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cammino di santiago - roberto pesenti

21/10 Pamplona – Puente la Reina / Logroño

(Albergue municipal)
24km

Alla sveglia c’è fermento nel grande albergue. Siamo in tanti, e ognuno con un piano diverso per superare la chiusura della regione. È stata una notizia che ci ha destabilizzato all’inizio, ma ci siamo sostenuti a vicenda e ora c’è voglia di recuperar la leggerezza del viandante, andar oltre l’ostacolo e continuare la strada verso Santiago.

Muoviamo i primi passi intorno alle 8:30. Le vie della città non sono ancora illuminate dal sole, ma il cielo è terso. Abbandoniamo il fascinoso centro storico attraversando un parco dopo l’altro. I viali che calpestiamo hanno conchiglie d’ottone incastonate nella pavimentazione: sostituiscono le frecce gialle, facendoci sentire ben voluti e accompagnati.
Camminiamo verso la periferia, e dopo un paio di chilometri ci troviamo circondati da grandi palazzi moderni. In molte città questo cambio di scenario porta con sé anche qualche segnale di degrado, mentre qui è il contrario: tutto si mantiene ordinato e pulito. Gli spazi rimangono anche particolarmente ariosi, popolati da tutte le persone che iniziano la propria giornata.
Mentre sfioriamo i verdi giardini del campus universitario, spunta anche il sole, con quel suo bacio ben augurante capace di regalare energie uniche.

Poco dopo raggiungiamo il delizioso ponticello di Acella Landa, sul piccolo río Sadar. È un affluente del fiume Elorz, che abbraccia Pamplona assieme all’Arga.
Come ieri, resto colpito dalla grazia delle aree immediatamente a ridosso di questi corsi d’acqua, e basta una piccola ricerca mirata sul web per scoprire che non ho esagerato con l’enfasi. La città, infatti, ha investito sulla realizzazione di veri e propri parchi fluviali. Devono essere una benedizione per la gente del posto, e non di meno per noi pellegrini.

Proseguendo lungo una sorta di ciclabile, superiamo le cittadine sorelle di Cizur Menor e Zizur Mayor, oltre le quali poi comincia la campagna vera e propria. In un attimo ci troviamo immersi tra enormi terreni recentemente arati ma già seccati dal sole, e anche l’asfalto lascia spazio a un più godibile sentiero ghiaioso. È uno scenario essenziale, capace con i suoi pochi elementi di innescare un senso di stupore e libertà. Ci sentiamo calati in un pezzo magico di mondo, fuori dal tempo, tra natura, agricoltura e storia, e la semplicità dei nostri passi sembra essere la condizione ideale per assaporare queste suggestioni.

La strada non è piana, e dei leggeri saliscendi arricchiscono il nostro “navigare”. Il cammino è scandito dai mojones in pietra che stanno a lato della via. Ognuno impreziosito dalla stessa conchiglia gialla, sembrano guidarci premurosamente.
Anche il clima è quanto di meglio avremmo potuto desiderare: il calore del sole, infatti, sta combattendo sulla nostra pelle una lotta ostinata con la frescura del vento – oggi tanto forte che pare di poterlo afferrare. Sopra di noi, infine, un cielo azzurrissimo e qualche nuvola irrequieta completano la tavolozza di questo spicchio di mondo e di vita.

Sappiamo di essere fortunati nel poter essere qui ora, e ce lo ripetiamo di frequente. Mentre avanziamo non restiamo compatti e le nostre chiacchiere sono molte meno del solito. È evidente che tratti come questo rendono affamati di contemplazione e riflessioni interiori, cosicchè finiamo per regalarci vicendevolmente spazio e silenzio, in totale spontaneità.

Più o meno di nascosto, ci facciamo l’un l’altro qualche fotografia, e alcune di queste diventano poi piccoli regali che ci scambiamo sorridendo. È emozionante vedersi immortalati in mezzo a paesaggi simili. Le nostre sagome solitarie si innestano perfettamente in questo palcoscenico, sul quale l’anima del mondo sembra integrarsi totalmente con quella del viandante.

Dopo circa 11 km di marcia, sostiamo per un attimo presso una lapide dedicata ad un pellegrino venuto a mancare. Scendiamo poi nel paesino di Zariquiegui, dove troneggia sotto il sole la bella chiesa di San Andrès – negli splendidi grigi e ocra delle sue pietre.
Tiziano ricorda nitidamente che in passato qui ci fosse un bar, ed essendo già le 11 sarebbe l’ideale per calmare i nostri stomaci e spezzare la mattina. Troviamo solo un microscopico negozio di alimentari e souvenir, ma almeno ha una macchinetta per il caffè, e tanto basta. La titolare si dimostra gentilissima, anche se inevitabilmente un po’ amareggiata per l’annata funesta e l’imminente chiusura della regione. Consumiamo la merenda sulle panchine davanti alla chiesa, scaldandoci al sole come lucertole.

Tornati in marcia, usciamo dal paese e iniziamo la salita verso lo scollinamento tanto atteso, quello dell’Alto del Perdón, uno dei luoghi più significativi del Camino Francés.
In un punto abbastanza anonimo nel mezzo del sentiero, troviamo due pellegrine spagnole in sosta. Sono le uniche incontrate oggi, logicamente per via delle misure di confinamento. Chi si troverà all’interno del perimetro della regione dopo le 19 di stasera, infatti, sarà costretto a rimanerci fino a nuovo ordine – o almeno così viene minacciato.
Tenendo conto che saranno anche impediti nuovi ingressi, è più che probabile che in questo momento siamo gli ultimi a camminare sul Francese. Anzi no! Dimenticavo che alle nostre spalle restano ancora Serena e le sue due compagnie di viaggio. Stamattina sono partite molto più tardi di noi, ma siamo d’accordo di salutarci a Puente de la Reina prima di dividerci.

Man mano che la cima della collina si avvicina, anche l’emozione sale. A qualche decina di metri dall’obiettivo, ci giriamo a contemplare il territorio già percorso, scorgendo nitidamente Pamplona in lontananza. A questo punto io scelgo di accelerare il passo, desideroso di arrivare in cima. Tiziano, invece, opta per il contrario, preferendo gustarsi il momento rallentando.

Chi prima chi dopo, cominciamo a intravedere i profili delle famose scultore che tanto caratterizzano la sella, anche se a dominare la scena sono le gigantesche pale eoliche. Fanno da sentinelle lungo tutto il crinale, con il loro movimento lento e il loro biancore poco naturale, ma confesso che a me non dispiacciono.
Manca poco a mezzogiorno quando muovo i primi passi sopra l’Alto del Perdón. La terra che ora si staglia di fronte a me è sconfinata, e dovunque io posi lo sguardo incontro bellezza. Le mie urla di gioia ed entusiasmo accolgono l’arrivo di Amedeo e poi di Tiziano. Anche i loro occhi sono luccicanti di emozione: ci sentiamo forti e felici.

Pur essendo ancora molto distante dalla grande meta, sento comunque di aver raggiunto un traguardo particolarmente speciale. Non è il fatto che sia uno storico luogo di passaggio per i pellegrinaggi di ogni tempo; la vera ragione sta nella scoperta che qui il vento, la terra, il cielo e il sole si incontrano in maniera unica e per me totalmente inedita. Ho anche la sensazione profonda che questi stessi elementi primordiali stiano gioendo con me, come se mi avessero aspettato, come se riconoscessero nel pellegrino l’ultimo tassello perché questo luogo raggiunga il suo apice di bellezza e di senso.
Sono pensieri grandi, ma sembrano nascere in piena e spontanea armonia.

A tale concerto di emozioni partecipa anche l’arte, nella forma della famosa scultura tagliata nel ferro da Vincente Galbete e installata qui nel 1996. Rappresenta una carovana di pellegrini di diverse epoche, tutti diretti verso la tomba dell’apostolo. Sono sagome suggestive, che si sposano splendidamente all’ambiente che le circonda, diventando un accento fisico e visivo riuscitissimo. Su di esse campeggia la frase “Donde se cruza el camino del viento con el de las estrellas”, che stimola ancor di più la forza poetica che pervade il sito.

Una cosa manca, però, e inaspettatamente: è il silenzio. Sul crinale, infatti, il vento soffia con enorme forza e nelle orecchie si produce un boato ininterrotto. Non sono mai stato un amante di questo elemento, eppure qui pare non disturbarmi. Anzi, addirittura lo sto percependo quasi come un amico. In realtà, è un sentimento che già provato anche nelle settimane passate – soprattutto in terra francese – ma qui ne sto vivendo l’espressione più entusiasmante.
Dedico qualche minuto sulla soglia della discesa che ci aspetta. Se mi sporgo di qualche grado, qui il vento è sufficientemente forte da potermi sostenere. Resto così, quindi, impercettibilmente sospeso. Gioco con questo soffio che sembra inesauribile, e il suo fischio si trasforma in un’allegra risata che trascina anche me.
Momenti simili si tramutano immediatamente in pilastri indimenticabili per quest’esperienza già superlativa.

Restiamo quasi mezz’ora, pur sapendo che ci aspettano ancora una decina di chilometri. Quando infine salutiamo l’Alto del Perdón e cominciamo a scendere, il cielo si ingrigisce. A valle imbocchiamo una via ghiaiosa simile a quella delle ore precedenti, ma ancora meno pianeggiante.


Dopo un’ora di saliscendi tra campi arati, incontriamo il paese di Uterga. Sembra ben curato, ma non incontriamo anima viva. Solo verso la fine troviamo un albergue aperto che fa anche da bar, e ne approfittiamo almeno per un aperitivo.
Il proprietario è un giovane sudamericano che vive qui da una vita con la famiglia. Trasmette una grande rilassatezza e ci accoglie molto gentilmente. Anche lui sta patendo quest’annata economicamente buia, ma tenta di affrontare la cosa senza piangersi addosso.

Seduti ai tavolini fuori, facciamo conoscenza anche di Abel, un cliente del posto che si dimostra particolarmente originale ed espansivo. Scambiamo due chiacchiere parlando di calcio, del Cammino e della festa di San Firmin a Pamplona – che ci dice essere di proporzioni incredibili, seconda solo al carnevale di Rio de Janeiro. Promettiamo a noi stessi di parteciparvi prima o poi, nonostante il pensiero di questa pandemia incomba minacciosamente anche sul futuro di tutti quanti.

Riprendendo la nostra marcia, superiamo l’anonima Muruzábal e raggiungiamo Obanos. All’ingresso del paese veniamo guidati da una fila di conchiglie d’ottone incastonate nel manto stradale, come quelle viste a Pamplona. Sono indizio di una cura estetica che scopriamo caratterizzare l’intera cittadina. C’è anche una chiesa molto grande, che purtroppo si va ad aggiungere alla lunga lista di quelle trovate chiuse in questi mesi. La superiamo passando sotto ad un arco splendido e costeggiando poi un campo coperto di pelota basca.
Obanos ci saluta definitivamente attraverso l’ennesima scultura dedicata al Cammino. Si tratta di un’alta lastra di ferro da cui è stata asportata la sagoma di un pellegrino, e si è invitati a passarci attraverso. Forse non un’idea superlativa, ma comunque sempre un dettaglio piacevole a scandire il nostro avanzare. Chissà quanti viandanti moderni si sono divertiti a passare in quell’esatto spiraglio!

Tramite Tiziano, riceviamo nuove indiscrezioni riguardo alle misure delle regioni per contenere la nuova diffusione del virus. Pare sia sempre più probabile che da un giorno all’altro si decida di confinare anche la Rioja, la regione in cui tutti ci sposteremo stasera. Spendiamo quindi gli ultimi chilometri tentando di ragionare sugli scenari possibili, ma finiamo col rinviare tutto a quando avremo la mente più lucida e la pancia piena.

Sono da poco passate le tre del pomeriggio quando finalmente raggiungiamo Puente la Reina. Passando subito davanti ad un albergue gestito da religiosi, chiediamo il piacere di un timbro sulla credenziale. Nessuno pernotterà qui stanotte, ma ci fa piacere avere un ricordo dell’ultimo luogo raggiunto a piedi in Navarra.

Superata la Iglesias del Crucifijo, ci incanaliamo nella via centrale del paese, dove troviamo chiusa anche la chiesa di Santiago El Mayor. Poco dopo, un bar attira più di altri la nostra attenzione trasmettendo all’esterno della musica particolarmente piacevole. Successe esattamente lo stesso ad Espinal, qualche giorno fa, una volta scesi da Roncisvalle. Decidiamo però di rinviare l’almuerzo per visitare prima il famoso ponte che dá il nome al paese.
Una volta raggiunto, restiamo sorpresi per la grandezza e l’ottimo mantenimento. Quest’opera, però, non è il solo motivo per cui è famosa Puente la Reina. Proprio qui, infatti, convergono le due vie pellegrine più note per superare i Pirenei: il cammino proveniente da Saint-Jean-Pied-de-Port e quello dal passo di Somport.

Dopo un po’ di contemplazione e le foto di rito, è finalmente arrivato il momento di pranzare. Anzi, innanzitutto di brindare, con l’irrinunciabile cerveza di fine tappa. Comincia anche un po’ a piovere, e il bar deve chiudere per una breve pausa. Acconsentono però a servirci comunque, lasciandoci seduti ai tavoli esterni, protetti sotto un grande ombrellone.

Cominciamo a ragionare su quale strategia adottare per oltrepassare La Rioja prima che ne chiudano i confini. Ovviamente, considerare gli scenari peggiori ci destabilizza e ci crea pure un sottile rammarico, ma approfittiamo del nostro essere gruppo per sostenerci a vicenda.
Fortunatamente, comunque, la regione è piccola e allungando il passo dovremmo uscirne in un paio di giorni – a seconda di dove troveremo alloggio in questo periodaccio. Sarà una bella sfacchinata, certo, ma alla nostra portata.
L’aspetto che più ci preoccupa è che queste chiusure potrebbero poi riguardare anche le regioni successive, compromettettendo forse definitivamente questa bella avventura. Come ogni altro pellegrino entrato in Spagna fino a pochi giorni fa, avevamo già considerato fin dalla partenza quest’evenienza, ma trovarcisi di fronte ha tutto un altro sapore.

Mentre aspettiamo Serena, Muche e Jana per salutarle – così si chiamano le altre due – vado a comprare qualche scorta di cibo.
Le tre amiche pellegrine, giustamente, se la sono presa con comodo e arrivano solo verso le 18:30. Mentre consumiamo un ultimo aperitivo, le ascoltiamo descrivere brevemente la comunità in cui vivono, a circa 30 km da qui. È un esperimento di convivenza che nasce a partire da una realtà già esistente, un albergue a Villamayor de Montjardin fondato anni fa da un hippie olandese giramondo -me lo descrivono proprio così. Pare che questi avesse riconosciuto nel cristianesimo la migliore centratura per la propria spiritualità, e nel Cammino il luogo dove spenderla pienamente.
Così come già successo a Zubiri quando ci siamo conosciuti, il loro racconto riesce a catturarmi e ci lasciamo con la promessa di risentirci ancora una volta dopo l’arrivo a Santiago, pandemia permettendo.

Come previsto, poco dopo riceviamo un messaggio da Maria, la ragazza che abbiamo trovato con BlaBlaCar e che ci accompagnerà a Logroño in auto: sta per arrivare a prenderci. Salutiamo quindi il bel trio di amiche e andiamo ad incontrarne una nuova.
La nostra autista si rivela una ragazza vitale, allegra e piena di risorse. Già microbiologa, non si è accontentata della prima laurea e ha proseguito gli studi, scegliendo di studiare farmacia. Come se non bastasse, è anche poetessa e proprio ha recentemente pubblicato il suo primo libro.

Il viaggio con lei si rivela divertentissimo, anche se in me ribolle comunque una certa malinconia mentre vedo scorrere il paesaggio al crepuscolo fuori dal finestrino. Sembrano terre decisamente affascinanti, eppure Tiziano ieri mi aveva detto che non mi sarei perso un granchè. Ho il sospetto lo abbia fatto apposta per spegnere le mie ultime fantasie da pellegrino integralista. Glielo dico, e non riesce a nascondere il sorriso di chi è stato beccato. Alla fine, però, va bene anche così: la tappa di oggi è stata comunque indimenticabile e valeva la pena percorrerla.
A dirla tutta, sono anche un po’ stranito dal viaggio in auto, dal muovermi stando seduto e a questa velocità. L’ultima volta che avevo preso un mezzo era stato poco prima di Montpellier, assieme a Fabian, ed è passato quasi un mese.

Arriviamo a destinazione verso le 20, salutiamo la nostra divertente accompagnatrice e raggiungiamo l’Albergue Municipal. Passiamo anche davanti all’imponente cattedrale, ma la parte inferiore è coperta da alcuni ponteggi. Fortunatamente, almeno quella superiore è libera e ben illuminata e mi aiuta a disintossicarmi un po’ dalla malinconia dei chilometri non camminati.

Una volta registrati e sistemati in albergue, Tiziano e Amedeo si fiondano nella brulicante Calle de Laurel per regalarsi una cena golosissima a suon di pinchos –  golosi e sofisticati stuzzichini, noti come tapas in altre parti di Spagna. Io, invece, opto per una cena spartana in camerata. Con mio grande piacere, si unisce a me anche Zoe, che stamattina ha preso l’autobus fino a Los Arcos, camminando poi l’ultima tappa tra Navarra e Rioja, fin qui.
Sono solo quattro giorni che la conosco – o che la incrocio, per meglio dire – ma parliamo comunque di tutto con una sintonia straordiaria. Ha la metà dei miei anni, eppure la sua testa e il suo spirito sembrano parecchio più maturi. Ormai, poi, è già diventata proverbiale la sua capacità di sopportare i dolori e di proseguire tenacemente, addirittura col sorriso.

Buona parte dei pellegrini che pernottano qui stasera li ho già visti più volte nei giorni scorsi. Gli altri che riempiono le camerate, invece, sono quelli che fino a ieri erano avanti a noi di una, due o addirittura tre tappe: ci ha radunati qui la fuga comune dalla Navarra. Inutile negare che, nonostante i letti alternati, le misure anti COVID non sono certo le migliori possibili, ma è emozionante vedere tanto affollamento di viandanti in unico luogo.

Qualche momento prima del coprifuoco, Tiziano e Amedeo tornano belli carichi da quanto bevuto e mangiato, invadendo la camerata con una sana allegria caciarona. Portano con sé anche la conferma del confinamento della Rioja nel giro di due giorni, ma tutto sommato è qualcosa a cui un po’ tutti ci eravamo già rassegnati.

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Categorie:

La Rioja, Spagna