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cammino di santiago - roberto pesenti

18/09 Céreste – Gargas

(Camping @ casa di Valdo, con AirBnB)
27 km


Le amiche cicliste si svegliano presto quanto me, così ho la felice opportunità di salutarle prima che affrontino il loro ultimo giorno di viaggio. Pur avendo passato poco tempo assieme, sono state una simpaticissima compagnia.

Vivo l’uscita da Céreste immerso in una luce magica, che mi fa intenerire un po’ mentre mi lascio alle spalle questo paesino forse non così speciale, ma di cui conserverò un ottimo ricordo.
Dopo una ventina di minuti, lascio la strada asfaltata e inizio a costeggiare alcuni campi di lavanda, sempre con il rammarico di non poterli veder fioriti e con la promessa a me stesso di tornarci almeno una volta nella vita.
Qualcosa però va storto, e finisco in un viottolo a fondo chiuso, dove perlomeno posso godermi una gran bella vista sulla vallata successiva, quella che dovrò raggiungere. La svolta nei campi era sul programma, ma l’ho anticipata di una decina di metri. Ad ogni modo, in pochi minuti torno sulla direzione giusta.

A valle attraverso altri campi di lavanda, stavolta grandissimi, con quei cespugli bassi e paffuti tutti in perfetto ordine. Fa eccezione una bassa collinetta piena di zucche, grosse e arancioni, quante non ne ho mai viste prima.

Non mancano nemmeno i vigneti, compagnia che sta diventando sempre più frequente. Anzi, nel giro di poco tempo mi ritrovo circondato da vigne a perdita d’occhio! Mi torna in mente che Bernard, il marito di Domi a Forcalquier, mi aveva avvisato che sarei rimasto stupefatto, e a quanto pare ci ha azzeccato perfettamente.
Ovunque, viti cariche di grappoli maturi e invitanti: una tentazione alla quale cedo inizialmente con misura, perdendola però in pochissimo tempo.
Assaggio uve diverse, ma senza sapere nulla sulle varietà del posto, così scelgo di mandare un messaggio vocale a un’amica sommelier a Bergamo. La sua risposta entusiasta mi aiuta a rendermi meglio conto di dove mi trovo. Con entusiasmo, mi risponde che sono nel bel mezzo del Luberon. Qua e là avevo già letto questo nome durante gli ultimi giorni, ma sto facendo un po’ fatica a distinguere tra i confini amministrativi e quelli che delimitano le zone vitivinicole, come in questo caso.
D’altronde, prima di partire non ho studiato nessun territorio che avrei attraversato, perchè ho fatto le cose particolarmente di fretta. Un po’ me ne dispiaccio, ma tutto sommato quello che volevo era vivere un vero e proprio tuffo, e direi che da questo punto di vista sta andando alla grande così.

Rimanendo in tema di approfondimenti geografici, concludo la mia traversata nel dipartimento delle Alpi dell’Alta Provenza ed entro in quello del Vaucluse.
Mi affretto quindi a scrivere un messaggio whatsapp al nuovo referente di zona della solita rete di supporto ai pellegrini verso Santiago, sperando di trovare alloggi disponibili per i prossimi giorni. La risposta non arriverà mai, se non ancora dal buon Marc, il referente del dipartimento precedente, che tanto mi aveva aiutato. Mi avvisa che la persona che cerco ha ricevuto il messaggio, ma sta percorrendo la via del Piemonte Pirenaico, proprio quella che seguirò nella seconda parte di Francia. A quanto pare, questo fa sì che non sia disponibile per aiutarmi e dovrò accontentarmi di una lista di strutture ricettive tradizionali, che tra l’altro già avevo.
Decido comunque di scrivere di nuovo al responsabile di zona per comunicargli con entusiasmo che anch’io percorrerò quel lungo tratto e, se vorrà condividere qualche informazione utile, ne sarei molto felice.
Purtroppo non mi risponderà neanche stavolta, nemmeno con un augurio di buon cammino, aggiungendosi così al bacino di piccole dissonanze che sta macchiando un po’ qua e là questa avventura in terra francese. Tento di prenderla con filosofia, ripetendomi che la maleducazione non è una questione di nazionalità.

Il confine del dipartimento corrisponde in parte anche con un tratto del fiume Cavalon, che attraversa tutta questa grande vallata, e che incrocerò diverse volte fino alla città, quasi omonima, di Cavaillon, al termine di questo prestigioso territorio.

Lungo il tragitto mi imbatto in un poverissimo cartello di legno che mi colpisce per la gran conchiglia bianca avvitata sopra. È un segno inequivocabile, infatti sotto sta scritto “Santiago” bello in grande. Più in basso c’è anche l’indicazione “mini accueil pelerins – café donativo”, e infine una freccia che indica la fattoria di fianco. Quelle poche parole sono sufficienti a evocare una terra lontana, oltre i Pirenei, ma evidentemente qualche traccia è già qui ad aspettare pazzi come me. Mi scappano un sospiro e un sorriso. Quanta strada ancora da fare, e quanta già percorsa. Sono felice, libero e fiero di me.

Provo a bussare, ma trovo la porta chiusa. Non fa nulla: il solo cartello mi ha già regalato gioia e vigore, ma visto che a cuor contento il ciel l’aiuta, ecco arrivare in auto proprio ora la padrona di casa! Caffè per oggi non ce n’è, mi spiega, ma mi regala comunque un bel grappolo d’uva. La accetto, ma poco dopo il mio stomaco alza bandiera bianca: per oggi davvero non ne posso mangiare un acino in più!

Il tempo è sereno e la fatica si fa sentire. Un bivio mi obbliga a scegliere tra una comoda strada rettilinea e una salita verso l’ennesimo borgo, Saignon. Cedo al nuovo amore nato per il Luberon e salgo a dare un’occhiata.
Probabilmente indebolito anche dal caldo, arrivo in cima totalmente scoppiato, ma rimango letteralmente a bocca aperta per la bellezza del luogo. Dopo ore di campagna, mi trovo ora in una piazzetta splendida con un’elegante fontana centrale. Tutt’intorno, poi, edifici in pietra impreziositi da sipari di edera e deliziose persiane color pastello.
Quest’ultimo dettaglio lo sto notando fin da quando sono entrato in Francia: gli abbinamenti tra i colori delle facciate e quelli degli infissi sono spesso molto originali e mai pacchiani. In bergamasca, al contrario, si sta addirittura imponendo sempre più il gusto per il bianco abbinato al nero: un’accoppiata stridente con qualsiasi tavolozza la natura regali. Da anni mi chiedo perché si autorizzi questo scempio.

Tornando a Saignon, incrocio lo sguardo di una coppia di mezza età seduta fuori dal bar con il loro aperitivo. Mi guardano sorpresi e sorridenti, e capisco al volo perché: ho ancora la bocca aperta per la bellezza della piazza, gli occhi spalancati, il fiatone e un grande zaino con una conchiglia attaccata. Sono un uomo felice, e la felicità è contagiosa. Così sfodero il mio miglior francese per dire anche a loro quanto sono sorpreso e contento.
I due sorridono ancora di più e brindano alla mia.
L’unica nota stonata è che sulla fontana trovo ancora una volta l’indicazione di acqua non potabile, così entro al bar e chiedo il favore di riempirmi la borraccia. Sorprendentemente, scopro che hanno sentito quello che ho detto ai due clienti e così, oltre all’acqua mi regalano anche un croissant fresco di giornata. Sono gioie non da poco, e grandi lezioni. Spero mi rimangano impresse.

Senza sentir più la fatica, comincio a esplorare le vie attorno. In quel fazzoletto di mondo tutto sembra essere quasi perfetto. Arrivo alla piazza della chiesa – chiusa, purtroppo – dopodiché mi lascio guidare da cartelli che indicano diversi siti significativi all’interno del borgo. Mi chiedo come sia possibile che un paese così piccolo contenga tanti luoghi d’interesse.
Mi viene in mente quello che ho sentito nei peggiori discorsi da bar della mia vita: il fatto che i francesi facciano sembrare ogni rudere un’attrazione imperdibile. Il punto, però, è che qui non ci sono solo pietre anonime con una didascalia a fianco. Non funziona così, la realtà è tutt’altra: qui io sto trovando pezzi splendidi di storia perfettamente incastonati nel territorio in cui si trovano, curati in modo superbo e valorizzati a pieno, inseriti in una rete inappuntabile di attrattive turistiche di ogni genere, naturali, sportive, culturali e gastronomiche.
Forse mi sbaglierò, trascinato come sono dall’entusiasmo, ma a me pare che questi nostri “cugini” ci sappiano davvero fare.

Punta di diamante di questo pregiato paesino è uno dei luoghi più sorprendenti che abbia mai visto. Si tratta di uno sperone di roccia dalla forma davvero insolita: a spanne è alto una decina di metri, lungo più del doppio e largo cinque. La roccia è composta da tanti strati orizzontali che lo fanno sembrare un enorme millefoglie.
Una volta avvicinatomi, ne noto la sinuosità, e scopro la presenza di una scalinata che gli sale a fianco, scavata nella stessa pietra in chissà quale epoca. La salgo, emozionatissimo anche dal fatto che non c’è nessuna vera balaustra, ma solo un muretto molto basso che non proteggerebbe nemmeno un bambino.
Arrivato in cima, scopro che la parte superiore è quasi piana, spoglia, se non per qualche arbusto e un alberello. Anche qui resto sorpreso non ci sia quasi nessuna protezione sul perimetro, né antica né moderna, nemmeno l’ombra di una messa in sicurezza. Però mi rendo conto che quella nudità contribuisce a rendere unico quel luogo, amplificando la sua natura primitiva, fuori dal tempo.
Da lì posso godere di una vista panoramica su buona parte della vallata percorsa oggi e di quella che ancora mi aspetta.

Mi godo il momento per qualche minuto, poi scendo, lasciando il borgo e tornando a calcare la Via Domitia, fino a raggiungere Apt, che sta proprio in mezzo al Luberon. Pur con un centro storico affascinante, stavolta non resto incantato. Secondo la guida, solitamente questa è una meta di tappa, ma ho trovato una soluzione più conveniente in un paesino poco distante, utilizzando AirBnB.
Là, però, difficilmente avrò la possibilità di farmi timbrare la credenziale, così scelgo di farlo qui. Stranamente, l’ufficio del turismo è totalmente fuori dal centro, ma per fortuna rimane almeno lungo il mio itinerario.
Con mia gran sorpresa e piacere, ritrovo dietro al banco la signora Delphine, la stessa gentilissima operatrice di Céreste, che a quanto pare lavora da entrambe le parti e che entra direttamente nella brevissima lista di persone che fin qui ho rivisto nell’arco di giorni diversi.

Lasciata Apt, abbandono ancora anche la via segnalata perché è l’unico modo che ho per raggiungere Gargas, il paese dove abita Valdo, il mio ospite.

Il posto non è proprio dietro l’angolo, ma al mio arrivo vengo accolto con un gran sorriso, disponibilità e simpatia. La particolarità di questa mia prenotazione è che non avrò una stanza, ma semplicemente la possibilità di piantare la tenda in giardino. La doccia, tra l’altro, sta anch’essa fuori: è una di quelle solari per campeggiatori. Non è il massimo e ringrazio il cielo che non piova, ma perlomeno è l’ennesima esperienza originale che avrò da raccontare.
La piastra dove cucinare, invece, si trova in una specie di lavanderia trasformata in locale multifunzionale dedicato agli ospiti, con accesso indipendente.

Per cena scaldo un piatto pronto un po’ azzardato, con fagioli e carne d’oca. Ho scelto la marca più costosa e, in effetti, riesce a farmi illudere per qualche istante di star mangiando qualcosa di fresco.
Valdo mi viene a salutare, avvisandomi che lui e la sua famiglia stanno per uscire a cena. Con tutta probabilità e mio dispiacere non li vedrò più, perché io andrò a letto presto come al solito e domani partirò quando loro ancora dormiranno. Così non ci resta che salutarci e augurarci il meglio.

Mentre studio le tappe a venire, noto che appeso ad una parete c’è incorniciato un bellissimo proverbio:

Lo spazio di una vita è lo stesso,
che tu lo passi cantando o piangendo.

Resto qualche minuto a riflettere su questa piccola grande perla. Ne ho scoperte davvero tante fin qui, potrei fare un libretto solo con quelle.
Mi rendo conto di essere sereno e stanchissimo: la condizione migliore per andare a dormire; così spengo tutto, chiudo la lavanderia e vado in tenda, sperando tanto di riuscire a riposare decentemente.

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Categorie:

Francia, PACA, Vaucluse