Info Racconto Extra
cammino di santiago - roberto pesenti

04/09 Sant’Antonino di Susa – Chiomonte (TO)

(sala del complesso parrocchiale)
29km


Vincenzo mi aveva espressamente chiesto di non fare troppo chiasso quando mi sarei svegliato, e di non accendere la luce. Io faccio il possibile, ma riesco comunque a disturbare il suo sonno leggero. Borbotta qualcosa, ma con l’aria di chi in fondo sa che era inevitabile. Ci salutiamo senza esagerate moine, ma mi lascia con una raccomandazione quasi materna, del tutto inaspettata: “…e stai attento!”. È forse il massimo segno d’affetto che può sfuggire dalle maglie del suo sconforto, e per me è un dono grande, sia per averlo ricevuto che per aver contribuito affinché nascesse in lui. Spero tanto che la vita possa fargli qualche regalo importante.

Lascio Sant’Antonino seguendo ancora una volta una strada asfaltata alla base della montagna. Questa mi trattiene nella sua ombra, ma le cime dal lato opposto e molti alberi già sono pennellati di un rosa mozzafiato.
Finalmente, quando la carreggiata si sposta verso il centro della valle, anch’io posso godermi un gran bagno di luce, con il sole che ha appena superato le piante all’orizzonte. Tutt’intorno ho prati e pascoli letteralmente infuocati. L’ombra di ogni cosa è lunghissima e tutto è immobile.
Quello che vedono i miei occhi, però, è diverso da quello che sento. Infatti, percepisco quella staticità come una tensione dinamica: mi pare che ogni cosa, così come me, stia subendo un’attrazione ammaliante verso il sole. Forse, se vedessi anche qualcosa oltre la materia, scoprirei che davvero tutto è orientato verso quella sorgente di vita ogni volta che sorge. Mi piace pensare sia così.

Il paese successivo è Villar Focchiardo. Luciano mi ha consigliato di approfittare del ponte sulla Dora e proseguire il cammino sull’altra sponda, spiegandomi che lá c’è una serie pittoresca di paeselli. Continuando su questo lato, invece, dovrebbe esserci solo un po’ di bosco, niente di che. In realtà, la parola “bosco” mi convince a fare il contrario di quello che mi ha proposto. Sento proprio il bisogno di tornare tra gli alberi.
Ahimè, l’aspettativa si frantuma con la realtà: il tratto si rivela essere davvero anonimo. Pazienza, vorrà dire che al prossimo giro da queste parti esplorerò quello opposto.

Alle porte di San Giorio di Susa scorgo su un poggio il castello medievale. Mi piacerebbe salire a dare un’occhiata, così lascio la rotta segnalata, ma abbandono altrettanto alla svelta il piccolo capriccio, perché capisco che allungherebbe troppo il tragitto. Ripiego sulla parrocchia, che però trovo chiusa. Mentre ancora sono sul sagrato, noto che una signora mi osserva incuriosita dal suo terrazzo. Ne approfitto per chiedere un po’ d’acqua ma, prima che mi risponda, esce dalla porta il figlio e mi chiede con durezza che cosa voglia. Gli sorrido e ripeto la richiesta, presentando la mia borraccia. Constatato che non sono un forestiero minaccioso, il suo volto si ammorbidisce,  e alla fine me ne vado sia con l’acqua che con saluti cordiali da parte di entrambi.

Dopo il sottopasso autostradale, raggiungo Bussoleno. Qui si riuniscono definitivamente i due tratti paralleli della Via Francigena sui quali mi sono alternato tra ieri e oggi. Fra poco proseguiró sulla sponda sinistra della Dora, perlomeno fino a Susa. Proprio sul piccolo ponte, mi imbatto in un dettaglio che mi sorprende molto piacevolmente: sulle ringhiere sono state poste delle fioriere. Un tocco di buon gusto inedito per me, che mi pare capace di impreziosire non poco l’atmosfera. Chapeau!

Salgo fin dietro la ferrovia e continuo ancora su asfalto, purtroppo, ma se non altro il panorama è splendido. La valle da qui sembra ancora più ampia e verdeggiante; ci sono anche delle vigne e altri alberi da frutto. Fin dall’inizio del cammino, il mio vero street-food è proprio la frutta colta qua e là sul percorso: in particolare fichi, uva e mele.
È un gesto elementare, primitivo; non è solo sfamarsi, e nemmeno come pescare dalla fruttiera o dalla cesta di un supermercato. La cosa più divertente è ricordarsi che quelle golosità non sono state appese lì dove le strappo, ma ci sono nate. Da un’unghia del ramo è passato tutto ciò che poi è diventato succo, polpa, buccia, foglia. A quel peduncolo il frutto è rimasto attaccato per mesi pur essendosi fatto pesante, e rimanendo esposto a ogni condizione climatica. Eppure, a volte, per staccarlo serve pochissima forza. Non me ne intendo di botanica, ma sembra che tutto stia lì appeso proprio per essere colto, esclusivamente per quello, e riesco sempre meno a dare questa cosa per scontata. Nella nostra società, si può passare una vita intera senza staccare un frutto da un albero, e nel mio caso poco ci è mancato.

Forse queste sono solo suggestioni da pellegrino principiante, ma me le tengo strette perché mi lasciano col cuore aperto. Nella vita routinaria, i rischi che un cuore spalancato venga riempito alla svelta di immondizia – o venga vandalizzato – sono alti e frequenti, ma in cammino sembra molto diverso. Si accumula facilmente meraviglia, si vivono preziose e frequenti sorprese, si ricevono lezioni semplici ma mai banali, gesti d’affetto sbalorditivi. E anche quando qualcuno ti spegne un mozzicone proprio lì, brucia forte, sì, ma mai abbastanza per rovinare tutto. Anzi, come in tanti altri casi, capisci che anche le ferite sono necessarie perché la grande tavolozza di quest’esperienza mostri tutti i suoi colori.

Sceso dalle nuvole, mi accorgo che gli spuntini fatti mi hanno spalancato lo stomaco, oltre che il cuore, così mi fermo per una pausa a Foresto. Lì incontro una signora che, saputo dove mi sto dirigendo, mi raccomanda con grande pathos di farle un favore speciale: mi chiede di portare le sue preghiere in Francia, presso una località chiamata La-Roche-de-Rame, dove troverò un lago artificiale. Quasi con le lacrime agli occhi, mi mostra una vecchissima fototessera col volto di un giovane, appena ventenne. Era suo figlio e proprio lá morì annegato. Resto molto toccato da ogni dettaglio, e le prometto che lo farò.
La pagina su cui appunto offerte e intenzioni sta riempiendosi più di quanto avrei potuto immaginare.

Arrivo a Susa da dietro la stazione; lì c’è una lunga area di sosta per camper. Sapevo della sua esistenza perché amici di Beppe mi avevano consigliato di piantare lí la mia tenda. Trovo il luogo che mi hanno indicato, ma sono le due del pomeriggio, c’è un sole splendido e non ho dolori di nessun tipo, solo un po’ di sana stanchezza. Decido di proseguire.
Prima, però, mi regalo un altro meritato riposo e mangio qualcosa. Trovo subito da sedere ai margini di un parco, al bordo della strada principale. Mentre ricarico le batterie, sulla panchina di fianco viene a sedersi un’anziana signora, ma ancora incredibilmente ruspante. Si chiama Diomira e ha ben 96 anni! Mi racconta qualcosa della sua vita e, nonostante gli inevitabili lutti vissuti, trova anche qualche simpatico aneddoto per il quale ridiamo un po’ insieme. Una volta salutata, mai mi sarei aspettato di avere la fortuna che qualcun altro, altrettanto speciale, la sostituisse. E invece ecco arrivare un uomo, anche lui non certo giovane, vestito con una bizzarra tunica tutta colorata, lunga fino alle caviglie. Mi spiega di farsi chiamare Petrus, il suo nome d’arte. Fa il pittore da sempre, ha parecchi problemi di salute, ma ci scherza e ci fuma su. È un po’ originale anche nei discorsi, ma incredibilmente sorridente.
Arrivato l’ennesimo autobus, se ne va anche lui, e ormai è ora che anch’io mi dia una mossa.
Si riparte! Per quale paese? Mah! Sono in pieno affidamento.

Arrivo nel fulcro storico-artistico di Susa, e ammetto che è davvero bello. Il campanile della Cattedrale, Porta Savoia, l’arco di Augusto, l’acquedotto romano, i parchi: non conoscevo la sua storia millenaria.
La traccia mi porta infine davanti a un cancellino. Se non fosse che Luciano me lo aveva anticipato, difficilmente l’avrei aperto, e invece è proprio da lì che si passa. Lo supero, lo chiudo alle mie spalle e da lì scopro che parte un bella salita, stavolta in un bosco vero. Nonostante la fatica non da poco, l’affronto con euforia, sorretto anche dalla gioia inesausta per la mia miracolosa ginocchiera.

La parte più difficile, per fortuna, è solo all’inizio. Attraverso un’infilata di scenari naturali molto diversi. Mi godo tutto, sbaglio strada, la riprendo: sono contentissimo.
Dopo circa sei chilometri, arrivo nel paesino di Chiomonte, scendendo tra vigneti e muretti a secco; sono le quattro del pomeriggio. Mi dirigo alla chiesa, con il suo campanile svettante e appuntito: tenterò la solita strategia, chiedendo ospitalità al parroco. La porta è aperta e dentro ci sono due signore del paese a fare le pulizie. Una di queste, Giancarla, si fa carico con incredibile generosità di sopperire all’assenza del sacerdote. Mi accompagna nel suo ufficio e lo chiama per telefono, proponendo ella stessa una stanza al piano inferiore e ricevendo risposta positiva. È fatta anche stavolta! Cerchiamo insieme il timbro della parrocchia e, una volta segnata la credenziale, scendiamo nella mia nuova stanza. È una sala per attività varie, tipica di un oratorio. Ci sono tavoli, sedie, due bagni, panche, un telo per proiettore, materiale da disegno. Ha diverse grandi finestre che si affacciano su un piccolo giardinetto incassato tra le case dietro la chiesa. Mi avvisa della presenza di una coppia di villeggianti che abita al primo piano, Gabriella e Filippo. La casetta di fianco, invece, è abitata da un ragazzo.

Prima dei saluti, Giancarla mi consegna alcuni soldi da portare in offerta a Santiago per un parente malato. Li aggiungo all’elenco e anche a lei do la mia parola. Poco dopo faccio conoscenza del signor Filippo e della moglie, anche loro gentilissimi. Il marito, in particolare, è provvidenziale perché mi regala un tubetto di colla speciale per calzolai, che per evenienza porta con sé da parecchio tempo. Il motivo è che le mie fantastiche scarpe nuove mi hanno già fatto uno scherzetto: la piccola lingua di gomma che sta sulla punta si è già scollata. Con la cintura e un pezzo di cartone improvviso un gran laccio per tenerla premuta mentre la colla fa effetto.

Per la notte, viste le condizioni del pavimento, mi rassegno a replicare la soluzione pur fallimentare adottata a Lodi: unire dei tavoli e appoggiarci sopra il materasso. Perseverare è diabolico, dicono, ma ci provo comunque.

Prima di dormire, incontro anche Mot, il ragazzo della casa affacciata sul cortile, con il quale scambio solo due parole, ma sono sufficienti per cogliere sia una persona davvero per bene. Viene dall’Africa, e non ha avuto vita facile, ma ora qui ha trovato nuove radici ed è molto ben voluto. Sto conoscendo moltissima gente, e ascoltare dal vivo tutte le loro storie è sempre un’emozione e un arricchimento.

Non rimane altro che calare il sipario anche su questa grande giornata.
Francia, ci sono quasi!

19_ChiomonteDownload

Categorie:

Italia, Piemonte