Info Racconto Extra
cammino di santiago - roberto pesenti

01/10 Rieux-Minervois – Carcassonne

(da Vincenzo e famiglia)
31 km


La nottata è passata inaspettatamente molto male. La comodità del letto, purtroppo, non è servita a nulla contro la digestione infinita della falsa cena gourmet. Pensavo ormai di avere uno stomaco di ferro, ma evidentemente mi sbagliavo.
Michel mi dá il buongiorno con un abbondante colazione. Fatico un po’ ad affrontarla, ma apprezzo si sia alzato prestissimo per prepararmela. Ieri, infatti, lo avevo avvisato che sarei voluto partire prima del mio solito per evitare – almeno un po’ – la pioggia prevista per quest’oggi.

Una volta lasciata Rieux, la strada asfaltata affonda nell’oscurità, ma io mi limito ad accendere nient’altro che la spia rossa della torcia frontale, e solo al passaggio di qualche rara automobile. Risale tutto alla mattina del diluvio di Saint-Rémy, quando ho scoperto che camminare con il buio mi piace.
Ad un tratto, mi capita una cosa che mi prende alla sprovvista: voltandomi verso un campo immerso nell’ombra, vedo apparire proprio nel mezzo due puntini rosso fuoco che mi spaventano. Non mi serve molto per capire che sono gli occhi di qualche animale che stanno riflettendo la luce della mia spia. Dev’essere semplicemente un gatto, ma l’effetto mi risulta davvero inquietante.
L’episodio mi fa pensare anche che in oltre mille chilometri non mi è successo una sola volta di fare incontri realmente pericolosi con qualche animale; da questo punto di vista sono stato molto fortunato.

Come ieri, mi trovo a salire un sentiero che mi porta in cima a una collina piena di vigneti, ma niente a che vedere con il panorama da cartolina di ieri. Il cielo si sta schiarendo, ma è completamente coperto; oggi il sole credo lo vedrò proprio poco.
Quando il buio se ne va definitivamente, i colori che rimangono a farmi compagnia sono a dir poco tristi, su tutti l’incombente grigiore delle nuvole.
Lo spettacolo si fa addirittura lugubre quando mi imbatto in alcuni grandi mucchi di viti estirpate, alle quali è stato dato fuoco senza riuscire a incenerirle: ammassi neri che sembrano quasi di ossa, e tutt’attorno campi spogli e aridi, forse una delle scene più tetre viste fin qui.

La mattinata non sembra delle migliori, tanto che dopo nemmeno un chilometro vivo anche un’infelice disavventura. Pur seguendo le indicazioni, mi ritrovo ad attraversare una proprietà privata, una cosa che non mi è mai capitata. Ha tutto l’aspetto di un’azienda vitivinicola, e tra la villa e il deposito mi imbatto nel proprietario che parlotta con un’altra persona, forse un operaio. Mi guardano sospettosi, ma il mio aspetto dice bene in cosa sono impegnato: è evidente che sono un pellegrino, al massimo un semplice escursionista, di certo non un malintenzionato. Con questo pensiero porgo i miei saluti sorridendo, come mio solito, ma non vengo contraccambiato. Mi viene detto in modo scortese che il sentiero passa da un’altra parte, ma non faccio in tempo a spiegare che ho seguito i cartelli, che dalla casa spunta un alano nero. Non ha il guinzaglio e, anche se già me ne sto andando, si mette a correre verso di me abbaiando. Il proprietario non muove un dito, si limita a richiamarlo molto placidamente: “Paco…Paco…”. Credo che non dimenticherò mai il modo odioso con cui pronuncia quel nome, sapendo benissimo che con quel tono spento e beffardo il cane non rientrerà mai. Continuo ad allontanarmi, ma sono terrorizzato da quella bestia che mi salta intorno senza smettere di abbaiare. Quando l’animale arriva anche a colpire le mie racchette, mi congelo letteralmente. Dopo un attimo, però, prevale l’incazzatura nei confronti di entrambi, cane e padrone. Dico a me stesso che se deve succedere qualcosa, che succeda, ma lì a fare la figura della marionetta non ci rimango un secondo di più. Riparto, sopportando per un altro centinaio di metri l’insopportabile spettacolo dei due. Grazie al cielo tutto finisce senza danni, anche se ci metto un po’ a smaltire la tensione della paura e della rabbia.
Meno male che poche ore prima mi rallegravo di non aver ancora avuto incontri spiacevoli con nessun animale! La prossima volta sarà meglio mordersi la lingua.

Mi rilasso del tutto solo dopo qulche chilometro, anche se nel grigiore persistente della mattinata. Salgo e scendo altre piccole colline, dove non incontro solo vigneti, ma anche boscaglia e grandi radure. Prendo pioggia varie volte, ma mai davvero eccessiva, cosicché il risultato non è nemmeno così male. Ne restano foto molto sorridenti, scattate dopo grandi cantate solitarie sotto l’acqua in mezzo a spiazzi collinari, qua e là con qualche mandria perplessa a farmi da pubblico.
In alcuni tratti, mi sembra di stare nella campagna irlandese, o almeno è così che me la immagino, visto che non ci sono mai stato. Chissà non possa essere una meta futura!

Seguendo le tracce più disparate nel mezzo del niente, mi godo anche un peregrinare più libero e scanzonato. È una condizione privilegiata e se, probabilmente, non riuscirò a ricordarmi da dove diavolo sia passato oggi, di certo conserverò il ricordo di questa leggerezza e questa gioia genuina.
Camminare da solo nella natura sembra mi calzi davvero bene. Certo, stempero la solitudine di certi momenti scambiando messaggi con gli amici in Italia. Il resto, però, è sana esplorazione, semplice cammino su questa lunga lunga rotta.

Passo da un abitato piuttosto isolato, dove non incontro nessuno se non altri cani molesti senza guinzaglio, fuori da case lasciate col cancello aperto. Li supero con lo stesso sentimento di incazzatura di prima, sperando veramente di non incontrarne più.

Continuo sulla mia strada, riuscendo a tornare presto allegro grazie soprattutto al sole, che nel frattempo è tornato inaspettatamente padrone del cielo. Per spezzare il tempo, riesco ad imparare a memoria Ninnananna, una vecchia canzone dei Modena City Ramblers. Mi ritrovo a cantarla a squarciagola lungo l’ultimo tratto collinare della giornata. Quando arrivo alla magnifica ultima strofa – “E prego…qualche Dio dei viaggiatori…” – mi commuovo come un bambino. In effetti, ci sono una manciata di canzoni che in un preciso punto – sempre quello – riescono a farmi questo magnifico e dannato effetto tutte le volte.
Quando succede – quando i muscoli tra naso e occhi improvvisamente si contraggono ad anticipare un pianto, un singhiozzo – quello che faccio di solito è ostinarmi a continuare, cantando ancora più forte e fracassando quel pianto con una risata liberatoria.
Così faccio anche stavolta ma, appena riaperti gli occhi, mi ritorvo di fronte a una coppia che sta facendo un romantico picnic dietro una pianta. Probabilmente stanno sorbendosi il mio sbraitare almeno da un paio di minuti, ma non mi imbarazzo.
Ammutolito in un primo istante, spezzo poi istintivamente il silenzio con una frase in perfetto francese: “Meglio cantare, che piangere, no?”. Lei resta sorpresa, ma lui ride e annuisce sorridente. Ci auguriamo buona giornata, e dopo pochi metri riprendo a cantare allegramente.

Sceso dalla collina, raggiungo per l’ennesima volta il Canal du Midi, a fianco del quale dovrei camminare fino alla famosa Carcassonne, la meta di quest’oggi. Purtroppo, però, ho la sfortuna di trovare un cantiere che mi impedisce il passaggio -forse ancora per l’abbattimento dei platani, come a Béziers. Studio le alternative, ma sembra non abbia altra scelta che allungare la strada, oltretutto passando da una trafficatissima strada dipartimentale. Gambe in spalla, quindi, e tanta pazienza.

Dopo tre quarti d’ora piuttosto duri, riesco finalmente a ritrovare il canale e a scendere sulle sue alzaie. Durante il tragitto, incontro ancora un paio di chiuse. Queste opere di ingegneria del passato conservano un fascino davvero insolito. Non a caso, oltre a permettere ancor’oggi il controllo del livello delle acque, risultano – a ragione – dei veri punti di interesse turistico.

A parte quelle, il panorama rimane sempre lo stesso per almeno un paio di chilometri, ritmato dalla costante presenza dei platani al bordo del canale. Arriva un momento, però, in cui il paesaggio finalmente si apre un po’, regalandomi la prima vista sulla cittadella fortificata. Sono le due del pomeriggio, e ormai sono quasi arrivato. Un quarto d’ora dopo, infatti, sto già muovendo i primi passi nel quartiere antico della città bassa, chiamato Bastide-Saint Louis. Meriterebbe di essere visitato, ma non posso non dare priorità alla Cité – così è chiamata la parte alta di Carcassonne, la più famosa, quella vista in lontananza poco prima. Affamato, mi regalo una spinta di calorie con una gran porzione di patatine fritte e parto alla conquista del vecchio villaggio medievale.

Una volta salito, l’impatto mi lascia però un po’ perplesso. Questa volta mi sono preparato prima sulla storia di questa fortezza. Non so se mi abbia influenzato così tanto sapere che è stata quasi totalmente ricostruita nell’Ottocento, ma è come se questo sia davvero troppo visibile. Intendo dire che quelle architetture perfettamente complete, pulite, senza ombra di ruderi di alcuni tipo, non riesco minimamente a percepirle come fossero davvero antiche. Forse ho familiarizzato “troppo” con gli edifici storici della mia Bergamo, o con tanti altri visti in tutta Italia risalenti in tutto e per tutto a epoche remote, ma sta di fatto che supero i bastioni con questa pungente titubanza.
L’abbuffata di negozi, bar e ristoranti che farcisce questo luogo mi dà infine il colpo di grazia, togliendomi ogni magia e dimostrandomi – a quanto pare – che non è vero che io mi stupisca con tutto. È come se non riuscissi a percepire l’anima di questo posto, ma è probabile sia comunque qualcosa del tutto soggettivo. Addirittura nemmeno la grande chiesa, pur straordinaria, riesce a farmi cambiare idea.

Paradossalmente, uscito dalle mura, una cosa che riesce a colpirmi sono le tracce di un intervento tutt’altro che antico: l’involontario lascito di una dibattuta installazione d’arte contemporanea. L’artista che venne ingaggiato decise di applicare quindici enormi cerchi concentrici di sottilissimo alluminio ad un intero lato della fortezza. Con il loro giallo sgargiante, offrivano una visione che lasciava allibiti, ma solo se ci si poneva in un unico punto preciso. Esisteva infatti una sola posizione da cui si potevano vedere tutti i cerchi perfettamente, come fossero il bersaglio di un tiro segno. Da ogni altra visuale, invece, sembravano imbrattature oggettivamente inappropriate.
Il vero problema, però, sì svelò quando l’installazione fu rimossa – su forte insistenza della popolazione locale. La grande speranza dei cittadini di tornare a vedere come una volta la Cité si infranse nella scoperta che le superfici scoperte erano restate di colore più chiaro del resto della muratura, come il segno del costume quando ci si abbronza.
Scopro, però, che a me il risultato non dispiace affatto, perché mi dà l’impressione riesca a smitizzare sia la Cité che il discusso progetto che ha prodotto queste stesse tracce.

Concludo il mio tour proprio con questa insolita esperienza turistica, e scendo sotto le mura ad aspettare che venga a prendermi Vincenzo. Nella migliore tradizione italiana, sono riuscito a mettermi in contatto con lui tramite una filiera di amici-di-amici, partendo da un mio ex collega che anni prima aveva conosciuto una ragazza francese, la quale lavora con la figlia di Vincenzo. Indubbiamente un gran giro, insomma, ma fatto soprattutto di sincera disponibilità da parte di tutti loro.

Al suo arrivo mi trovo davanti una persona splendidamente alla mano, raggiante e capace di mettermi a mio agio all’istante. Mentre mi accompagna a casa sua, facciamo conoscenza e mi racconta la bellissima storia di come ha conosciuto sua moglie, originaria di qui, e della scelta di emigrare per amore, giovanissimo.
Arrivati, faccio conoscenza della donna che si è meritata un gesto così romantico. Si chiama Cristina e, per la mia gioia, compete col marito per cordialità e simpatia. Inaspettatamente, anche lei parla italiano, e pare che valga lo stesso anche per i figli. Non potevo essere più fortunato.
La moglie, purtroppo, è reduce da un’operazione al piede e deve stare in poltrona, così per l’aperitivo e la cena pensa a tutto Vincenzo, che con il basilico dell’orto prepara un ottimo risotto al pesto, seguito da diverse altre leccornie. Nel frattempo arrivano anche Laura e Max, due dei tre figli. Resto impressionato dall’energia positiva che ciascuno dei quattro sprigiona e dalla simpatia con cui si relazionano con me.
Una birra prima di cena e dell’ottimo vino durante il pasto fanno scorrere le ore ancora più piacevolmente. Ognuno racconta di sé con un’apertura che mi ostino a considerare eccezionale. Abitualmente, nella routine della nostra società è raro che si offra confidenza in modo così genuino e cordiale – soprattutto agli sconosciuti -eppure in questo viaggio mi sta succedendo frequentemente il contrario, ovunque venga accolto, sia in Francia che in Italia.

La serata si protrae più tardi del mio solito, ma anche gli altri sembrano piuttosto stanchi. Per me, ovviamente, ne è valsa la pena; la speranza è che anche per loro sia stato almeno divertente, di certo inusuale. D’altronde non credo sia cosa di tutti i giorni aprire le porte di casa a uno sconosciuto arrivato fin lì dall’Italia con le sue sole gambe. Chissà che in futuro non capiti lo stesso anche a me con qualche pellegrino venuto da chissà dove. Sempre che tornerò ad avere un posto fisso dove vivere…

Bonne nuit, Carcassonne!

46_CarcassonneDownload

Categorie:

Aude, Francia, Occitania