(Accueil pèlerins Temple réformée)
28 km
Ieri, prima di andarsene, Cathy mi ha aveva avvisato che dal cortile su cui si affaccia il foyer si può anche accedere a una cappella aperta 24 ore su 24.
Mi sembra un buon inizio per la mia giornata, così ci spendo qualche minuto prima di partire. Oggi è il mio 50° giorno di cammino. È una bella emozione, e celebrarlo con un momento di raccoglimento mi aiuta a prenderne piena consapevolezza e viverlo con soddisfazione e gratitudine.
Quando scendo in strada, fa ancora abbastanza buio. Incrocio comitive di ragazzini e ragazzine che stanno andando a scuola. Invadono le strade del centro come un gregge: mi scorrono accanto quasi senza accorgersi di me, nonostante i miei bastoncini e il grande zaino. La loro vitalità mi incanta. Negli ultimi anni sono diventato più sensibile alla bellissima energia dei bambini, o dei giovanissimi in generale – forse perché ho lavorato prettamente con gli anziani.
Mi incuriosisce notare quanti pochi siano rimasti con lo zaino in spalla. La maggior parte, infatti, trascina dei trolley. Questo dettaglio mi fa tornare in mente Luciano, il pellegrino infaticabile incontrato ad Alpignano. Mi raccontò che il suo primo viaggio verso Compostela lo fece tenendo lo zaino su un carrello di alluminio progettato da lui stesso: qualcosa di simile ad un trolley, quindi, ma legato in vita.
Man mano che mi allontano i gruppi si fanno sempre meno numerosi, fino a che non rimane solo qualche ritardatario qua e là, chi di corsa e chi più pacificamente rassegnato.
Attraverso il ponte sull’Ariège e mi lascio alle spalle Pamiers salendo alcuni tornanti alberati. Arrivato sufficientemente in alto, do un ultimo sguardo alla città. Sono convinto che da quassù mi regalerá il meglio di sé, un’ultima cartolina, mentre invece domina su tutto una grande area industriale di cui non sapevo niente. Purtroppo ho il presentimento definitivo che Pamiers non rimarrà tra i miei luoghi del cuore.
Conclusa la salita, gli alberi lasciano il posto ad una grande radura tondeggiante, illuminata da un cielo che già si sta facendo azzurro. Raggiunto l’altro versante, lo scenario che mi si apre davanti è mozzafiato – ancor di più per il contrasto con quello industriale appena lasciato alle spalle. Davanti a me ora ho colline senza fine, basse e ondeggianti come dune: sono colorate dal verde degli alberi e dei prati, dal marrone della terra arata e dal candore dei pochi edifici sparsi quà e là. Io sono ancora all’ombra, ma la luce del sole fa già splendere quell’immensa tavolozza, rendendola un vero paradiso.
Anche il percorso sembra ideale, accompagnandomi all’interno di quel magnifico paesaggio attraverso curve morbidissime. Cammino su asfalto, ma non mi pesa per nulla. Vedo passare qualche auto, diretta a Pamiers, e ogni volta spio con curiosità guidatori e passeggeri: da una parte si stanno godendo anche loro questa bellezza, ma dall’altra sanno che si stanno per tuffare in tutt’altro scenario. Anch’io ho vissuto un periodo nella mia vita passando per luoghi suggestivi prima di raggiungere il posto di lavoro – ai tempi una fabbrica di componenti elettrici. Vivevo ogni volta un forte stacco tra l’armonia del viaggio e la durezza del reparto, ma è anche vero che – per lo stesso motivo – il ritorno a casa era sempre un’esperienza profondamente pacificante. Tutt’ora, quando ripasso per quelle strade, rivivo le medesime sensazioni, e spero valga lo stesso anche per le auto che sto vedendo passare.
Tornando al presente, mi rendo conto che sto camminando pianissimo. Credo sia per il fatto che ad ogni curva mi pare di entrare in una nuova cartolina, rimanendo qualche secondo incredulo e imbambolato. Come se non bastasse, ad un tratto il sole supera i colli dai quali sono arrivato e viene a scaldare un po’ anche il sottoscritto. Sono in uno stato di vera beatitudine, turbato solo dal latrare di qualche cane al mio passaggio.
In una piazzola a bordo strada trovo parcheggiata una jeep con attaccato un caravan in stile gitano. Entrambi sono coloratissimi – rosso, verde e giallo, tutti molto accesi – e il rimorchio ha pure le fioriere. Sul retro campeggia la scritta “Latcho Drom”, che vuol dire “Buon viaggio” proprio in lingua romanes. Sul lato, sta invece scritto “Liberté vagabonde”, che non ha bisogno di traduzioni. Che dire? Anche se io stesso sto vivendo da vagabondo in mezzo a un grande sogno, questo carro tutto colorato me ne ispira di nuovi e impensati. Chissà, magari in futuro…
Arrivo in un paesino microscopico che si chiama Saint-Victor-Rouzaud. Ha una chiesetta dall’aspetto molto semplice ma tenuta straordinariamente, con un bel portico pulito e molti fiori. Di fronte, una donna sta prendendosi cura del suo immenso giardino. Oltre che salutarla, mi viene spontaneo esprimerle la mia fascinazione per il piccolissimo borgo e fare i complimenti almeno a lei, come fosse rappresentante dell’intera comunità. Mi ringrazia con un gran sorriso; non se l’aspettava, ma penso sappia quanto è vero.
Basta solo un altro chilometro per imbattermi in un’altra perla: almeno duecento pecore sparse su un pascolo in pendenza, grande almeno come tre campi da calcio. L’aria è piena del loro belare ininterrotto. Non sono tutte adulte, anzi, è pieno di agnellini. Lo spettacolo è unico, e io mi scopro d’un tratto a fantasticare su un possibile trasferimento da queste parti. Succede frequentemente mi nascano questo genere di pensieri, ma stavolta tutto sembra un po’ più nitido. Sarà meglio prenderne nota.
Pur rimanendo su asfalto, torno poi a salire tra i boschi. La pendenza non è eccessiva, ma resta costante per quasi 3 km. Per fortuna almeno l’ombra degli alberi offre un buon riparo, perché il sole oggi sembra quasi estivo.
Superata una fattoria senza recinzioni – con l’ennesimo odioso cane slegato – mi trovo affacciato su una lunga discesa. Su un lembo di collina davanti a me vedo snodarsi una strada tutta curve, scenario perfetto per la pubblicità di una grande moto da viaggio.
Sceso nella vallata e raggiunto il piccolo villaggio di Montégut-Plantaurel, il sentiero risale fin sopra la collina opposta, sbucando poi in una seconda valle. Questa volta è molto più stretta e lunga, ma ricca a sua volta di prati e pascoli incantevoli, puntellati qua e là da mandrie di vacche rosse che paiono la rappresentazione perfetta dell’ozio.
A metà strada, pranzo in un minuscolo borgo chiamato Gabre: più o meno dieci case, un cimitero e un’antica chiesa. Non male. Una persona torna dall’orto, passandomi di fianco. Saluto, ma credo che la conchiglia che mi hanno regalato a Malegoude mi abbia reso invisibile. Peccato. La forza di un saluto benevolo saprebbe rendere migliore anche il momento più bello.
Mi imbuco infine in un’ultima valle, ancora più stretta. La percorro tutta fino al fiume Arize, alla periferia di Le-Mas-d’Azil, termine della tappa di oggi. Incontro subito il campeggio del paese, ma per ora non lo prendo in considerazione. Qualche giorno fa, infatti, una ragazza su Couchsurfing ha accettato la mia richiesta di pernottamento. Abita in una specie di fattoria condivisa, ma dopo avermi mandato un primo messaggio, non ha più risposto agli altri. Nonostante questo, ho ancora qualche riserva di speranza. Decido quindi di arrivare in piazza e lì chiamarla un’ultima volta, confidando in un lieto fine.
Purtroppo anche così il risultato non cambia: nessuno risponde. Ho bisogno di trovare un’alternativa. Comincio col farmi timbrare la credenziale all’ufficio turistico e prendermi un caffè. Fuori dal bar provo a chiedere consiglio ad alcuni abitanti e vengo indirizzato al tempio protestante, a cui sembra faccia capo un ostello creato specificatamente per i pellegrini sulla via di Santiago. Ottimo!
Trovo il tempio aperto, ma non trovo nessuno né lì né alla casa del pastore. All’improvviso mi vengono in mente gli opuscoli che mi ha dato Brigitte a Mirepoix; come diavolo ho fatto a dimenticarmene! Uno raccoglie le accoglienze di tutto il GR78, e ovviamente il luogo che sto cercando è nella lista. Ci sono alcuni numeri di telefono da poter chiamare; ne scelgo uno a caso e faccio un tentativo. Risponde subito una vecchia signora, ma è l’inizio di una tortura inimmaginabile.
Il mio francese è ancora alle prime armi, certo, ma ormai chiedere telefonicamente informazioni per un alloggio e comprendere le risposte non è più un problema. Questa volta, però, non riesco a capire quasi nulla di quello che mi viene detto. La signora parla tantissimo, e ridacchia in modo inspiegabile ogni volta che la imploro di scandire le parole e limitarsi alle cose essenziali. Alla fine l’unica istruzione che comprendo è di aspettare qui l’arrivo di una seconda signora.
Dopo un’ora, però, non arriva ancora nessuno. Provo a richiamare, ma i problemi di comunicazione rimangono esattamente gli stessi. Io però ho estremo bisogno di capire quando arriverà qualcuno ad aprirmi, perché non manca molto alla chiusura del minimarket e non voglio rischiare di rimanere senza cibo.
A un certo punto un uomo esce dalla casa di fronte, molto infastidito dal mio parlare al telefono nella stradina silenziosa. Mi scuso ma sono anche contento, convinto che di certo mi aiuterà. Gli spiego i miei problemi e accetta di parlare lui stesso con la signora, nonostante resti accigliato e diffidente. Come me, viene tenuto al telefono per un pezzo, mentre io aspetto bramosamente la traduzione di quel lungo dialogo. Una volta riagganciato, però, mi fissa in maniera ancora più incattivita e mi ribadisce solo che devo aspettare, niente più. Dopodiché rientra in casa scocciato, lasciandomi esattamente punto e a capo.
D’un tratto mi viene in mente un’ultima possibilità: disturbare Brigitte e chiedere a lei di telefonare per me. Per fortuna risponde e accetta di aiutarmi. Dopo pochi minuti mi richiama e mi spiega che, effettivamente, c’è qualche problema di comunicazione. È riuscita però a mettersi in contatto con una seconda signora, che dovrebbe raggiungermi da un momento all’altro. La ringrazio infinitamente. Passa davvero pochissimo tempo, infatti, ed eccola spuntare! È un’anziana con un sorriso splendidamente rassicurante: non potevo chiedere di meglio. Il suo nome è Ivonne e mi chiarisce cosa è successo: tutto quanto avvenuto nelle telefonate precedenti è stato dovuto al fatto che la persona che ho chiamato, purtroppo, ha cominciato ad avere problemi di demenza. Ecco allora cos’era!
Facendosi più seria, però, mi fa anche notare che sarebbe bastato chiamare l’altro numero presente sulla guida – il suo. Che stupido! Evidentemente l’agitazione mi ha mandato in confusione perchè non ci ho proprio pensato. Grazie al cielo ora è tutto risolto.
La casa è lì ad un passo. È perfettamente studiata per le esigenze dei pellegrini. Sono incredibilmente sollevato, non solo per aver finalmente risolto il problema dell’alloggio, ma anche grazie al modo di parlare estremamente amorevole di Madame Ivonne, che si dimostra un vero tesoro. Addirittura, poco dopo esserci lasciati, torna per regalarmi una fetta di torta fatta in casa. Un vero angelo! Mi avvisa anche che, abitualmente, il pastore offre la colazione ai pellegrini alle 7:15. La ringrazio ancora, ma le rispondo che dovrò rinunciarci, purtroppo, perché per quell’ora sarò già partito.
La sera cucino una quantità abnorme di pasta con un sugo pronto “alla napoletana” preso al minimarket. Mi aspettavo una schifezza, e invece non è niente male. Sarà bene segnarsi la marca.
Su una scrivania, insieme a mille brochure turistiche appoggiate un po’ alla rinfusa, trovo una lunga lista di alloggi per tutte le tappe mancanti da qui ai Pirenei. Ce ne sono diversi che non sono presenti su quella di Brigitte. Sono entusiasta, anche se scoprirò poi che proviene da una pagina web accessibile a tutti, e che addirittura Sara me l’aveva già spedita molto tempo fa. Forse il cammino ha voluto rinfrescarmi un po’ la memoria.
Affissa alla parete, invece, c’è la fotocopia di una mappa disegnata a mano. È davvero grossolana, ma spiega efficacemente ai pellegrini di non seguire la strada principale per uscire dal paese, bensì di attraversare la grande grotta che rende famoso Le Mas-d’Azil. Sono molto incuriosito, soprattutto dopo aver spiato sul web di cosa si tratti. Sembra davvero qualcosa di imponente, tanto che all’interno passano sia una strada che un fiume. Spero che passarci col buio mi permetta comunque di godere dell’originalità di quel luogo.
In fondo alla camerata dove dormo c’è una scala a chiocciola; la signora mi ha detto che porta ad una cappella al piano terra e che ho libertà di scendere a visitarla. Oggi, nella lunga attesa ho avuto modo di entrare nel tempio e apprezzarne lo stile austero, senza fronzoli. Nonostante ciò non era per nulla freddo, il contrario.
Per la mia gioia ho anche trovato affissa alla parete una pietra scolpita dedicata ai pellegrini sulla rotta di Santiago. In questo luogo il legame con la dimensione pellegrina sembra particolarmente spiccato. Mi domando se anche nella cappella troverò altri segni simili, così scendo le scale per scoprirlo.
Con mia grande sorpresa, una volta entrato mi trovo di fronte una decorazione murale estremamente insolita, soprattutto per un luogo di preghiera e di culto. Sulle pareti bianche spiccano infinite pennellate blu che sembrano contorcersi, sfaldarsi e rimodellarsi in continuazione, dando forma a immagini spesso astratte, fluide, dove si trova veramente poco di riconoscibile. La cosa mi affascina molto. Anche la disposizione dei disegni su tutto il perimetro non è uniforme e sembra svilupparsi come fossero tante onde, dando l’impressione di una dinamicità davvero originale.
Posso dirmi contento. A parte i disguidi per trovare alloggio è stata una tappa straordinaria. Ora non rimane che sperare di dormire il meglio possibile. Bonne nuit!