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cammino di santiago - roberto pesenti

10/09 Baratier – Prunières

(casa di Claire e Jean-Paul)
32km

Sveglia! Oggi mi aspetta una tappa tosta, ma so già che ci sarà un bel premio alla fine: attraverso la signora Georgette, la responsabile di zona per l’associazione amica del Cammino giacobeo, ho avuto la fortuna di trovare una coppia disponibile ad ospitarmi. Sarà la prima volta che mi succede qui in Francia, e non vedo l’ora!
Secondo la guida, la meta di oggi sarebbe dovuta essere Savines-le-Lac, ma l’ospitalità che mi è stata offerta mi impone di andare ben oltre, e precisamente nel paesino di Prunières. Questo significherà macinare anche oggi parecchi chilometri e affrontare dislivelli molto impegnativi, ma resto entusiasta.
Lungo il percorso sembra ci siano anche alcuni luoghi speciali che sono proprio curioso di visitare – sempre se sarà possibile. Avanti, quindi!

Prima meta: il bar in piazza a Baratier. La manager del campeggio ieri mi ha avvisato che la caffetteria avrebbe aperto presto, quindi ho deciso che oggi inizierò regalandomi una colazione come si deve. La barista è giovane e carina, sia nei modi che nell’aspetto. Purtroppo sta ancora sistemando tutto e i croissants non sono ancora arrivati. Ergo, posso solo prendere un caffè, ma perlomeno accompagnato da un bel sorriso.
Riempio meglio la pancia nel paesino successivo, Crots, molto grazioso. Lì, in un bar-panetteria, ho il piacere di incontrare una seconda commessa giovane, gentile e carina. A questo punto sì che posso dire la giornata sia iniziata al meglio!

Uscito dal paese, sono già per sentieri. Mi aspetta una prima salita non esagerata, ma lunga qualche chilometro. Nel primo tratto, voltandomi, posso anche godere di uno splendido panorama sul lago di Serre-Ponçon, quello che già avevo potuto ammirare ieri.

In cima, a più di 1100 m di altitudine, i miei passi sono premiati dall’incontro con una splendida abbazia, quella di Boscodon, che prende il nome dal torrente che scava la vallata sottostante.
Il sentiero mi fa gustare la bellezza della costruzione fin da lontano. Avvicinatomi, noto subito un particolare molto affascinante che impreziosisce il giardino attorno all’edificio: dal ramo di uno grande albero pende un altalena il cui sedile è un masso di pietra; tutt’intorno, dei pezzi di tronco posti a cerchio fungono da sedute.
È un’immagine inusuale, che però regala un senso di vissuto recente, di una spiritualità non impolverata ma attiva, quasi poetica. Noto anche un piccolo pannello informativo in cui viene descritto proprio quel cerchio, con l’aggiunta di spunti di meditazione e preghiera.
Alzando poi lo sguardo, vedo altri angoli di giardino originali e attraenti, ognuno corredato da una colonnina come quella da cui ho appena letto.
Facendomi guidare da questi doni per la vista e per lo spirito, aggiro tutta l’abbazia, godendo della sua armonia e del suo fascino.

Una quindicina di metri davanti a me c’è un gruppo di turisti. Stanno ascoltando la loro guida. È una signora magra e un po’ buffa, perché ogni cosa che indossa – dal cappello alle scarpe, dalla giacca ai calzini, fino al trolley che si trascina e il microfono – è tutta colorata dello stesso identico rosa shocking.
Saluto la comitiva, con la voce e scuotendo la mano sopra la testa. Quando sono felice è il mio modo di condividere quella gioia, un gesto semplice e istintivo. Purtroppo non risponde nessuno. Pazienza.

Dopo aver completato il giro del complesso, entro finalmente nella chiesa. Il gruppo è già all’interno e mi impedisce di vivere come vorrei quel luogo spoglio, magnetico e ben curato, ma poco male. Lo visito comunque in libertà, godendo di tanti dettagli davvero raffinati e senza fronzoli, come piace a me. In particolar modo, sono le statue presenti ad attrarmi. Scolpite nel legno, giusto un po’ grezze, veicolano perfettamente la spiritualità di quel luogo. Esco affascinato e soddisfatto, concludendo poi il tour del giardino – costellato da altri angoli interessanti e originali – e tornando infine sul sentiero.

Come ieri, mi aspetta una lenta discesa verso il lago; nello specifico verso Savines-le-Lac, una località vocata al turismo. Secondo la guida, sarebbe dovuta essere meta di tappa, ma io oggi devo proseguire.
Arrivo sulle rive del lago dopo circa un’ora passata tra i monti. Da lì parte un lunghissimo ponte che porta all’altra sponda.
Controllo la mappa e guardo la montagna di fronte. Per raggiungere la famiglia che mi ospiterà, dovrò salire quel versante per un dislivello di circa 400 m, e da lì camminare ancora due o tre chilometri in piano.

Prima di cimentarmi con l’impresa, mi rilasso per almeno mezz’ora a Savines-le-Lac, che mi fa davvero una buona impressione. Il suo fascino si lega soprattutto all’incredibile scenario naturale in cui è incastonata, ma anche a livello urbanistico si difende bene.
In una piazza fiorita, ai piedi di una chiesa moderna, qualche artista ha installato alcune sculture in qualche modo “interattive”, nel senso che non sono solo da contemplare. Sono fatte di materiali poverissimi e di certo non eterni, come paglia e legno di recupero. Una “interagisce” con la fontana e l’altra, una sorta di simpatico manichino intento a leggere un libro, è posto a sedere sulla panchina. Mi ci siedo di fianco e spio il finto libro che tiene tra le mani, trovando una scritta inaspettata:

“Se sei troppo stanco per parlare, allora siediti al mio fianco, perché io parlo fluentemente anche il silenzio”.

Ancora sorridente per il buffo incontro, scendo per attraversare il ponte.
I marciapiedi sono troppo stretti e i mezzi sfrecciano a pochi centimetri dai pedoni, ma il disagio è ripagato dalla vista sul lago: stando proprio lì in mezzo risulta particolarmente suggestiva.

Una volta sull’altra sponda, comincia una salita asfaltata molto impegnativa. Come sempre, man mano ci si alza, i paesaggi tutt’intorno si fanno più stimolanti perché il panorama si amplia, ma il peso dello zaino e la fatica nelle gambe rovinano un po’ quel piacere.
Incontro anche pascoli bellissimi, con tante pecore che si contendendono la poca ombra. Continuo la salita lasciando per un po’ l’asfalto, ma la pendenza non si attenua: un bel 9% per più di 5 km complessivi; non certo una passeggiata, soprattutto a fine tappa.

In cima a questo spezzone così faticoso c’è il piccolo borgo di Saint-Apollinaire. Ingenuamente, ho dato per scontato fosse una chicca imperdibile per meritare tutta questa fatica, ma resto stupito e deluso dal fatto che l’itinerario cambi direzione proprio un attimo prima di raggiungerlo.
Mi domando, allora, quale altro motivo ci sia per avermi fatto salire fino a lì, sospettando sia davvero “solamente” per poter ammirare il pur splendido panorama. Esausto, confesso di aver maledetto per qualche istante questa Via tanto bella quanto massacrante, e continuo ad avere forti dubbi che gli antichi pellegrini seguissero una rotta tanto bislacca.

In ogni caso, da qui in poi posso godermi il tratto in piano, che si ammorbidisce anche in una piccola discesa verso Prunières. È lì che sono d’accordo di trovarmi con Claire, la signora che mi ospiterà.
Poco prima del mio arrivo, mi avvisa di essere occupata in qualche commissione, e mi chiede di aspettarla presso una piccola chiesa, che mi invita di cuore a visitare. Io opto invece per la panchina di fianco e mi regalo un sacrosanto sonnellino.
Claire arriva circa un’ora dopo, trovandomi meno sconvolto e più rasserenato di quando sono arrivato. Prima di partire, insiste per mostrarmi l’interno della chiesa, con orgoglio e grande devozione.

È una donna di circa settant’anni, ma dà l’impressione di avere una gran forza. Di certo è una che si dà da fare, penso tra me. Me lo fa pensare il fatto che indossi abiti evidentemente usati per qualche lavoro di fatica, e poi la sua guida spigliata di un minivan che assomiglia un po’ a quello di tanti artigiani delle mie parti.
È anche una bella donna: alta, solare, con lunghi capelli grigi legati sulla nuca. Si intrattiene qualche minuto con l’abitante di una casa di fronte. È una scena di splendido vicinato, anche se non capisco quasi nulla.

Arrivati alla casa, poco distante, resto subito affascinato: è uno chalet grande e bellissimo, con una vista stratosferica sul lago sottostante e tanta natura tutt’attorno. Claire mi racconta che hanno finito il giorno prima di disporre la nuova pavimentazione della terrazza. Un lavoro non da scherzare, visto che fa il giro di mezza casa.
Una volta entrati, resto esterrefatto. Il piano d’ingresso è un ampio open space invaso di luce naturale, ricco di mobili e suppellettili incredibilmente ricercati. La particolarità, però, è il disordine, ma non inteso negativamente. La casa, pur colma di cose preziose – evocazioni di innumerevoli viaggi e una gran cultura – sembra allo stesso tempo un cantiere, o un laboratorio. Questo mix inusuale, questa bellezza originalissima ma per niente impomatata, mi incanta e mi riempie di ammirazione.
Saliti al piano superiore, lungo una scala di legno decorata curiosamente con prese e corde per arrampicata, mi mostra dove dormirò. Qui tutto è ancora più impregnato di vivacità familiare, con giochi di ogni tipo, un tavolo da biliardo e tanti piccoli dettagli creativi che mi fanno sentire particolarmente a mio agio.

Ringraziata la gentilissima signora, mi do una sistemata, per poi scendere ad aiutarla. Mi ha infatti avvisato che ne avrebbe bisogno, perché il giorno prima il freezer si è spento e va preparata tutta la carne che c’era conservata. Passiamo forse più di un’ora a staccare – con ogni coltello possibile – polpa di cinghiale dalle ossa di quei grossi tagli. La metterà poi a bagno per un giorno con del vino rosso e tante verdure.
Nel frattempo, tentiamo di dialogare, ma davvero col francese sono a livelli angoscianti, sia per me che per chi tenta di capirmi. Risultato: tanti lunghi silenzi, spezzati solo da qualche tentativo in cui, pur impegnandomi, finisco con l’ingolfarmi in balbuzie imbarazzanti.
A un certo punto, arriva un vicino a chiedere una cosa in prestito e Claire mi invita a presentarmi perché lui parla un po’ inglese, e io le avevo fatto presente che con quella lingua e lo spagnolo me la so cavare. Ne approfitto al volo e mi godo qualche minuto di conversazione: una vera boccata d’ossigeno, per poi tornare a concludere il lavoro in cucina.

Il marito, Jean-Paul, è in casa, ma ho avuto giusto il tempo di salutarlo e poco più. La ragione è che deve riposare molto a causa di un recente problema cardiaco piuttosto grave. Per cena, però, ci riuniamo tutti a tavola. Lui stesso partecipa alla preparazione del pasto, regalandoci una omelette squisita. Aprono dell’ottimo vino, cucinano spaghetti al sugo, dei gamberi freschissimi e mettono in tavola formaggi superlativi. Sono senza parole.

Mi mettono a mio agio in una maniera incredibile, soprattutto perché scopro che con lui posso tranquillamente parlare inglese. Ogni volta chiedo di tradurre alla moglie, scusandomi ancora una volta per la mia incapacità di sostenere un dialogo nella loro lingua. A un certo momento, però – sorpresa delle sorprese – lui mi invita a parlare direttamente con Claire che, in quanto interprete, conosce la lingua d’oltremanica meglio di lui. Io rimango allibito e con gli occhi spalancati la guardo con un’espressione interrogativa molto eloquente. Lei, sottilmente irrigidita, mi risponde che io non avevo chiesto se lei lo parlasse o meno. Vista la valanga di generosità che stanno mettendo in gioco su ogni altro fronte, non posso che riderci sopra e continuare a godermi la cena chiacchierando amabilmente con entrambi.

Due storie molto affascinanti, le loro. Un dettaglio che non mi sarei aspettato è che sia lui che lei sono nati in Marocco, anche se nella casa avevo percepito una radice non prettamente francese. Li elogio tantissimo per il loro buon gusto. Loro mi ringraziano gentili e mi rispondono che, se di buon gusto si tratta, l’hanno di certo ereditato dai rispettivi genitori. Mi parlano della loro numerosa famiglia e Claire mi accenna anche alla sua grande devozione.

La serata si conclude con una simpatica sorpresa: quando presento loro la mia credenziale, Jean-Paul ha un’illuminazione e va a cercare qualcosa nell’armadio di una stanza vicina. Torna con il timbro più originale mai visto: c’è rappresentata la sua faccia – e già questo è insolito – ma addirittura è agghindata con una corona e degli occhialoni da sole! Ridendo, mi racconta che l’ha comprato in Giappone, durante un viaggio in famiglia. Coi nipoti si è divertito a provare una cabina che, come quelle che semplicemente fanno fototessere, offriva anche quel curioso servizio.
Sulla credenziale il marchio sta bene; le regala una soffiata d’ironia che non mi dispiace, però poi Claire insiste per fare delle aggiunte. Usa un timbro abbastanza anonimo con il nome della famiglia, ma con incluso il vecchio indirizzo. Non contenta, quindi, prende una biro e cancella quest’ultimo per sostituirlo con l’indirizzo nuovo; infine, correda il tutto anche di piccole montagne disegnate al momento, a fare da illustrazione al nome del dipartimento dove ci troviamo, les Haute-Alpes. Ne esce ovviamente un gran pasticcio, ma va benissimo così. Resterà un ricordo prezioso, indubbiamente unico.

Da gran signori, non accettano nessuna offerta di denaro, lasciandomi disarmato e pieno di sincera gratitudine per un’ospitalità andata ben oltre l’essenziale.
Ci auguriamo buonanotte, tutti e tre felici delle belle ore passate assieme.

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Francia, Hautes-Alpes, PACA