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cammino di santiago - roberto pesenti

01/11 León – Hospital de Órbigo

(Albergue La Encina)
33km

Domenica di Ognissanti, eccola arrivata. Settimo giorno della settimana, settima settimana di viaggio. Se fossi davvero appassionato di numeri ci sarebbe da divertirsi.
Pur essendo in pellegrinaggio, ammetto che questa festività non infiamma il mio entusiasmo. Anzi, a dirla proprio tutta, come ogni fine weekend riaffiora in me qualcosa tutt’altro che spirituale: parlo del trauma delle domeniche di cammino in Francia, quando tutti i negozi erano chiusi. Nel migliore dei casi, dovevo deviare verso qualche supermercato aperto fino all’ora di pranzo, oppure farmi pesanti scorte di cibo il giorno prima, da portare in spalla per decine di chilometri. Per fortuna qui in Spagna sta risultando tutto molto più semplice, nonostante la situazione sanitaria e tutte le sue conseguenze.

Facciamo colazione per pochi euro nella grandissima mensa dell’albergue. Lo spazio sembra ancora più grande perché siamo qui solo in cinque. Oltre a noi ci sono un signore olandese di circa settant’anni, alto ed atletico, e un simpatico ragazzo spagnolo, Salvadór. La signora che ci serve sembra intenerirsi di fronte a questo minuscolo gruppo di viandanti in partenza, a tal punto che ci invita ad approfittare di tutto quanto a buffet.

Scesi in strada, scopriamo purtroppo che il cielo non è migliore di ieri, ma poco importa (o almeno questo è quello che pensiamo). Ci dirigiamo innanzitutto in direzione della cattedrale, e da lì iniziamo a seguire conchiglie e frecce gialle. Attraversiamo diversi luoghi del centro storico che avevo già visitato ieri da solo, ma chiaramente li superiamo.
Oltrepassato quel che resta delle antiche mura, lo scenario perde molto del proprio fascino. Lo recupera solo per qualche centinaio di metri, in corrispondenza di un quartiere che raduna alcuni edifici appariscenti, come l’Auditorio cittadino e la Junta di Castilla y León. A imporre più di tutti la sua bellezza, però, è il complesso che unisce la chiesa di San Marco e un antico ospedale per pellegrini, ora Parador della città (uno dei lussuosi alberghi statali sparsi per tutta la nazione). Di fronte a questi si apre una grandissima piazza lastricata, con al centro l’ennesimo cruceiro. Alla sua base riposa un antico pellegrino scolpito nella pietra. Ha gli occhi chiusi, la testa poggiata alla colonna e i calzari spogliati.
È l’ultimo luogo “da cartolina” prima di lasciare la città. Subito dopo, si attraversa il ponte sul rìo Bernesga e si comincia a scivolare verso le periferie, in certi tratti un po’ degradate.

Lo so: è piuttosto ingenuo – e pure arrogante – che una parte di me si aspetti centinaia di chilometri di percorso tutti abbelliti per impreziosire la mia esperienza, fosse anche per questioni turistiche. Purtroppo, però, ho anche questo difetto.
Nella maggioranza dei casi ho abbastanza pudore per tenere a bada quella vocina, ma spesso non è così facile contenerla, soprattutto davanti a tutti quei paesaggi edificati senza nessuna sensibilità estetica, senza la ricerca di una minima armonia. Spostandomi incessantemente da settimane, è normale che io ne incontri qualcuno qua e là, ma è sempre una pugnalata al cuore.
A riguardo, però, devo ammettere che la Francia è stata una stupefacente eccezione – durata oltretutto ben quaranta giorni! Quella tra Alpi e Pirenei è stata un’immersione innaturale in una terra in cui il cattivo gusto e il degrado sono stati solo rare e brevissime parentesi, tanto che più di una volta ho avuto l’impressione di trovarmi in un enorme parco a tema.

Proprio mentre nella testa mi frullano questi pensieri, come se il Cammino si divertisse a torturarmi, ci imbattiamo in un sovrappassaggio pedonale di rara bruttezza. È già il secondo, dopo quello già incontrato ieri prima di arrivare in città. Non discuto l’utilità di realizzazioni simili, ma sono convinto che fatte in questo modo siano un pugno nello stomaco quotidiano per tutta la gente che vive da queste parti.

Il numero di piani dei palazzi diminuisce man mano ci avviciniamo ai confini di León, oltrepassati i quali ci aspetta senza soluzione di continuità la periferia di Trobajo del Camino. La compatta massa urbana si frammenta in case sempre più piccole, fino a farci sbucare in un quartiere residenziale composto da villette e – straordinariamente – da alcune bodegas, come quelle viste a Moratinos o a Reliegos. Passiamo poi da un quartiere industriale dove la fa da padrone il grigio, in cielo e tutt’attorno.

Ad ogni angolo spero e confido di lasciarmi tutto questo alle spalle e poter tornare a camminare tra i campi, non importa se belli o brutti. Purtroppo però il mio desiderio è ancora lontano dal realizzarsi, e infatti sbuchiamo sulla trafficata Avenida de Astorga, con le sue due corsie per senso di marcia e altri antiestetici capannoni commerciali.
L’esercizio del camminare e quello del ricordarsi tutto il bello già incontrato ci aiutano a inghiottire come una medicina necessaria questi chilometri.

Arrivati a La Virgen del Camino, troviamo un bel bar aperto, ma scegliamo di sederci comunque all’esterno per fumare una sigaretta e perché siamo convinti che sarà una pausa sbrigativa. Entro a ordinare i tre caffè che dovrebbero darci un po’ di spinta, ma dopo una decina di minuti ci rendiamo conto che il simpatico proprietario ci sta declassando continuamente a favore dei clienti che occupano i posti all’interno. Entro per domandare se si sia dimenticato – giusto per non essere scortese – ma questo non lo convince a cambiare atteggiamento. Per sorseggiare i nostri caffè, aspettiamo ancora diversi minuti e siamo costretti a sopportare ancora un paio di sorpassi spudorati.
Nell’attesa, Tiziano registra qualche stories per il suo account Instagram, ed è una fortuna. Per farlo, infatti, sfrutta come al solito le innate doti comiche di Amedeo, regalando grasse risate alla ciurma e stemperando il nervosismo.

Bevuti i nostri caffè tanto attesi, finalmente ripartitamo, ma uscendo dal paese arriva anche la nebbia a portare il suo carico d’allegria. Imbocchiamo una pista pedonale che corre a pochi metri dallo stradone, al quale comincio a capire resteremo vicini a lungo.
L’unica consolazione per il nostro sguardo restano i cartelli blu che ci conducono in questa ennesima tappa tutta lineare. Su di essi campeggia una sagoma umana stilizzata, tipica di ogni cartello stradale, ma in questo caso è accessoriata con il bordone del viandante giacobeo. Fa una certa simpatia il modo buffo in cui l’alfabeto segnico della nostra epoca sintetizza graficamente una condizione dell’essere che per alcuni ha ancora una significanza straordinaria e trascendente.

Poche centinaia di metri e arriviamo in corrispondenza del bivio cruciale di questa giornata, quello che ci impone la scelta tra il proseguire secondo il percorso originale o imboccare la deviazione che passa da Villaregia de Mazarife. La seconda ha la fama di dare un po’ di consolazione agli occhi e allo spirito, perché si sviluppa su tracciati più piacevoli, ma è anche più lunga. Pur con grande rammarico, non ce la sentiamo di allungare la tappa di oggi, perchè già supera comunque i 30 km. Proseguiamo quindi lungo il nostro ameno rettilineo, rassegnandoci anche alla nebbia, che oggi sembra proprio non volerci abbandonare.

Superiamo un raccordo autostradale e i paesi deserti di Valverde de la Virgen e San Miguel del camino. Io accelero un po’, seminando i due amici e sperando che il passo sostenuto mi regali un po’ di sana serotonina a risollevare l’umore.
Avvicinandosi l’ora di pranzo e trovando tutto chiuso come previsto, avviso per telefono Amedeo e Tiziano di guardarsi in giro meglio di me, perché comincio a pensare rischino di rimanere senza nulla da mangiare. Al contrario, io non ho di questi problemi visto che ho mantenuto l’abitudine di comprare sempre il pranzo il giorno prima, badando particolarmente ai fine settimana. Ho provato più volte a consigliare ai due amici di fare lo stesso, ma tendono a preferire l’affidamento al Cammino, diciamo così. Probabilmente in un anno normale avrebbero avuto ragione loro, ma in questo rocambolesco 2020 i pellegrini sono pochissimi e di conseguenza le attività aperte sono una minima parte, ancor di più durante una domenica – perdipiù festiva. Vorrà dire che alla peggio divideremo divideremo il mio panino e ci faremo due risate, confidando in un’abbuffata serale.

Ad un tratto, il percorso ci regala una parentesi campestre particolarmente lugubre, con scheletrici tralicci che fanno capolino nella nebbia, una natura postatomica e un paio di cavalli bianchi a brucare nel vuoto cosmico. Nonostante questo, però, mi sento molto più a mio agio in scenari simili che in quelli attraversati stamattina. Addirittura trovo un paio di pianticelle che difendono timidamente qualche foglia dagli accesi colori autunnali, unica prova in questo momento che non siamo stati catapultati in un film in bianco e nero.

Il Cammino ci riconduce poi a fianco dello stradone, e io comincio a sperare con tutto me stesso di trovare presto un descanso qualsiasi dove poter fermarmi a mangiare. Contro ogni aspettativa, la mia preghiera viene presto esaudita e, come un miraggio, ecco apparire dal nulla un isolatissimo hostal con bar e tavola calda.
In cima alle scale che portano all’ingresso vedo un manichino addobbato alla maniera pellegrina, unico segno che siamo ancora sulla rotta giusta. Avviso telefonicamente i due compagni di viaggio, che nel frattempo avevano cominciato a preoccuparsi seriamente. Il tempo è davvero brutto e avrei la tentazione di entrare subito e ordinare qualcosa, ma riesco a resistere e resto fuori a mangiare il mio panino aspettando l’arrivo degli altri.
Meno di una decina di minuti ed ecco arrivare Tiziano. Lo lascio entrare, mentre finisco il mio pranzo e prometto di raggiungerlo appena finito. Poco dopo arriva anche Amedeo, a sua volta un po’ atterrito dai panorami di oggi e in parte anche dal posto stesso. In effetti, non si distingue per grazia da nessun punto di vista, ma almeno resta la nostra oasi di oggi, e dobbiamo dirci fortunati.

Consumato il pasto e riposato un po’, ci rimettiamo in cammino tutti insieme, cercando di tenere alto il buon umore nonostante la giornata e il paesaggio non accennino a migliorare.
A Villadangos del Páramo l‘unica forma di vita animale oltre a noi sembra essere un enorme stormo di cornacchie. Seppur a suo modo affascinante, corona alla perfeziona la nostra mattinata degli orrori. Il numero di grigi uccelli gracchianti è talmente abbondante che per un attimo restiamo addirittura incantati ad osservarli. A lungo girano sulle nostre teste, appollaiandosi infine su dei cavi della corrente elettrica, in file lunghe anche una dozzina di metri.

Al paesino successivo, San Martín del Camino, troviamo sorprendentemente un piccolo albergue aperto con bar e cucina. Ne approfittiamo per regalarci un bicchiere di birra seduti fuori. Ci viene a far compagnia un gatto che scatena un’inaspettata tenerezza in Amedeo, tanto che sembra faccia fatica a separarsene quando ripartiamo.
Da lì in poi, la rotta ci guida finalmente tra enormi campi, per chilometri e chilometri. Decido di tuffarmici, partendo per una delle mie “fughe” ormai proverbiali. Lo slancio mi fa addirittura perdere nel reticolato di sentieri che divide gli appezzamenti, ma riesco ad accorgermene in tempo e a tornare in qualche modo in carreggiata.

Ad un tratto scorgo un nuovo pellegrino in lontananza, e decido di approfittarne per divertirmi un po’, sfidando me stesso a raggiungerlo. Affrontare il Cammino inseguendo altri viandanti non è certo una prassi su questa lunga via per Santiago, ma per fortuna ognuno può viverla a modo prorio.
Con non poco sforzo, riesco ad affiancarmi al caminante nei pressi di una raffinata torre dell’acqua in mattoni rossi e stucco bianco, proprio alle porte della meta del giorno, Hospital de Órbigo.

Entrambi siamo molto stanchi, e approfittiamo per fermarci un minuto presentandoci. Attraversiamo poi insieme il primo breve tratto di paese, giungendo infine al lunghissimo ponte che connota sopra ogni altra cosa questo luogo. Ha addirittura 19 arcate e sembra davvero sproporzionato rispetto al piccolo fiume Órbigo, ridottosi negli anni ’50 a causa della costruzione di un bacino artificiale.
Ben più interessante, però, è la leggenda che ha portato a chiamare questo posto “Paso hornoso”, cioè passaggio d’onore. Sono tantissime quelle associate agli infiniti luoghi del Cammino, ma finora non me ne sono mai interessato veramente. Questo sito, però, è talmente originale da incuriosirmi irresistibilmente.
Sembra che nel XV sec. un cavaliere rifiutato da una dama, ingaggiò una decina d’amici in armi per recuperare in modo originale il proprio onor ferito, giurando di non lasciar passare da qui nessun uomo armato per un mese intero. La storia racconta di grandi duelli, terminati tutti a favore del coraggioso innamorato e dei suoi compari, da cui il nome tanto affascinante del ponte stesso.
Scopro anche che il letto in gran parte asciutto del fiume ospita da più di vent’anni uns festosa rievocazione dei fatti leggendari, e tutto questo mi incanta, liberandomi dal senso di fatica.
Saluto il pellegrino appena conosciuto che prosegue ragionevolmente alla ricerca del proprio alloggio, mentre io decido di fermarmi ad aspettare gli altri due amici.

Una volta arrivati, superiamo il ponte e scendiamo in un quartiere residenziale composto quasi tutto da piccole villette popolari piuttosto datate, oltre le quali intravediamo finalmente il nostro albergue. Scopriamo che per fortuna fa anche da ristorante, sgravandoci da ogni preoccupazione per la cena.

Dopo esserci sistemati e aver riposato un po’, decidiamo di unirci a dei vecchi del paese che stanno nella sala bar a guardare un paio di partite di calcio locale su altrettanti maxi schermi. Birra alla mano, aspettiamo la cena, che si rivela poi squisita e abbondante – e fortunatamente sempre a prezzo pellegrino.

Condividiamo la piccola sala con altri viandanti, con i quali riusciamo a scambiare due parole nonostante i tavoli distanziati. Una di loro è una svedese di mezza età e ci pare particolarmente tosta fisicamente, oltre che molto gioviale. La sua commensale l’avevamo già incontrata di sfuggita prima di Mansilla. Ce ne ricordiamo perché aveva un’apparenza molto naïf rispetto a tutti gli altri, con uno zainetto insolitamente piccolo e un’andatura sculettante quasi caricaturale. Anche a lei, però, non manca il sorriso e la cortesia, e solo questo importa davvero.
Oltre alle due signore, c’è poi una giovane coppia di pellegrini spagnoli, già vista in albergue a Mansilla. Stiamo tenendo un ritmo molto sostenuto, e la gran parte dei camminatori che abbiamo incrociato nei giorni passati ormai stanno dietro di noi. Ne incontriamo in continuazione di nuovi, ma nella maggioranza dei casi poi li ritroviamo ancora almeno una volta o due, come in questo caso.

Torniamo in stanza sazi e soddisfatti. L’uscita da León è stata un pugno nello stomaco, ma in qualche modo è sano che questo pellegrinaggio non si snodi solo tra paesaggi incantevoli. Quelli meno poetici aggiungono fatica, ma contemporaneamente spingono a focalizzarsi sulla meta.
Il mio ultimo pensiero della giornata va ai pellegrini di epoche remote: con le mie poche conoscenze provo a immaginare le proporzioni delle fatiche e delle incognite con cui dovevano fare i conti. La mente, però, pone presto un limite; sa che devo riposare e questi confronti dell’ultimo minuto non sono utili allo scopo. Gli abbondono quindi come fossero palloncini, col sospetto che stanotte qualcuno di loro tornerà a farmi visita.

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Castilla y Leòn, Spagna