di una curiosa chiesetta dedicata alla Madonna di Lourdes, affiancata ad un piccolo nucleo di case. Nel cortile di una di queste noto una signora che beve un caffè. Ne approfitto per chiederle se potrebbe riempirmi la borraccia. Accetta, ma quando torna ho la faccia tosta di domandarle anche un caffè. Noto che il gesto non le fa piacere, ma probabilmente non vuole mostrarsi scortese e accetta, aprendomi anche il cancello. Usando un po’ di simpatia e mostrandole molto rispetto, riesco a non farla pentire della buona azione. Finiamo anche col fare due chiacchiere molto distese, salutandoci poi con sincera allegria.

Passo l’ora successiva salendo a zig zag tra le colline, immerso nel verde e allietato dalla presenza di tanto bestiame al pascolo lungo la via.

La salita si prolunga molto, e in certi tratti si fa particolarmente ripida, ma riesco a stringere i denti e arrivare in cima in maniera dignitosa. Prima che parta la discesa verso Mauléon, noto un cancello aperto su un grande prato tondeggiante, che sembra affacciarsi verso valle. Entro senza pensarci troppo, scoprendo uno splendido belvedere che mi ripaga dei 30 km già camminati.

In mezz’ora scarsa, poi, riesco a raggiungere le prime case a valle. Non vado subito in centro; la prendo molto larga per far la spesa in un supermercato della mia catena preferita. Attraverso il fiume Saison – che taglia a metà la cittá – e scorgo anche un castello arroccato su un colle. Ieri ho studiato un po’ la tappa, ma non avevo letto niente a riguardo. Ad ogni buon conto, per ora non me la sento di arrivare fin lassù. Ci penserò magari dopo aver appoggiato lo zaino.
Per stanotte, l’unico alloggio che ho trovato è una stanza in casa di un ragazzo – tale Nico, prenotata tramite AirBnB. Non è troppo economica, ma non avevo scelta. Dalle fotografie e dai comfort indicati, però, sembra che valga quello che ho speso – cosa che non è sempre scontata.

Per raggiungere l’alloggio scelgo un tragitto molto largo, così da poter dare anche una sbirciata al centro della cittadina. Non noto niente di superlativo fino a quando sbuco in una lunghissima piazza che ha il dono di avere tutti i suoi alberi infiammati dai migliori colori dell’autunno. In quello stesso luogo, oltre all’ennesimo elegante chiosco per concerti, vedo dal vivo per la prima volta il cosiddetto fronton. Non è altro che un muro contro il quale si gioca uno sport estremamente tipico: la pelota basca. In questo caso è davvero gigantesco, ma so che ce ne sono di molto più piccoli.

Prima di proseguire, entro nell’ufficio turistico di fianco per far timbrare la credenziale. L’impiegata è molto gentile e insiste perché dedichi una visita anche alla parte alta di Mauléon, quella più antica. Mi accenna anche al fatto che questa è una delle capitali delle espadrilles, un tipo di scarpe che non sentivo nominare da quando ero piccino, e che la grande festa del paese si tiene a metà luglio. L’idea di tornare e trovare la grande piazza stracolma di gente, con musica a non finire e delizie di ogni genere mi stuzzica non poco: i baschi sono famosi per essere grandi festaioli e con loro c’è sempre da divertirsi.
Lungo il mio piccolo tour, resto colpito anche da altri edifici davvero appariscenti, come un’enorme villa monumentale, il palazzo comunale e un’altissima chiesa neogotica. Mauleon è già riuscita a conquistarmi con la sua bellezza, non me lo aspettavo per niente.

Attraverso per la seconda volta il ponte sul Saison, e finalmente raggiungo l’alloggio. Nico non è in casa, ma mi ha indicato dove trovare le chiavi. Le fotografie e le recensioni non mentivano: è un appartamento bellissimo. Ci rimango però solo una decina di minuti, perché voglio seguire il consiglio ricevuto, visitando la Cittá Alta prima che imbrunisca.

Senza più lo zaino, affronto la salita quasi saltellando: una sensazione di leggerezza pazzesca. Lassù scopro un quartiere affascinante, dall’aria molto popolare. Ancora una volta, tutto si affaccia attorno a una grande piazza, stavolta molto inclinata. Al centro stanno solo la grande sala pubblica e un altro piccolo fronton. Alcuni degli edifici laterali, civili o religiosi, sono vecchi di diversi secoli. L’impiegata aveva ragione: valeva davvero la pena passare di qui. Peccato per il castello chiuso, ma spero di tornare almeno una volta nella vita (quante volte me lo sono già ripetuto in queste settimane!).

Rientrato a casa e sistematomi per bene, incontro finalmente Nico, ma solo per un quarto d’ora perché stasera ha un impegno fuori. Nonostante il poco tempo condiviso, mi fa un’ottima impressione. È poco più giovane di me ed è insegnante di nuoto. È un lavoro che lo impegna per una sola metà dell’anno e ci tiene a dichiarare la grande fortuna che ha di essere pagato dallo Stato per il periodo in cui è inattivo. Dalla sua, cerca di approfittare il più possibile di questo privilegio viaggiando da anni in tutto il mondo. Fa viaggi di settimane o anche mesi, e la casa è piena di foto bellissime scattate da lui in tutto il pianeta. Mi spiega che stasera non può farmi compagnia perché fa anche il volontario nei pompieri. Una persona davvero inesauribile!

La cucina è fenomenale e c’è anche un angolo bar da professionista, altra passione del proprietario. Mi sento davvero a mio agio e approfitto del wi-fi per guardarmi un film e rilassarmi al meglio.
Domani arriverò a Saint-Jean-Pied-de-Port! Sarà un’altra tappa imponente, ma qualcosa mi dice che avrò le ali ai piedi.

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Francia, Nouvelle-Aquitaine, Pyrénées-Atlantiques