(Gîte Le Moulin Papillon)
31km
Nottata difficile a Les Alberts, principalmente a causa del mix micidiale tra bassa temperatura e alta umidità. Il sacco a pelo e la tenda, purtroppo, si sono confermati inadatti a queste condizioni; almeno ora so quando posso usarli e quando no.
Ad ogni modo, eccomi sveglio: scombussolato, ma con tanta voglia di godermi la prima intera giornata in Francia. Faccio colazione in tenda, mi vesto, sistemo lo zaino e smonto tutto. Negli anni a venire, spero di riuscire a fare esperienze migliori, soprattutto con materiale tecnico più adatto. Si parte!
Fuori dal campeggio, la valle è già leggermente illuminata da un cielo che comincia a schiarirsi. Le cime delle montagne, invece, sono già infuocate dal sole nascente. Mi avvio verso la cittadina di La Vachette, poco distante, e dopo quella mi incanalo subito nei segnalatissimi sentieri francesi.
Nel bosco, scorgo la tenda di un motociclista accampato che sta ancora dormendo. Il tema del cosiddetto “campeggio selvaggio” mi è martellato nella testa per settimane, e ovviamente è ancora scottante. Non l’ho ancora sperimentato e mi spaventa un po’. Come sempre, senza esperienza i timori si fanno più pungenti: paura di una multa, degli animali selvatici o di non riuscire a chiedere aiuto in caso di qualche problema. Ma non solo, mi preoccupa anche l’eventualità di essere richiamato da qualche proprietario, magari anche in modo aggressivo, senza nemmeno saper parlare la lingua. Percepisco che non è la fine del mondo e sono certo che proverò, ma mi sentirei più sicuro se l’avessi già sperimentato in uscite brevi. Vedremo nelle tappe a venire cosa succederà.
Dopo circa un’ora il sentiero mi conduce fuori dal bosco, presso un luogo bellissimo: il Pont d’Asfeld. Ad una sola arcata, posto ai piedi dell’imponente arroccamento di Briançon, svetta vertiginosamente sulla gola dove scorre la Durance. Fu edificato nella prima metà del ‘700. Asfeld era il nome del marchese che ne condusse la ricostruzione in muratura, ma l’idea iniziale e la prima edificazione furono dell’ingegnere militare Vauban. Non ho mai sentito prima questi nomi, ma scopro che quest’ultimo è famosissimo, a tal punto che una decina di fortificazioni ideate da lui risultano oggi patrimonio dell’UNESCO, compreso questo stesso ponte. A parte queste informazioni scovate su Wikipedia, quello che posso dire è che la sobrietà di quest’opera – calata in un paesaggio magnifico – mi ha colpito incredibilmente.
Da lì salgo lungo le mura della cittadella e poi scendo tra le sue vie, costeggiando edifici vivacemente colorati e fili di bandierine francesi appese per chissà quale festeggiamento. Mi ricorda, seppur ridotto all’osso, il quadro Le rue Montorgueil di Monet.
Con l’acquolina in bocca, mi tuffo in un bar per la mia prima colazione francese. Scelgo caffellatte con una golosa spirale all’uvetta. Indicandola, ne chiedo il nome: “Pain aux raisins”, mi viene risposto. Bastano quelle due battute per renderci conto, io e la barista, di essere entrambi italiani. Ne sorrido e mi gusto la mia petit-dejeuner.
Poco dopo entra una nuova cliente e, guarda un po’, è di Brescia! La situazione è molto simpatica. Chiacchieriamo qualche minuto e tento anche di spiccicare qualche parola in francese con un’altra coppia di clienti, ma sbatto il naso con la triste realtà: sono quasi totalmente incapace di parlare questa lingua. La cosa non mi terrorizza, ma il mio intuito dice che sarà molto dura. In ogni caso, la colazione è andata come meglio non poteva. La simpatica bresciana decide addirittura di offrirmela. Riparto con grandissima gioia.
Scendo nella parte moderna di Briançon e, sul finire della cittadina, un uomo che stava parcheggiando l’auto, ne scende e mi viene incontro, chiedendomi se io sia diretto a Santiago.
Dal suo atteggiamento, non può che essere una persona che ha qualcosa a che fare con la Via Domitia. Scopro immediatamente di averci visto giusto: è Bernard, uno dei referenti dell’associazione locale legata a questo cammino. Si occupano della cura del tracciato, della sua promozione e – non ultimo – organizzano reti di sostegno ai pellegrini. Addirittura alcuni nuclei familiari affiliati si rendono disponibili per l’accoglienza.
A tal proposito ho bisogno di aprire una parentesi riguardo a tutto questo.
Ero e sono cosciente che la situazione sanitaria comprometterà forse totalmente questo specifico genere di ospitalità, ma ho comunque contattato via mail i referenti di zona per chiedere almeno supporto e consigli. Ho usato la posta elettronica perché non sono in grado di sostenere una telefonata. Conosco l’inglese e lo spagnolo in maniera assolutamente sufficiente per cavarmela, ma in piccole occasioni ho già iniziato a sperimentare che le lingue straniere sono ben poco usate qui. La receptionist del campeggio di ieri ho già il sospetto sia stata una felice eccezione.
Scrivo le mail usando il traduttore, ma poi devo correggere sempre qua e là. Questo mi occupa tempo prezioso e purtroppo mi tiene col fiato alla gola perché – come si sa – la posta elettronica non è certo il miglior mezzo per avere comunicazioni rapide.
Va detto che tutto si fa complicato per un ultimo motivo fondamentale: la necessità di non spendere troppo. Senza limiti di spesa, buona parte di questi problemi non sarebbero così pungenti, ma allo stesso tempo il viaggio si snaturerebbe profondamente. Ciò che è ora – difficoltà comprese – è il corpo reale del mio sogno, e sto capendo sempre di più che va vissuto, onorato e goduto proprio così com’è.
Chiusa la parentesi, torniamo a Bernard: è un mezzo miracolo esserci incontrati in questo modo. Sono felice, ma al contempo vorrei anche domandargli perché non ha risposto alla mail che ho inviato anche a lui. Ovviamente evito di farlo e cerco di concentrarmi sull’inattesa opportunità di averlo di fronte. Mi chiede se ho trovato posto per questa notte. Gli spiego che sì, ma sono subito incappato in una spesa molto fuori dal mio budget, non avendo trovato niente di più economico. Campeggi ce ne sono tanti, va riconosciuto, ma dopo la dura nottata di ieri e con le temperature ancora troppo basse per la mia attrezzatura, sentivo di aver bisogno di quattro mura.
Approfitto di lui chiedendogli se possa chiamare al mio posto per la notte di domani, a Mont-Dauphine. Anche in questo caso, ho trovato un’unica soluzione possibile, ancora una volta fuori dal mio budget, però voglio mantenere la calma e affrontare questo battesimo francese con gradualità.
Per trovare da dormire sto usando molte fonti diverse: da qualche lista trovata sui siti delle associazioni a Booking, da Couchsurfing ad Airbnb, anche se la principale resta la guida della via Domitia, scannerizzata prima di partire per non portare troppo peso. Purtroppo è in francese, quindi in larga parte quasi illeggibile per me, ma non ho difficoltà con l’elenco delle strutture ricettive.
Bernard accetta volentieri di aiutarmi, ma durante la chiamata omette di chiedere conferma del prezzo che ho letto in guida e di domandare se sia possibile cenare, in che modo, a che prezzo e se ci siano negozi di alimentari vicini. Gli ho chiesto di porre quelle domande sia prima che durante la telefonata, guardandolo negli occhi pieno di fiducia, ma lui ha concluso la chiamata come se io non avessi parlato, lasciandomi molto perplesso. Scelgo di accettare l’evento così come ha preso forma, quindi ringrazio comunque e lo saluto. Riprendo il cammino con impressa davanti a me l’immagine del suo volto impassibile. È stato davvero strano.
Il percorso mi fa salire parecchio, regalandomi scenari mozzafiato. La valle è profondissima e i monti che la delimitano sono straordinariamente belli. Certo, è molto dura e il peso dello zaino non smette di sembrarmi eccessivo, anche dopo tre settimane. Oltretutto, studiando il percorso, ho capito che il tracciato sarà molto impegnativo almeno per un’altra decina di giorni, con un andamento totalmente diverso dalle centinaia di chilometri già percorsi in Italia. Perlomeno la ginocchiera sta continuando a fare il suo lavoro egregiamente; devo ringraziare il cielo.
Faccio una pausa nel giardino di fronte alla splendida chiesa di Saint-Laurent, nel paesino di Les Vigneaux. Pur completamente diversa, mi proietta indietro di quasi dieci giorni: il ricordo va alla splendida chiesetta della Colombara, dove avevo riposato nel vercellese, prima di Lamporo. Due luoghi tanto diversi, ma ugualmente armoniosi.
Lungo un sentiero, poi, mi imbatto nella prima vera conchiglia gialla su fondo blu: un piccolo cartello quadrato affiancato alle classiche strisce bianco-rosse della segnaletica francese, quelle che seguo in continuazione. È un’emozione unica: mi fa sentire sulla mia strada più che mai, pellegrino vero! Esplodo in una risata liberatoria e la bacio.
Dopo non molto, raggiungo e attraverso L’Argentière-la-Bessée, apprezzando ancora e sempre più il tripudio di giardini e orti invasi di magnifici fiori, imbastiti in composizioni imparagonabili a tutte quelle che avevo mai visto sin qui in vita mia. A volte sono solo aree circoscritte, in altri casi occupano tutto lo spazio attorno a una casa e, ovviamente, ogni terrazzo. Una gioia per gli occhi e per l’anima.
Alla fine del paese, c’è il gîte dove dormirò. Con questo nome si indicano qui in Francia alloggi di vario genere, ma non ho ancora ben capito quali siano le caratteristiche per usare correttamente questa definizione. Qui mi hanno indicato una tariffa base che includeva il solo pernottamento in una mini-camerata da quattro. Pur con qualche ritrosia iniziale, ho scelto poi di aggiungere cena e colazione, perchè sembra non ci siano negozi abbastanza vicini.
Si chiama Moulin Papillon. È una costruzione rustica ma colorata in maniera molto graziosa: le facciate sono bianche e gli infissi e la scala esterna lilla. Tutt’attorno c’è un grande giardino e, più distaccato, un bell’orto.
La proprietaria, Bénédicte, è già al lavoro per la cena. Una donna dal fisico nervoso e dal gran sorriso. Mi chiede se sono disponibile a condividere il tavolo con altri due camminatori francesi. Do il mio assenso con piacere, anche se la sua domanda includeva anche specificazioni che non ho assolutamente capito. Proprio riguardo alla lingua, ha chiarito fin dal principio che non parla inglese. Mi chiedo come sia possibile in un posto di ricezione turistica così bello e frequentato, ma pazienza.
Mi mostra dove dormirò: una stanza con due letti a castello che sarà solo per me. Faccio una doccia e lavo i vestiti; purtroppo, poco dopo averli stesi in giardino, comincia a piovere e sono costretto a riportarli in camera.
È un inconveniente comune, un’oggettiva scomodità; nonostante ciò, mi diverte occuparmene, insieme a tanti altri grattacapi simili che connotano le mie giornate.
In giardino, sotto un tendone, gli altri ospiti stanno al riparo e sembrano divertirsi mentre bevono un aperitivo. Mi piacerebbe unirmi, ma non non posso permettermi di comprare altro e i problemi di comunicazione mi frenano incredibilmente, così mi siedo solitario su una panchina a ridosso della casa.
Quando tutti entrano per la cena, una coppia mi saluta molto cortesemente. È una bella sorpresa scoprire che sono proprio le due persone con cui sono stato messo al tavolo. Si chiamano Philippe e Sandra. Non sono fidanzati, ma hanno fatto amicizia durante esperienze passate di cammino, e ora stanno percorrendo un tratto della via Domitia in direzione opposta alla mia.
La sorpresa più grande, però, è che… lei parla italiano! È una gioia davvero inaspettata, un dono splendido. Oltretutto sono anche simpaticissimi e la serata scorre magnificamente. I piatti di Bénédicte, poi, sono semplici ma superbi – un aggettivo che qui sento usare spesso. Ho speso parecchio, è vero, ma molto meno di quello di cui ho goduto, e me ne vado a letto davvero gratificato.