Info Racconto Extra
cammino di santiago - roberto pesenti

14/10 Lourdes – Bruges-Capbis-Mifaget

(Café Restaurant du Commerce)
28,5km

Jean-Louis si dev’essere dimenticato di mettere la sveglia stamattina. Non sarebbe un grosso problema, se non fosse che non riesco a trovare dove sono le cose per la colazione, così mi tocca aspettarlo. Per fortuna si sveglia comunque nel giro di un quarto d’ora, poco male.

Passiamo una ventina di minuti piacevolmente, mangiando e conversando, e prima di partire faccio in tempo anche a salutare i due amici polacchi. Tutti mi salutano calorosamente e finalmente arriva l’ora di cominciare l’ennesima giornata di cammino. Il tempo non è bello, purtroppo, e le previsioni dicono che comincerà presto a piovere. C’è poco da fare, non rimane che buttarsi.

Lascio La Ruche e scendo di nuovo alla grotta; ci tengo a passarci ancora una volta. Resto solo un attimo, dopodichè esco dal lato opposto del santuario e comincio a seguire la via che gli sale accanto. Incontro grandi ed eleganti edifici di proprietà di diverse congregazioni religiose. Rispetto a quello che ho visto ieri, questa zona risulta davvero sontuosa. La cosa incredibile, però, è il fatto che basti un solo chilometro perché il verde della valle prenda il sopravvento sul grigio della città. Gli scenari si fanno d’un tratto campestri, restituendomi grandissimo respiro.

Mentre inizia a piovere, io comincio la mia traversata del fitto Bois-de-Lourdes, un bosco di cui non conoscevo l’esistenza e che mi stupisce da subito per le sue piante, tutte alte almeno un ventina di metri. Scelgo di rimanere su un vialetto asfaltato, rinunciando al fangoso sentiero che gli corre parallelo. Ne esco 4 km dopo; mai avrei pensato fosse così grande.
A Bergamo, la scoperta di quanto fosse ampia la zona verde dei suoi Colli ha stravolto la mia percezione complessiva della città, e lo stesso sta accadendo qui. Includendo questo bosco, la mia immagine di Lourdes cambia radicalmente.

Una volta fuori, mi ritrovo davanti ai primi campi che occupano la valle.
Nei pressi del paese di Rieulhes, poco dopo una fattoria isolata e curiosamente attaccata ad un piccolo cimitero, svolto in un sentiero immerso nella macchia. Un chilometro dopo, finisco ancora tra i campi, ma stavolta molto più grandi: sembra davvero che la valle cominci a mostrare tutta la sua ampiezza.
Arrivo al villaggio di Bout-du-Pont, dove cerco qualche riparo decente, ma mi devo accontentare di sgranocchiare qualcosa in piedi, appoggiato a un albero che mi risparmia solo parzialmente dalla pioggia. La guida propone un passaggio a Saint-Pé-de-Bigorre, sull’altra sponda del fiume, ma scelgo di rinunciarci. Come sempre, camminare sotto l’acqua mi risulta molto più faticoso. Non per questo lo disprezzo – anzi – ma semplicemente ho meno energie del solito.

Proseguo ai piedi delle colline, tra grandi aree coltivate a granoturco, costeggiando qua e là il corso del Gave-de-Pau. Supero le Grotte di Betharram, dicendo addio agli Hautes-Pyrénées e all’Occitania, ed entrando nell’ultima regione francese di questo mio viaggio, la Nuova Aquitania, in corrispondenza dei Pyrénées-Atlantiques.

Il paesaggio, pur passando i chilometri, continua ad essere prettamente agricolo, con appezzamenti che sembrano addirittura sempre più estesi. Scorgo anche un residence e un hotel di lusso, curiosamente immersi nel pieno della campagna. Poco dopo, mentre percorro una stretta via pedonale delineata da muretti a secco, finalmente smette di piovere. Bello camminare sotto l’acqua, lo confermo, ma a giuste dosi.

Non lontano, arrivo di fianco ad un grande edificio: è un collegio. Lungo la strada, file di auto con i genitori dentro ad aspettare che i figli escano da scuola. Qualcuno mi guarda diffidente, ma i più sono ipnotizzati dai loro smartphone.
Immediatamente dopo, scopro la presenza di un santuario; siamo a Betharram. Pare sia un noto luogo mariano associato ad una lunga serie di miracoli. Si narra che il primo di questi si svolse presso il vecchio ponte qui accanto. Il grande arco di pietra che unisce le due sponde ha una data scolpita su una targa: 1687. Gioco a immaginarmi quell’evento, come se stesse avvenendo ora, davanti ai miei occhi, e contemporaneamente rifletto un po’ su questo genere di narrazioni. Per me è molto difficile accoglierle con serenità; provo forte titubanza, ma so anche che non ho nulla in mano che possa smentirne la veridicità. Non posso forzarmi a credere, ma mi piace venire a conoscenza di cosa tramanda la tradizione. Forse ho una fede debole, ma ho comunque grande rispetto di ciò che tante persone si sono impegnate a custodire e trasmettere per secoli. Storie, luoghi, oggetti, tutti scrigni delle più disparate memorie: questa visione acquieta sempre la mia ostinata diffidenza, e mi aiuta a pormi in ascolto, così come posso.

Il santuario, comunque, è aperto: un rifugio perfetto per riposare un po’. Una volta entrato, però, resto inaspettatamente affascinato. È abbastanza buio e non certo grande, ma è colorato in maniera molto originale. Le opere all’interno sembrano preziose ma non raffinatissime.
Quella che mi colpisce più di tutte sta immediatamente all’ingresso, in una nicchia nemmeno troppo illuminata. È un “Cristo alla colonna”, quindi coperto solo da un velo intorno al bacino e legato per essere flagellato. È scolpito nel legno a dimensione naturale e verniciato realisticamente, datato fine Settecento. Mi colpisce tantissimo la tristezza impressa sul volto del Gesù, attraverso un’espressione sobria ma più toccante di tante smorfie. Anche il corpo è modellato con la stessa logica: in torsione, ma senza manierismi. È una posa anonima, quasi goffa, e a me piace sempre moltissimo quando viene rappresentata la realtà in queste sue caratteristiche.

A un certo punto, dalla sagrestia arriva il sacerdote, che sembra stia per andarsene. Prima, però, mi si avvicina con discrezione, e con un sorriso bonario mi chiede dove io sia diretto. Sembra felice di darmi qualche indicazione, spiegandomi che la strada usuale – che sale dalla imponente e ripida via crucis fuori dal santuario – è chiusa per lavori in corso.
Mi chiede anche se voglio il timbro sulla credenziale, ma gli spiego che sto preferendo farne solo uno al giorno, presso la meta di ogni tappa. Inaspettatamente, sembra rimanerne indispettito e conclude in tono molto scocciato. Ma guarda te!

Senza essermi riposato granchè, torno sui miei passi e prendo la via dietro il collegio. Lascio subito l’asfalto che mi avrebbe portato a destinazione in un paio di tornanti, incuriosito invece da un sentierino che sale dritto e li attraversa. Purtroppo non è una buona idea, perché si rivela essere il letto di un riganolo di scolo. Finisco col salire tra acqua e fango e torno sulla strada quando ormai la cima del colle è raggiunta. Mi rammarico un po’ di non poter visitare la cappella del Calvario, chiusa per lavori. Più che altro avrei voluto vedere dal vivo l’imponente riproduzione dei tre messi in croce, ma non si può avere tutto.

Qui dove sono arrivato, comunque, non manca un altro gran crocifisso, come già ne ho incontrati lungo la tappa di oggi e in tanta parte di Francia. Di fianco c’è un tavolo da picnic affacciato su un grande prato, e i primi sprazzi di sole della giornata mi convincono di aver trovato il luogo ideale per una sosta.
Pranzo con comodo, poi riparto, restando estasiato dai panorami che incontro. Sono semplicissimi, ma incantevoli. La valle vera e propria me la sono lasciata alle spalle, ora proseguo su basse e dolci colline a perdita d’occhio, tra prati, pascoli e campi, con qualche case e fattoria sparsa qua e là.

Scendo poi nei pressi del fiume Ouzoum, finendo su una strada ampia ma poco battuta: corre sul fondo di un lungo avvallamento e si dirige al comune di Asson. Dovrei dirigermi là, ma scelgo di tagliare per la campagna.
Stranamente, le indicazioni del mio navigatore segnalano che le vie percorribili passano tutte per delle grandi fattorie. Non di fronte, proprio attraverso! La cosa mi puzza, e inevitabilmente mi torna alla mente la volta in cui passai nel cortile di un’azienda agricola dopo Rieux-Minervois e fui minacciato da quel grande cane senza guinzaglio. Stiamo a vedere come andrà stavolta.

Il primo tentativo va esattamente come avevo previsto: arrivato all’ingresso della tenuta, un gran cagnone – non certo legato – comincia ad abbaiare e a venirmi incontro. Faccio dietro front all’istante e mi avvio verso la seconda strada suggeritami dalla mappa. Questa volta riesco a cavarmela, ma era comunque un luogo privato e fortunatamente nessuno mi ha visto. Soprattutto, ringrazio il cielo  che non c’erano cani da guardia, perché me la sarei vista brutta.

Camminando per qualche altra strada immersa tra i campi, lascio Asson lontana alle mie spalle e proseguo verso i Pirenei, ormai vicinissimi.
A un certo punto, mi trovo davanti a un panorama anonimo, ma coloratissimo. Sotto di me si protendono campi verdi e gialli; di fronte ho le montagne, scure e velate di blu, e sopra la mia testa il cielo azzurrissimo, occupato da qualche grande nuvola candida: ancora una volta mi sembra di essere in un quadro!
Quando vivo questo genere di esperienza, mi viene sempre in mente una riflessione che lessi anni fa sul valore del termine “pittoresco”. L’autrice, analizzando questa parola, sottolineava il fatto che il nostro sguardo percepisce la bellezza della natura soprattutto quando ci si presenta disposta secondo un certo tipo di ordine. Quando rispetta, cioè, i criteri compositivi che abbiamo assorbito dalla pittura e dalla fotografia, oppure quando ha altre caratteristiche tipiche di queste arti. Al di fuori di quei modelli, fatica a cogliere bellezza, a provare stupore, a sentirsi soddisfatto. Mi è sempre parsa una tesi molto interessante, e forse oggi il termine “pittoresco” potrebbe essere sostituito dal meno elegante “instagrammabile”. Fine parentesi.

Manca poco meno di un’ora all’arrivo. Lungo il percorso scopro che da queste parti c’è anche uno zoo. Avessi tempo, ci andrei sicuramente. Sono luoghi di cattività discutibili, ma il bambino che è in me ne resta sempre incantato.

Continuando su colli meravigliosi, passo di fronte a una casa rurale con una grande aia davanti, dove sta giocando una bambina col suo cagnolino. La scena mi rallegra e la saluto senza smettere di camminare, ma tanto basta per convincere la madre a far rientrare alla svelta sia la piccola che il cane. Che scocciatura tutta questa diffidenza!

Arrivato infine a Bruges, mi godo un ingresso particolarmente grazioso: una via in discesa su cui si affacciano piccole villette a schiera senza cortili, ciascuna diversa. In fondo, poi, uno scorcio da cartolina, con un ponte molto ben tenuto e alle sue spalle la chiesa.
Superati entrambi, e ormai a un passo dalla piazza dove terminerà la tappa, mi accorgo che lontano alle mie spalle è in arrivo anche un altro pellegrino. Provo una sensazione molto strana: cammino da due mesi, ma non mi era ancora capitato di veder sopraggiungere un altro viandante nella mia stessa direzione. Con Fabian ad Arles era stato diverso, forse perché lo avevo incontrato in ostello la sera. Mi emoziono profondamente, addirittura per un istante quasi mi agito per l’eccitazione. Ad un tratto, però, vedo che imbocca una strada diversa dalla mia. Forse avrà trovato un altro posto dove dormire, peccato.

Arrivo infine al ristorante Café du Commerce, che sembra abbia anche delle stanze. Mi accoglie il proprietario, un uomo davvero caloroso ed accogliente, con un nome non da poco: Jesus! Mi fa sedere, avvisandomi che dobbiamo attendere l’arrivo anche di un secondo pellegrino. “Allora sicuramente è quello che ho appena visto!”, penso speranzoso tra me e me. Mi spiega che c’è bisogno di aspettare perchè le stanze sono presso una seconda casa, e ci accompagnerà lui in macchina.
Nessun problema, anzi, ne approfitto per prendere un caffè e chiedo qualcosa di sfizioso per accompagnarlo. Francoise, la moglie di Jesus, chiama allora il figlio – mio coetaneo ma grande il doppio di me – che esce dalla cucina e mi propone un dolce tradizionale francese, chiamato éclair. Accetto volentieri. Si rivela una squisitezza, con una crema al caffè deliziosa.

Mentre già sto pulendo il piatto, arriva Yann, l’altro ospite, ed è proprio la persona che ho visto poco prima. Ha qualche anno più di me e fortunatamente sembra molto solare. Una volta presentati e prima di partire, mi informo se si possa avere qualcosa per la cena. Ci propongono un bel piatto da asporto, cucinato in mattinata, che potremo scaldare poi là dove ci porteranno. Yann avrebbe preferito cenare con le poche cose che ha con sé, ma gli spiego che è proprio perché non sarò solo che mi piacerebbe condividere un pasto come si deve. Alla fine cede, accettando addirittura di prendere un paio di éclaires. Pone solo una condizione: che stasera possa vedere in tv il discorso alla nazione di Macron e poi la partita della Francia contro la Croazia. Affare fatto!

La casa è poco lontana, isolata in collina, con a fianco un capanno e un fienile. È vecchia e molto spaziosa, con una stufa a legna per riscaldarla. L’accendiamo dopo un paio d’ore, per asciugare i vestiti lavati e perché già comincia ad abbassarsi la temperatura.
Prima di cena ci conosciamo un po’. Yann vive e lavora a La Rochelle, e sta facendo un piccolo viaggio a piedi in queste zone. È un gran viaggiatore, e a volte parte da solo perché la moglie ha qualche guaio fisico. Conosce anche un po’ di spagnolo, imparato dopo un lungo trekking in Perù, e così usiamo spesso quello per parlare, anche se adesso il mio francese è diventato minimamente accettabile.

Arrivata l’ora di mangiare, ci gustiamo i deliziosi piatti del ristorante e poi, come promesso, ascoltiamo le nuove disposizione che la Francia adotterà per limitare la diffusione del virus. Fortunatamente posso tirare un sospiro di sollievo, perché non mi coinvolgono; purtroppo, però, già so che nemmeno la Spagna è messa bene riguardo a infetti e morti per l’epidemia. Non posso che incrociare le dita e che Dio me la mandi buona!

Scanso ogni preoccupazione godendomi la leggerezza della partita in tv e continuando a chiacchierare. Passiamo davvero una bella serata e ci scambiamo i contatti, augurandoci di poterci rivedere, prima o poi.
Domani mattina infatti me ne andrò prima di lui. Jesus, infatti, ci ha dato solo due possibilità per venirci a riprendere: alle 6:15 quando salirà per occuparsi delle galline, altrimenti alle 8. Yann se la prenderà con calma, ma io ho programmato una tappa lunghissima. Non avevo in programma di alzarmi tanto presto, ma non avrò altra scelta.

59_BrugesDownload

Categorie:

Francia, Nouvelle-Aquitaine, Pyrénées-Atlantiques