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cammino di santiago - roberto pesenti

06/09 Oulx – Les Alberts (Finalmente Francia!)

(Camping du Bois des Alberts)
26 km

Passo la notte discretamente e la mattina riesco a sistemare le mie cose alla svelta. Vado a bussare al piccolo bungalow di Jacqueline. Stava dormendo, ma in pochi minuti si sistema e mi accoglie. Nella casina ci sono un cane di grossa taglia e tra gatti. C’è disordine ma allo stesso tempo un grandissimo calore; non in termini di gradi, ma di accoglienza.
Mi offre un tè e mi regala un momento di condivisione davvero magico.
Come molte altre volte, si crea immediatamente una confidenza molto intima. Non posso dire per certo cosa la produca così spesso durante questo viaggio, ma forse l’ho già scritto altrove: dev’essere proprio il fatto che io sia pellegrino, un essere di passaggio la cui esperienza è anche profondamente interiore. In questi panni, si può essere riconosciuti più facilmente come interlocutori d’eccezione, portando le persone ad abbassare con insolita naturalezza il ponte levatoio del proprio cuore.

Jacqueline mi racconta un po’ della sua storia: due figli, di cui uno, quello grande, non lo vede da 17 anni, e purtroppo non sa nemmeno dove si trovi. Poi una persona cara tartassata dai TSO, e lei che vorrebbe andare a vivere in una yurta lontana dalla gente, perché dice di aver già visto e vissuto troppo. Mi parla di piante medicamentose, mi mostra i gioielli che fabbrica e mi dice che fin da piccina ha un rapporto strano coi libri. Emana luce, calore. I miei occhi la vedono come una dolce sciamana.
Saputo dei problemi che ho avuto al ginocchio e quali riflessioni mi avevano prodotto, mi dà un consiglio totalmente inaspettato: se si ripresentasse il dolore, lì o altrove, mi invita a danzare per alleviarlo. Per spiegarmi il motivo e convincermi, imita i movimenti del gatto, del cane o degli uccelli con incredibile somiglianza e persuasione. Dice che tutti gli animali danzano, ed è così che ammortizzano gli urti e superano i dolori. Conserverò di lei e di questo momento un ricordo straordinario, ne sono certo. Ci salutiamo con grande tenerezza e parto a camminare, eccitato fin da subito per il tanto atteso – e temuto – ingresso in Francia.

Camminerò in quel Paese per circa 1200 km. Se tutto continuerà regolarmente, più o meno alla velocità che ho tenuto fin qui, dovrei metterci circa sette settimane. La Francia è terra di attraversamento per me: non è quella da cui parto e nemmeno ospita la mia meta ultima, eppure sarà la nazione dove camminerò per più tempo, e di gran lunga.

In questi ultimi giorni ho iniziato ad imparare qualche termine, qualche frase che potrebbe essermi utile, ma la verità è che non conosco minimamente la lingua. La nomea dei nostri “cugini d’oltralpe” è crudele in questo senso, soprattutto con noi italiani. Perlomeno questa è la convinzione popolare, ma spero con tutto me stesso di vivere esperienze che mi aiutino a contraddirla.
Di certo sarà molto più difficile stabilire rapidamente un dialogo, anche presso chiese o altri luoghi religiosi, dove così spesso ho potuto trovare rifugio durante le settimane passate. Per strada, poi, sarà quasi impossibile, ma chissà. Mai dire mai!

Sara – di Milano – mi sta aiutando a comprendere come funzioni la rete di accoglienza pellegrina che prende forma lungo la Via Domitia. Mi spiega che non esistono strutture ad hoc, e che tutto si fonda su un network di accoglienze familiari. Questo viene coordinato dalle associazioni territoriali affiliate al Cammino di Santiago, perché è a tutti gli effetti una via storica per Compostela.
Ho già con me indirizzi e-mail e numeri di telefono, ma mi domando come mai potrò sostenere una telefonata senza sapere la lingua. I pellegrini francesi che ho incontrato a Pavia e quello incrociato prima di Torino mi hanno assicurato che l’inglese sarà di certo sufficiente. Sarebbe davvero il massimo; incrociamo le dita!


Fuori fa proprio freddo. Praticamente l’unica cosa che mi sono tolto è il sacco a pelo, o poco più, e per ora va benissimo così. Con tutta probabilità, però, mi “sbuccerò” strato dopo strato nel giro di pochissimo tempo.
Esco dal paese passando di fronte alla casa del parroco. In lontananza, in cima alla valle, svetta il monte Chaberton, con un dettaglio curioso che decifro solo in seguito: sulla vetta ci sono una serie di torrette tutte uguali, che fanno sembrare ci sia stato messo un grosso pezzo di Lego sopra. Chiaramente è una fortificazione militare e, cercando sul web, scopro pure che è la più alta d’Europa. Dev’essere un’emozione incredibile salirci. Chissà che in futuro…

Raggiungo la frazione di San Marco, dopo la quale godo subito di una prima immersione nel bosco. Purtroppo, in seguito, i segnali mi fanno scendere sulla grande statale per un paio di chilometri. Torno a salire in corrispondenza di Solomiac, frazione di Cesana Torinese, superata la quale posso tornare tra boschi straordinari. Bello, bello, bello! C’è poco da fare.
Presso la frazione successiva, Mollieres, sono ospitato per una pausa da Mario e Marisa, amici del pellegrino Luciano, che ci ha tenuto a metterci in contatto. Sono una coppia appassionata di cammino e di cammini, e si dimostrano da subito particolarmente affettuosi nei miei confronti: due persone, due nonni, capaci di sorridere ed emozionarsi.
Scopro anche che sono ardenti sostenitori del movimento che reputa gravemente ingiusto il passaggio dei treni ad alta velocità nella valle. Chiedo loro di parlarmene: mi colpisce la loro assoluta lucidità e competenza, e resto particolarmente scosso quando mi descrivono alcuni atti di repressione molto gravi operati contro appartenenti al movimento. A un certo punto, però, sono costretto a interromperli perché mi sono accorto di essermi fermato troppo, ma sono comunque felice di averlo fatto.

Li saluto affettuosamente e proseguo spedito. Arrivo a Cesana Torinese, apprezzando sempre di più le architetture che incontro, nonché l’abbondanza di fiori che decorano giardini e le balaustre del ponte, come e più di Bussoleno. Compro infine qualcosa da mangiare e riparto, attraversando fino in fondo la bella via centrale del paese.
Da lì, dopo alcuni tornanti sulla strada statale, arrivo al piazzale che dá accesso all’area delle gole di San Gervasio, una sorta di canyon profondo in alcuni tratti fino a 100 m, sul cui fondo scorre la Piccola Dora.

È un tratto di un paio di chilometri incredibilmente affascinante. Lo si percorre attraverso una comoda passerella in legno e qualche scalinata, tra cui una finale particolarmente ripida. Una curiosa particolarità delle gole è la presenza del ponte tibetano più lungo del mondo (460 m!), il quale si snoda lungo tutto il canyon a trenta metri da terra. Sulla mia testa vedo file di temerari d’ogni età affrontare quel percorso tanto scenografico. Dev’essere un’emozione straordinaria.

Concluso l’attraversamento, salgo fino ad uno splendido spiazzo verde dal quale posso contemplare le gole dall’alto e gongolarmi per la strada fatta. Non solo quest’ultima, in realtà, ma tutti i 500 e più chilometri percorsi fin qui. Sono davvero a un utlimo passo dalla Francia, in mezzo a luoghi superlativi, in una giornata mozzafiato e in piena forza. Non posso chiedere di meglio.
Sosto lì per un po’, facendo asciugare la maglietta e mangiando qualcosa, mentre attorno a me un sacco di bambini giocano felicissimi e le rispettive famiglie si godono i loro pic-nic. Sento di avere un gran sorriso in volto che non vuole proprio andar via.

Finita la pausa, raggiungo in pochi minuti Claviere, dove mi faccio timbrare la credenziale. È la prima volta, fin qui, che anticipo questa mossa, senza aspettare di riaggiungerela la meta di tappa. Il fatto è che non so se là ne avranno uno da apporre, ma allo stesso tempo è come siglare il termine del tratto italiano del mio cammino.

Cinquecento metri dopo, infatti, sono ufficialmente in Francia. Ci sono arrivato da casa, non ci posso credere! Ovviamente, selfie di rito al cartello e gioia assoluta.
“Gran traguardo, Robi! Grande!”, mi dico ovviamente da solo.
Emozioni e fatica, che bellissima accoppiata!
Nonostante il momento abbia per me un valore quasi epico, scelgo di ripartire subito perché mi aspettano ancora 7 km per arrivare al campeggio, ed è già tardi.

Mezz’ora dopo, all’inizio del comune di Montgenèvre, trovo una grande targa che mi gonfia il cuore quasi più di prima: è quella che introduce alla Via Domitia, il cammino che da qui conduce fino ad Arles: 435 km, quasi quanti quelli che ho già percorso. Secondo la nomenclatura francese, si chiama GR 653D. È una via relativamente giovane. Il suo nome nasce da quello della famosa via Tolosana verso Compostela, al quale però è stata aggiunta la D di Domitia. Un modo per dare continuità tra l’uno e l’altro cammino giacobeo. In realtà, però, io rinuncerò al passaggio da Tolosa; opterò invece per la via del Piemonte Pirenaico (GR 78), ricalcando l’esperienza della “zia” Sara.
Con lei continuo a sentirmi regolarmente. È sempre gentilissima e piena di energie positive che le piace condividere con inusuale generosità. Purtroppo non le mancano motivi di preoccupazione in questo periodo, ma si ostina a far prevalere le proprie migliori risorse e a rimanere disponibile per “i pazzi” come me, così dice sempre. Ho scelto di seguire il suo itinerario anche perché il passaggio da Lourdes è qualcosa che mi attrae molto, e la via Tolosana passa molto più a nord. Comunque, vedremo.
La targa dice che mancano 2010 km a Santiago. Che roba! Speriamo proprio di farcela.

Attraverso tutto il piccolo comune e, seguendo la segnaletica bianca e rossa come quella dei nostri sentieri CAI, imbocco una bellissima via tra i boschi. La vegetazione è diversa quanto basta per percepire nitidamente che qualcosa è cambiato. Può sembrare assurdo che, una volta passato un semplice confine politico, ci sia uno stacco netto tra le tipologie di piante, eppure è quello che vedo. Forse, più semplicemente, è così già da Claviere, che sta nettamente più in alto di Oulx, ma non me ne sono reso conto se non fino a qui.

A metà sentiero devio, tradendo fin da subito il GR. Ne esco per dirigermi al Camping du Bois des Alberts, dove dormirò stanotte. Anche la spianata sottostante già riesce ad incantarmi. Il piccolo centro abitato vicino al campeggio, a sua volta, mi dà l’impressione di essere particolarmente pittoresco, armonioso. Sarà la suggestione, ma ho il presentimento che potrebbe essere un’esperienza più frequente di quanto possa immaginare qui in Francia.
Perdo un po’ l’orientamento e finisco col passare da un sentierello dietro al grandissimo campeggio, costeggiando un corso d’acqua di piccole dimensioni. Intuisco solo dopo un po’ che quello non è altro che La Durance, il fiume che scava la valle e che più avanti vedrò crescere e snodarsi per un bel po’ di giorni.

Il campeggio è grande e singolare, stracolmo di alberi snelli e altissimi. La receptionist (Cecile, mi pare) è particolarmente gentile e, con mia grande sorpresa, spiccica anche qualche parola di italiano. Mi prende in simpatia e mi regala addirittura un gettone lavatrice, che però non uso, e non faccio nemmeno la doccia, ahimè, perché è troppo tardi e fa davvero un freddo cane; i panni non asciugherebbero mai e io rischierei un gran raffreddore. Della poca gente che sembra esserci, sono l’unico in tenda, e non credo sia un caso.
Mangio focaccia, tonno e biscotti alle 18.30, e due ore dopo già tento di addormentarmi, ovviamente con addosso tutti – ma proprio tutti – i vestiti che ho portato con me. So da giorni che questa notte sarà una delle più fredde del mio cammino. Speriamo vada tutto bene!

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Categorie:

Francia, Hautes-Alpes, PACA