(da Dominique e Bernard)
25 km
Mi sveglio nella mia cella, intontito e con un insolito presentimento, come se la giornata mi stesse aspettando con qualcosa di estraneo. In realtà non c’è niente di nuovo: da quando sono in cammino, ogni notte sembra sempre portar con sé qualche strana inquietudine. La spinta e il gusto di mettersi in marcia ogni mattina mi permettono di scrollarmi di dosso quasi tutto con una certa facilità.
Questa volta, però, quando accendo la luce sobbalzo dallo spavento: sulla parete di fianco al letto, a un palmo dalla mia faccia, c’è un ragno gigantesco! Per fortuna è lì immobile, così ho meno problemi ad alzarmi, prendere un foglio e farcelo salire per “accompagnarlo” gentilmente fuori dalla porta. Non è stato certo il modo migliore per iniziare la giornata, ma perlomeno la strizza mi ha svegliato per bene, mettiamola così.
Mentre ancora c’è buio e piuttosto freddo, mi dirigo verso il refettorio a fare colazione. Sono da solo e fuori orario, ma ho ricevuto il permesso ieri.
Prima di partire, quando ormai l’aurora ha preso il posto della notte, mi regalo qualche minuto di contemplazione sulla valle che comincia ad animarsi. La Durance scorre silenziosa tra i tantissimi appezzamenti rettangolari. Sembra un nastro scuro in mezzo a tanti fazzoletti. Il cammino mi farà lasciare ancora – per qualche tappa – questo fiume ormai amico. Guardando la cartina, scopro che lo rivedrò un’ultima volta presso Cavaillon, fra qualche giorno, e poi non più.
Di per sé la cosa non mi tocca, se non simbolicamente. Questo fiume mi ha accompagnato per moltissimi chilometri qui in Francia – o sono io che l’ho seguito? Lasciarmelo alle spalle dopo così tanto tempo mi aiuta a capire meglio la portata del mio procedere. Se poi penso che oggi si concluderà il mio primo mese di viaggio, beh, l’emozione si fa sentire e la consapevolezza fa un limpido passo avanti.
Gambe in spalla, ora! Scendo dall’altopiano dell’abbazia tagliando un buon numero di tornanti fino a valle. Salgo poi la collina opposta, quella che avevo visto ieri sera dal bosco, e proprio seguendo la strada tutta curve che tanto mi aveva affascinato.
La camminata lungo il pendio è incredibile, con un’alba tra le più belle mai vissute, infuocata!
Successivamente incontro boschi incantevoli, tra muschi verdissimi, cortecce grigie e muretti a secco.
In una decina di chilometri ho già attraversato due ambienti naturali totalmente diversi ed entrambi stupendi. Ma non è finita, perché questo tratto da sogno mi sta accompagnando a Lurs, un borgo fondato addirittura da Carlo Magno per i vescovi di Sisteron.
Poco prima di arrivarci, camminando su un largo crinale, incontro la piccola cappella di Notre-Dame-de-vie. Tra i tanti appellativi dedicati a Maria, questo mi suona nuovo e particolarmente seducente; potrebbe forse essere diversamente per un pellegrino? Anche la costruzione stessa, pur semplice e minuta, ha il suo fascino: sembra un piccolo tempio. È posta in alto e regala una splendida vista delle due valli sottostanti, oltre che della stessa Lurs, ormai vicinissima.
Anche il tratto tra la chiesetta e il borgo si distingue per la sua originalità. Viene chiamato “la passeggiata dei vescovi”. Da un lato si trova una suggestiva parata di quindici edicole medievali, poste ciascuna su una colonna; dall’altro c’è un muretto a secco che fa da balaustra sulla grande vallata sottostante, con la presenza di alcuni terrazzi veri e propri di forma semicircolare. A parole è un po’ macchinoso da spiegare, ma trovarsi lì regala un senso di bellezza, storia e armonia incredibili, pur nell’umile semplicità di ogni elemento.
L’arrivo a Lurs corona queste prime due ore di cammino, che da sole meriterebbero una visita fin qui.
Le costruzioni sono evidentemente restaurate, ma con grande sobrietà e raffinatezza. Non mancano piante e fiori, sempre capaci di impreziosire ogni luogo. C’è una chiesa romanica che mi piacerebbe visitare, ma ancora una volta trovo una porta chiusa ad aspettarmi. Se la Francia fin qui mi ha già regalato assaggi straordinari della sua bellezza, è anche vero che quest’annata mi ha precluso la visita a tantissimi luoghi speciali. Pazienza.
Lungo la breve via centrale mi imbatto anche in un piccolo anfiteatro di pietra all’aperto, coronato da cipressi. Arricchisce straordinariamente il borgo, ma scopro sul web che la sua costruzione non è per nulla antica, infatti risale solo a qualche decennio fa. Anche in questo caso, non posso che togliermi il cappello davanti alla magnifica abilità di valorizzazione di questi territori.
Concludo questo breve ma memorabile passaggio sostando un po’ in piazza. A impreziosirla, una torre dell’orologio del tutto simile a quella di Sisteron e una grande terrazza in pietra che regala l’ennesima vista mozzafiato.
Con la gioia nel cuore per quanto già visto oggi, comincio la discesa, ritrovandomi ben presto ad attraversare campi arsi dal sole, con pochissimo riparo. Nonostante ciò, camminare su e giù per queste colline rimane un’esperienza piacevolissima.
Dopo circa un’ora, incontro una coppia di turisti francesi in vacanza. Parlano inglese e ne approfitto per scambiare due chiacchiere. Essendo molto gioviali, scelgo di accompagnarli a Pierrerue, un paesello arroccato fuori dal mio tragitto, ma che sembra l’unico luogo nelle vicinanze dove potrei trovare un negozio o un bar. Lungo la salita me li lascio alle spalle, scusandomene più cordialmente possibile. Purtroppo sono molto lenti e la cosa mi affatica enormemente.
Una volta in cima, mi perdo un po’ tra le viuzze ma non trovo nessun negozio aperto. Come spesso capita, purtroppo, il piccolo abitato sembra deserto. Riesco però a cogliere in fallo una signora uscita per sbattere la scopa e le spiego che sono solo un pellegrino in cerca di un caffè, e magari anche di un frutto. Mi indica la strada per un bistrot dietro l’angolo, anche se per un attimo mi ero illuso me li offrisse lei. Ingenuo me! Sfortuna poi vuole che sia il giorno di riposo del bistrot, così alla fine mi tocca tornare mestamente sui miei passi senza bottino. All’uscita del paese, però, mi imbatto fortuitamente in una pianta di fichi con qualche frutto superstite, e ringrazio il cielo per aver avuto pietà di questo viandante affamato.
Tornato a costeggiare i campi aridi, faccio conoscenza delle chiocciole che infestano questo territorio. Sono piccole, bianche e sono veramente ovunque! Si arrampicano fino in cima a ogni singolo stelo d’erba, ai pali dei cartelli, e chi più ne ha più ne metta. Non sono riuscito a trovare informazioni a riguardo, ma suppongo siano un problema grave per queste terre, nonostante alla vista siano piuttosto graziose.
A pochi chilometri dall’arrivo, prendo una decisione importante che stavo maturando da qualche giorno. Grazie al cielo la caviglia sembra ormai a posto, e voglio provare a concludere la tappa senza la fascia elastica che stavo usando per sostenerla.
La scelta veramente importante, però, è un’altra: tentare di tornare a camminare senza più la ginocchiera. La porto ormai da tre settimane e ho macinato circa 500 km da Mortara a qui. Nonostante i duri dislivelli delle Alte Alpi, non ho più avuto nessun tipo di problema, se non quello di dover rammendare più volte le cuciture, consumate dallo sfregamento con i supporti in alluminio.
I muscoli si sono fatti, e ho la sensazione che ora siano sufficientemente forti da sopperire da sé al mio problema.
A quanto pare ci avevo visto giusto: libero da ogni supporto ortopedico, riesco a raggiungere con agio inaspettato la mia meta di oggi: Forcalquier. Ginocchio e caviglia sembra proprio siano pronti a tornare autonomi. Sono felicissimo!
Quella pelle che era coperta da settimane durante le ore di cammino ora la sento accarezzata dall’aria. Probabilmente è qualcosa che nessun poeta ha descritto prima, eppure per me è una delizia senza paragoni. L’unica accortezza che ho scelto di adottare è stata quella di tagliare un po’ il percorso originale, rinunciando a salire una collina che stava proprio alla fine della tappa.
A destinazione dovrò telefonare a Dominique e Bernard, con i quali mi ha messo in contatto il mitico Marc Bottero. Mi daranno ospitalità per la notte. In dieci giorni di Francia, è la terza coppia che mi offre questa opportunità. Se penso a come era cominciata e al persistere della pandemia, non posso che essere grato ed entusiasta.
Avendo risparmiato un po’ di strada, sono in anticipo quanto basta per mangiare qualcosa e visitare come posso la cittadina.
Per il pranzo, faccio la mia solita tappa al supermercato e poco dopo trovo un bellissimo giardino dove sedermi con calma e riempirmi lo stomaco. Pur essendo di libero accesso, è proprietà privata di un ex convento che oggi ha tutt’altro uso. Ad oggi, infatti, è sede di un interessante istituto di formazione e ricerca nell’ambito delle piante aromatiche. Mi sembra una cosa curiosa, ma immagino che non ci sia posto migliore della Provenza per una realtà simile.
Dopo il pranzo, mi carico lo zaino in spalla e raggiungo la piazza principale. Mi regalo un caffè in un bar, scambiando due parole piacevoli con il barista e un cliente, curiosamente entrambi abili nel parlare un po’ di spagnolo. Riuscire a comunicare senza grande fatica è una gioia che non assaporavo da un po’.
Visito poi la chiesa, mi faccio timbrare la credenziale all’ufficio turistico e vado a zonzo per le vie del centro, ricche di molte attività legate alla creatività artistica, oltre che di bar e ristoranti. Tento anche di salire sulla collinetta chiamata la Cittadelle. In cima c’è un’elegante cappella, e la vista a 360° su tutta la zona dev’essere bellissima. Purtroppo la salita è troppo ripida e inizio ad aver paura di sovraccaricare il ginocchio, quindi a metà strada scelgo di tornare indietro. Il viaggio mi sta insegnando a conoscermi di più e a dare sempre particolare priorità ai messaggi che il corpo mi comunica.
Decido che è arrivata l’ora di chiamare Dominique, che mi indica come raggiungere un grande crocifisso che sarà il nostro punto d’incontro. Proprio lì faccio conoscenza con una gentile signora, anche lei in attesa di qualcuno. Sono talmente gioioso che metto in gioco con inedita esuberanza il mio misero francese, scoprendo che sta cominciando a perfezionarsi. Diciamo che sta quasi arrivando a sembrare decente, anche se giusto per la comunicazione più spiccia.
Dopo pochi minuti arrivano entrambe le persone che stavamo attendendo e si inscena un divertente concerto di saluti.
La mia ospite si conferma una persona gentilissima, così come mi era parso al telefono. La casa, come le altre che ho avuto la fortuna di visitare fin qui, è molto accogliente e arredata con gusto particolarmente originale. Mi racconta che era un ex casello ferroviario. La creativa di casa è lei: produce tanti piccoli manufatti e prodotti per la bellezza, l’igiene e la cura erboristica. Mi racconta di essere silvo-terapeuta e che ha anche scritto un libro sulla sua esperienza lungo il cammino di Santiago.
Dopo una decina di minuti mi accompagna alla stanza e mi lascia sistemare. Tornato dalla doccia, mi indica poi un posto davvero insolito dove appisolarmi un po’: una tettoia in fondo al cortile, sotto alla quale hanno sistemato un letto singolo in ferro battuto bianco. Se non è classe questa!
Addirittura c’è anche una vasca con delle carpe e altri dettagli che rendono quell’angolo un vero e proprio salotto all’aperto.
Prima di cena arriva il marito Bernard, e poi ci raggiunge a sorpresa anche il buon Marc. Sono molto felice di poterlo incontrare dal vivo, e trovo conferma di quanto sia amabile e divertente.
Davanti a un buon aperitivo in giardino, nasce una chiacchierata multilingue. Infatti, ci troviamo a combinarne in maniera bislacca addirittura quattro, perché Marc mastica un po’ di italiano e ama usarlo, Domi lo stesso ma con lo spagnolo, e Bernard se la cava invece con l’inglese. Tra di loro ovviamente parlano francese, e io mi barcameno come posso. Vado in tilt di quando in quando, ma divertendomi comunque molto.
A cena rimango con i soli padroni di casa che mi deliziano con lasagne, buon vino e dei crumble alle more fresche straordinari.
Al termine, Dominique mi fa anche un’altra sorpresa, regalandomi una specie di amuleto: un medaglione di legno che ha preparato apposta per me mentre dormivo in cortile. Basandosi sulla mia data di nascita – che dice mi leghi alla figura del druido e alla pianta del sorbo – ci ha disegnato sopra un simbolo che li evoca. Mi invita ad annusare il profumo di quel legno ogni volta che sentirò il bisogno di liberarmi da eventuali preoccupazioni e mi garantisce che così “riuscirò a ricentrarmi sempre sul mio camminare”.
Dopo questa gentilezza inaspettata e originale, ci auguriamo la buonanotte e ci ritiriamo nelle nostre stanze. Non potevo festeggiare meglio il mio primo mese di cammino!