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cammino di santiago - roberto pesenti

17/08 Bergamo, partenza dalle terre ferite

(in tenda @ ASST Papa Giovanni XXIII)
28km

Sdraiato sul materassino gonfiabile, resto ancora un minuto a guardare il soffitto. Ho la schiena a pezzi, ma un sottile sorriso sulla faccia.

Settimana scorsa ho portato il mio comodissimo letto da mia zia. Per proteggere il materasso avevo solo della pellicola estensibile nera. L’abbiamo caricato sul Fiorino di mio padre, e io l’ho seguito in auto con le altre parti della struttura. Andando lenti per sicurezza e con tutto quel nero, sembrava un corteo funebre. È da allora che dormo sul materassino, lasciandolo semplicemente appoggiato al pavimento. Sono state tutte notti orribili, ma ho perso ore tra web e negozi per trovare “quello giusto”, e adesso devo convincermi a tutti i costi sia quello perfetto per me.

La casa è vuota, ci ho messo un mese a portare via tutto; addirittura, le ultime cose solo ieri. L’unico problema è che quelle ultime cose hanno riempito una macchina intera. Non ci fossero stati i miei, avrei dovuto buttare metà di quello che avevo. Abbandono definitivamente questo appartamento dopo più di quattro anni, vuoto, pulito e imbiancato. Sono stati anni importanti, ma me li lascio alle spalle senza nostalgia.

Mi metto seduto e tento inutilmente di sgranchirmi, ma il morale altissimo mi fa ignorare ogni grido d’allarme del corpo. Tenta da settimane di farmi capire che non posso partire senza essermi mai esercitato negli ultimi due mesi, e non vuole sentir parlar di lockdown, di trasloco o del fatto che ho finito di lavorare tre giorni fa. So bene quel che rischio, oltretutto con uno zaino da 15 kg, ma non potevo fare meglio di così, quindi silenziatore attivato e avanti tutta.

Sgonfio il materassino, lo arrotolo e lo infilo nello zaino insieme al sacco-lenzuolo. Acqua gelida per la faccia mentre il caffè sale, poi una passata ai denti e non resta che aspettare Chiara.

Lei è un’amica della provincia di Brescia. Alla fine dell’anno passato abbiamo frequentato entrambi un corso online incentrato sulla capacità del viaggio di portare cambiamenti nella propria vita. Non ci scambiammo nemmeno un messaggio, ma cinque settimane fa, quando decisi definitivamente di partire, postai questo sul gruppo Facebook dei partecipanti:

«E….niente, tra una cosa e l’altra ho deciso definitivamente.
Fra una quarantina di giorni si parte!
Confidando nella buona stella degli audaci e dei sognatori, andrò a tuffarmi nel torrente d’anime e di storie, natura e Vita, che ha per meta quel santuario galiziano e poi un oceano, partendo da casa come il nostro buon capitano Claudione.
Anche se lo sappiamo davvero tutti ora: la meta è ogni meta, ogni tappa, ogni passo, ogni momento di consapevolezza condita da gratitudine sincera.
Sono contento di condividere anche qui questa decisione. Col sorriso in faccia e nel cuore, confido nella vita: che mi proponga ogni modo possibile di attraversare quest’annata scombussolata, questa Europa scopertasi vulnerabile.
Partirò da una Bergamo sopravvissuta e un pochino più matura.
Concludo citando un caro amico di Alzano Lombardo, paese che ormai conoscete tutti. Una cosa che per me è stata davvero molto forte:

“Abbiamo vissuto almeno dieci giorni di vere tenebre, dove tutto era buio. Questo virus ci ha insegnato che non siamo onnipotenti, ma che valiamo dall’uno in giù e che siamo pieni di ansie totalmente inutili. Se non facciamo tesoro di questi insegnamenti e non impariamo a rallentare, a curare la consapevolezza delle tantissime cose belle e gratuite che compongono la nostra vita, se torneremo a lavorare come muli e ad essere sempre di fretta, incazzati, frustrati, beh…allora vuol dire che non avremo capito un cazzo e avremo buttato nel cesso l’unica cosa buona che ‘sto stronzo di virus ci ha lasciato”.

Altre parole di altri amici mi hanno sospinto, una dopo l’altra, fino alla decisione di questo tuffo.
È bello quando ci si rende conto di essere sull’argine di un fiume enorme di energie positive. Non vedo l’ora di buttarmici!».

È solo allora che conobbi Chiara. Mi rispose con qualche commento pieno di entusiasmo. La sua provincia aveva sofferto i momenti peggiori di questa tragedia tanto quanto la mia, e mi scrisse di capire molto bene il significato di quelle parole. Innamorata del Cammino, subito mi propose di accompagnarmi nella prima tappa, come segno di partecipazione sia concreta che simbolica al progetto.

Dentro me, in realtà, fu una sorpresa che mi scombussolò, perché non era vero che aveva capito. Le radici della mia scelta stavano molto più indietro nel tempo e in fondo a me stesso, non avevano un legame esclusivo con l’esperienza della pandemia. Le parole del mio amico Sergio mi avevano regalato una spinta decisiva, sì, ma erano state “solo” un innesco. Evidentemente non mi ero espresso nella maniera migliore.

Ad ogni modo, pensare di condividere un giorno così importante cedendo a un fraintendimento mi produsse inizialmente una grande tensione. Mi chiesi perché, e capii che sotto sotto c’era la mia volontà di controllo. Era legittima e comprensibile, ma ormai la vita aveva giocato la sua carta.
Che fare, quindi? Stare a spiegarle, entrare nei dettagli, declinare gentilmente l’invito? No, troppo pedante.
Dissi a me stesso che il cammino è fatto di quotidiani imprevisti, e partire subito con un “No, grazie” sarebbe stato probabilmente un brutto passo falso.

Mi scervellai per un paio di giorni, ma poi trovai la soluzione: sì, questa partenza poteva diventare anche quello che Chiara ci aveva letto, ma qualcosa andava cambiato.
Nel progetto originale pensavo di raggiungere Milano e collegarmi alla Via Francigena nei pressi di Pavia, ma così non andava. Decisi di ridisegnare completamente le prime tappe, toccando alcuni luoghi che più di ogni altro erano stati simbolo della tragedia nella mia terra: gli ospedali di Bergamo, di Seriate e di Alzano Lombardo, e ovviamente il paese di Nembro.

L’unica alternativa per passarci, però, era salire di qualche chilometro la Val Seriana. All’inizio mi sembrò assurdo perché voleva dire andare in direzione esattamente opposta a Santiago, ma fu facile risolvere anche questo.
Bastava che il primo giorno del mio lungo cammino diventasse un percorso ad anello, con Bergamo a fare sia da partenza che da meta: nient’altro che una minuscola follia incastonata in una ben più grande, niente di meglio!

Unendo i puntini sulla mappa, fu facile definire i dettagli. Ovviamente, la partenza da casa era intoccabile.
Come primo punto di passaggio scelsi la RSA dove lavoravo, a Torre Boldone. Lì avevo visto coi miei occhi e toccato con mano la tragedia dei mesi passati.
Raggiungere poi Alzano e Nembro era cosa facile, perché i paesi sono uno dopo l’altro. Il punto seguente, l’ospedale di Seriate, mi avrebbe permesso anche di pranzare comodamente lungo il percorso, dai miei genitori a Villa di Serio. Infine, da Seriate l’anello si sarebbe chiuso facilmente all’ospedale di Bergamo, il Papa Giovanni XXIII, transitando anche davanti alla clinica Gavazzeni, in rappresentanza di tutte le altre in città.
L’itinerario del primo giorno era pronto! Per quanto riguarda le tappe seguenti, decisi di rinunciare a quella meneghina, passando invece da Lodi e Codogno, altre due città simbolo della primissima ondata.
Questo significava collegarsi alla Francigena nei pressi di Piacenza, anziché Pavia. e ovviamente non era un problema.
Sapevo di non poter onorare ogni luogo martoriato dall’esplosione pandemica, ma quel nuovo progetto seppe conquistarmi immediatamente. Quando le spiegai tutto, anche Chiara ne fu entusiasta.

A proposito, eccola! In perfetto orario. È la prima volta che ci vediamo dal vivo, e non poteva esserci modo migliore. È carica e ha un sorriso super luminoso: davvero ottimi ingredienti. Il cielo è sereno e sono quasi le sette e mezza.
Esco dalla porta, zaino in spalla, e giro la chiave nella serratura, per poi lasciarla cadere nella cassetta della posta. Che bellezza salutare questi ultimi anni di vita in questo modo! Aiuta ad esser grati per tutto quanto si è potuto vivere.
E….il primo passo. Wow! Tutto ha inizio!

Come già le avevo anticipato, per prima cosa abbiamo un appuntamento, lì a pochi passi: nella chiesa di Redona – il nome del quartiere – don Gianangelo ci aspetta per la benedizione. È una persona splendida, di grande sensibilità, con la quale ho un’amicizia importante. Mi ha offerto lui la possibilità di questo momento insieme e l’ho accettata molto volentieri.
Ci accoglie con il suo consueto sorriso. La chiesa è enorme e vuota. Per qualche motivo mi aspettavo un gesto minimo, in un angolo appartato, invece Gianangelo onora il rito illuminando l’ampia zona davanti all’altare e invitando entrambi a porci lì, in piedi. Legge un brano della Bibbia, quello riguardante il sogno di Giacobbe: il messaggio fondamentale che ci vuole trasmettere è la rassicurante presenza di Dio al fianco di ognuno. L’invito è quello di ricordarmene quando mi sentirò particolarmente solo. L’intensità del momento è indiscutibile, peccato solamente che io continui ad essere distratto dal gran peso dello zaino che mi preme fastidiosamente sulle spalle.
Concluso il rito con la benedizione, andiamo in ufficio a porre il primo marchio sulla mia credenziale. È un vecchissimo timbro della parrocchia, sul quale giganteggia il nome di San Lorenzo. Non c’era modo migliore per cominciare. Salutiamo e ci rimettiamo subito in marcia.

La giornata è davvero bella. Per arrivare alla RSA scelgo via delle Delizie, un luogo per me importantissimo. È una viuzza che si snoda ai piedi di una collina dietro casa. Sembra una strada anonima, ma in realtà è unica: un paio di curve, pochi metri, e sei immerso letteralmente nel verde, cosa più che rara per una città. Lì, con passeggiate minime e meditazioni, mi sono preso cura con successo del mio equilibrio fisico e interiore durante i tragici mesi di primavera; grazie a questo, proprio lì sono nate importanti prese di coscienza, tra cui quella di partire.

Con qualche scorciatoia, poi, raggiungiamo in una ventina di minuti la casa di riposo di Torre Boldone. Le ex colleghe sanno del mio passaggio e si sporgono dal lungo terrazzo del reparto per salutarmi. Sono molto contento di essere passato da qui.

Poco dopo, incontriamo la prima amica che si unirà con noi, Laura, pellegrina a sua volta e persona dal cuore più unico che raro. Ci aspetta su una panchina con il suo proverbiale sorriso. È emozionata e felice.
Fatte le dovute presentazioni, continuiamo allegramente tutti insieme, mentre il sole e la temperatura cominciano ad alzarsi.

Tra una chiacchiera e l’altra, arriviamo all’ospedale di Alzano Lombardo, teatro davvero infelice per la nostra storia recente. Là una grande sorpresa: ad aspettarci di nascosto c’è un’altra Laura, e l’emozione è grande. Anche lei lavora nello stesso posto, come infermiera. Forse anche perché nati lo stesso giorno dell’anno, siamo uniti da un legame molto forte. È una gioia sia qui.
Immediatamente dopo si unisce anche Patricia, altra ex collega molto speciale: anima frizzante, tenace e incredibilmente spiritosa. Sono tre donne splendide, tutte che mi vogliono molto bene. Con loro ho condiviso moltissimo nei mesi passati. Averle vicino oggi mi fa sentire onorato e felicissimo.
Finalmente al completo, decidiamo innanzitutto di regalarci una bella colazione.

Non dedico gesti particolari a questa terra falcidiata dalla violenza del virus, solo un attimo di sosta nei luoghi simbolo e un po’ di raccoglimento interiore. È un po’ sfuggire da quel dolore, me ne rendo conto. Faccio quello che mi sento: in alcuni istanti, lascio pulsare dentro me la coscienza di quanto accaduto, degli occhi visti chiudersi e di tutti coloro di cui non so nulla, ma che ora non ci sono più. Non mi sento in grado di fare altro, ma quel poco so che lo sto vivendo con onestà.

Dopo la pausa, raggiungiamo l’officina di Sergio, nello stesso paese. Lui è l’amico meccanico le cui parole hanno saputo convincere Chiara a farsi avanti per essere qui ora. Purtroppo il padre mi avvisa che in questo momento è fuori per delle commissioni. Peccato.
Non trovo nessuno neanche a casa di Riccardo, altro grande amico di vecchissima data. No problem. Sono tentativi a cui non so resistere perché passo proprio accanto a questi luoghi. Lascio che la vita decida quali regali farmi e cerco fin da subito di rallegrarmi di tutto. Chissà se ne sarò capace durante i prossimi mesi.

Arriviamo quindi a Nembro, altro epicentro del male che ci ha colpiti. Nella bella piazza centrale, ci aspettano Paolo e Angela, Genia e la simpaticissima nipotina Gea. I primi tre sono amici straordinari, anime rare con le quali ho la fortuna di avere un legame molto stretto. Hanno perso molte persone care nei mesi passati e i loro cuori sanguinano ancora. Nonostante ciò, oggi sono felici io sia qui e questo per me è davvero un onore.

Mi trovo circondato da un gruppo di persone magnifiche, sembra un sogno.
Le amiche della RSA mi salutano con gli occhi umidi di commozione, e tornano sui loro passi. Poco dopo, anche io e Chiara ci congediamo e riprendiamo il cammino; scendiamo prima verso il fiume, per poi superarlo e arrivare a casa dei miei, giusto in tempo per il pranzo.
Con mamma e papà mi sono visto parecchio, ultimamente. Il loro aiuto è stato tanto e fondamentale. Accolgono splendidamente Chiara, che può anche conoscere mia nonna novantaduenne, ancora in splendida forma.
Quando è ora di ripartire, ci salutano con grande emozione. Posso solo immaginare quali siano ora i loro sentimenti.

Ben sazi, riprendiamo la marcia, stavolta verso l’ospedale di Seriate. Lungo la strada, riesco con gran gioia a incontrare Arianna e Lorenzo. Non mi era mai successo di poter vedere in poche ore tutti questi amici, e non poteva accadere in un giorno migliore.

Dopo il saluto all’ospedale di Seriate, ci dirigiamo verso Bergamo transitando davanti alla clinica Gavazzeni. Ci muoviamo per strade comuni, senza scenari memorabili, ma il tempo della scoperta e della meraviglia non mancherá, già a partire da domani.
Decido di regalare a Chiara un piccolo passaggio nel centro della città prima di raggiungere l’ospedale Papa Giovanni, ma purtroppo oggi la “mia” Bergamo non veste i suoi abiti migliori. Pazienza. Tutto è cammino.

Il tour prosegue verso la periferia ovest e ci conduce infine a destinazione.
Sono a pochi chilometri dal punto di partenza, ma in realtà ne abbiamo percorsi quasi trenta, e il corpo se ne rende conto.
Ho sentito in più occasioni un fastidio all’interno del ginocchio sinistro, sintomo di qualche trauma di gioventù. Contengo la preoccupazione e confido di riuscire a gestire la cosa.

Settimana scorsa ho ottenuto l’autorizzazione per passare la notte in tenda nel parco Terzo Paradiso – uno dei giardini esterni del complesso ospedaliero – e mi è stato promesso anche un timbro sulla credenziale. Come d’accordo, quindi, suono al campanello della vigilanza, ma nessuno sa del mio arrivo. Rileggendo la mail ricevuta, mi rendo conto di non aver seguito del tutto le istruzioni: avrei dovuto dare una seconda conferma, ma ho dimenticato di farlo e ora tutti sono stupiti della mia stramba richiesta. Fortunatamente, diverse persone si prendono a cuore la mia situazione e con un paio di telefonate arriva l’autorizzazione al campeggio, ma purtroppo nessun timbro. Pazienza. Non mi affliggo troppo, quel che conta è poter pernottare qui.
Mi godo le ultime chiacchierate con Chiara e le guardie, poi è tempo di salutarla. Oggi non potevo sperare in una compagnia migliore.

Dopo aver montato la tenda ed essermi docciato, vengo raggiunto da Serena. Anche lei pellegrina, dopo essere tornata da Santiago ha cominciato a fare da referente volontaria per la Confraternita di San Giacomo di Perugia. Ci siamo visti per la prima e unica volta un mese fa, quando mi ha consegnato la credenziale. Oggi è stata così gentile da voler passare a salutarmi. Insieme mangiamo anche una pizza in una sala d’attesa, poi lei se ne torna a casa mentre io mi rifugio in tenda.

Qui in ospedale, le persone con cui ho parlato mi hanno raccontato alcune cose particolarmente infelici dei mesi scorsi, aiutandomi meglio a capire quanto sia stata drammatica la situazione in questo luogo. Ricevere testimonianza diretta di un fatto, come sempre, aiuta a percepirne meglio molte sfaccettature, a riporle più a fondo dentro di sé.

Chiudo le zanzariere e mi infilo nel sacco-lenzuolo.
È stato un inizio splendido.

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