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cammino di santiago - roberto pesenti

17/10 Maulèon-Licharre – Saint-Jean-Pied-de-Port

(La vita è bella)
40km

È dalla partenza che non ero così eccitato al suono della sveglia. Domani sarà importante perché inizierò il Camino più famoso di tutti, ma oggi non è certo da meno. Il confine franco-italiano, Arles e a suo modo anche Lourdes sono stati traguardi preziosissimi, ma Saint-Jean-Pied-de-Port lo sarà ancor di più, senza alcun dubbio.
Non ho riti particolari per occasioni come questa, semplicemente vivo ogni gesto con una consapevolezza acutissima e custodendo sotto pelle un’energia pronta a scatenarsi. Affiora solo un sorriso che sembra proprio non volersene andare, ed è bello sentire la pelle della faccia tirata, le palpebre restare un po’ schiacciate, gli occhi inumidirsi un po’. Sentire il volto contratto per un sorriso sembra addirittura alimentare il buon umore che lo ha prodotto.
Il corpo trasmette tanti segnali che noi processiamo senza rendercene conto, o che semplicemente non ascoltiamo. L’esperienza fisica di questi due mesi mi ha insegnato a riconoscere non solo i campanelli d’allarme, ma anche le percezioni associate al piacere: una gamma che in queste settimane si è decuplicata. È come quando cammino e sento la pianta del piede schiacciata sotto il mio peso e quello dello zaino: mi sono reso conto che anche quella è una sensazione fisica che mi gratifica, nonostante porti con sé mille tipi di fastidi.

Ad ogni modo, è proprio con quel sorriso che do il buongiorno a Nico mentre inizia a preparare la colazione. Dev’essere tornato tardi perché non l’ho nemmeno sentito, ma ha deciso comunque di svegliarsi insieme a me: una cortesia che mi fa molto piacere.
A tavola parliamo un po’ e, tra una risata e l’altra, noto le sue facce mentre vede quanto mangio. Vorrei riderne con lui, ma mi trattengo perché sembra particolarmente turbato. Per un attimo quasi mi giustifico, ma mi pare eccessivo, quindi continuo serenamente come nulla fosse, gustandomi le sue smorfie buffe.

La tappa di oggi sarà la più lunga che abbia mai percorso. Seguirò in toto le tracce GPS di Sara. Questa volta non ho nemmeno provato a chiamare al paese intermedio, Saint-Just-Ibarre. Figurati se ormai rinuncio all’occasione di realizzare il sogno di arrivare a Saint-Jean in due mesi netti! Il vento della vita ha spinto perché arrivassi fin qui, sarebbe stato maleducato rifiutare l’offerta, giusto?

Finita la colazione e gli ultimi preparativi, saluto il mio fantastico ospite e scendo in strada. Il solito impatto con buio e freddo ormai ha finito col piacermi, tanto so che in meno di dieci minuti il corpo sarà già caldo.
Uscito da Mauleon, proseguo sulla strada principale che la collega ai paesi successivi. Ai lati, ci sono case diverse tra loro, ma sempre con alcune caratteristiche ricorrenti e distintive di questi luoghi. In pochissimo tempo una leggera foschia diventa una vera nebbia. Strano, eppure oggi avevo letto ci sarebbe stato bel tempo…

Arrivato alla chiesa di Garindein, imbocco una traversa e comincio a salire. In pochi minuti scopro che lo strato di nebbia si limita al livello della strada che ho lasciato. Mi ritrovo tra pendii erbosi, vicino alle ultime ville del paese. Il gran buio se n’è già andato e il cielo comincia a illuminarsi. Dalla foschia lattiginosa che ho superato, iniziano ad alzarsi alcuni grandi lembi rosati dall’aurora, disperdendosi nell’aria come zucchero filato. È incredibile come la mattina presto sia sempre così ricca di silenziose meraviglie.

Continuando a salire, le case finiscono e comincia un piccolo bosco dove noto qua e là delle macchine parcheggiate. Devono essere di cacciatori perché agli alberi ci sono cartelli che invitano a non fare rumore per non disturbare tanto loro quanto gli uccelli.
Oltre il bosco, la salita si addolcisce e vedo spuntare la mia ombra davanti a me: anche oggi un bel bacio beneaugurante dal mio amico più grande.
Il panorama si fa via via più interessante: sotto di me ho l’ampia valle ancora coperta di nebbia, attorniata da colline sinuose che ci si tuffano come le gambe nella schiuma della vasca, e alle loro spalle montagne man mano più alte, fino ai bianchi Pirenei. Sono le 8:30 e sono già senza parole. Iniziare così non ha prezzo!

Non è finita qui. Camminando su un sentiero sterrato con solo qualche pianta a lato, arrivo sotto la cima di un colle infuocato dalla luce del sole, sembra quasi fluorescente! Alcune mucche sono arrampicate lì a brucare, indifferenti a tutta quella bellezza. A bocca e occhi spalancati, continuo un passo alla volta, ammaliato.
Più avanti altre mucche, ma stavolta sotto il livello del sentiero. Una mi fissa, poi comincia a salire piano verso di me; imperturbabile, mi sfiora e raggiunge poi la parte alta. Un’alba, una montagna, un animale ed io: per un attimo sembra che esista solo questo, come fosse un sogno, qualcosa di simbolico e originario. Fantastico!

Il percorso segue le ondulazioni delle colline spoglie fino a una sella con un abbeveratoio. Lì si incrociano cinque altri sentieri, disegnando un asterisco in mezzo all’erba bassa. Ora posso vedere anche il panorama anche nella direzione opposta, con altre colline a perdita d’occhio.
Proseguo sul versante che vi si affaccia, tornando per un attimo all’ombra. Risalgo poi quasi sul crinale, procedendo per sinuosi saliscendi, immerso in questo sconfinato paradiso. Cammino così – entusiasta – per almeno per 3 km, poi sono obbligato a immettermi su una strada.

Ad un tratto incontro un cacciatore a ridosso del guard-rail, impalato a contemplare la valle. Sorridendo, gli chiedo se è lì per i piccioni o per il panorama. Mi risponde con il mio stesso sorriso, lascia una pausa e poi torna a guardare davanti a sé: “Per entrambi”, risponde. Un momento semplice e straordinario. Insieme, senza dire più nulla, continuiamo a guardare davanti a noi ancora per un lungo minuto, poi lo lascio e riprendo il mio cammino.

La strada continua a mezzacosta e ai suoi lati si fanno via via più numerose le auto e i camper parcheggiati. Dalla parte opposta della valle, un colle gemello. Sento urla e segnali mandati da una sponda all’altra. Poco più avanti c’è un hotel-ristorante con molte persone fuori, tutte col naso all’insù. Anche se non ne ho mai vista una, tiro le somme e capisco che sono spettatori di una gara di caccia. Me lo conferma la barista, una volta entrato a prendere un caffè. Dopo la pausa mi allontano, ma senza aver sentito nemmeno uno sparo. Curioso.

Da lì in poi comincio a scendere e in meno di un’ora raggiungo a fondovalle la cittadina di Saint-Just-Ibarre, dove la tappa originale si sarebbe dovuta concludere.
Appena arrivato, mi capita una fastidiosa esperienza: un grande cane slegato comincia a seguirmi. Per fortuna è assolutamente docile, per nulla minaccioso. Purtroppo sembra poco intelligente, però, perché si muove liberamente per la carreggiata nonostante passino diverse vetture. Una dopo l’altra, tutte sono costrette a inchiodare e superarlo con prudenza, mentre io cerco inutilmente di allontanarlo. A un certo punto, in corrispondenza di una curva a gomito dove sono presenti alcune persone, rischia davvero di succedere un bruttissimo incidente. Quando tutto sembra scongiurato, un uomo al lato della strada comincia a urlare al cane di rientrare. Io nel frattempo faccio per andarmene, ma d’un tratto mi accorgo che l’uomo non sta inveendo contro il cane, ma contro di me, come fossi io il responsabile di tutto! Evito di rispondergli e me ne vado un po’ scosso, ma di matti ormai ne ho incontrati tanti, e non sarà di certo l’ultimo.

Attraverso il minuscolo paese, molto più piccolo di quanto pensassi. Attorno alla chiesa – con annesso l’immancabile cimitero – l’aspetto delle case torna ad uniformarsi: tutte sono dipinte di bianco e hanno gli infissi della stessa tonalità di rosso. Chissà come funziona qui: saranno obbligati ad accettare questo stile o lo sceglieranno con fierezza?
Supero il ponticello sulla Bidouze e, già in piena campagna, incrocio una bellissima coppia di giovani pellegrini: lei canadese e lui belga. Arriveranno anche loro a SJPdP, ma prima vorrebbero mangiare qualcosa da queste parti. In effetti è mezzogiorno e anch’io ho una gran fame, ma confesso loro di non sapere se ci siano posti aperti in zona. Parliamo molto piacevolmente per una decina di minuti. Di pellegrini così giovani per ora ne ho incontrati davvero pochissimi, forse solamente il buon Fabian e l’altra parigina a Saint-Gilles. Credo e spero sia solo l’inizio. Confido da domani di trovarne molti altri.
Alla fine ci dividiamo: io proseguo tra campi e pascoli, mentre loro tornano verso il paese.

Il percorso mi porta in una valle laterale e sfiora il villaggio di Ibarrolle, di poco rialzato rispetto alla strada e di certo non più grande del precedente. Il mio radar pellegrino ormai integrato, intuisce che quello è il posto ideale per il pranzo di oggi. Mi concedo prima una passeggiata esplorativa attorno al piccolo nucleo di case, poi scelgo una panchina davanti al comune, su un piccolo terrazzamento soleggiato dal quale posso godermi il panorama.
Ero convinto sarebbe stata una pausa di totale relax, e invece un cane chiuso in un giardino poco lontano continua ininterrottamente ad abbaiare. Ha iniziato quando ci sono passato di fianco per arrivare qui, e non ha più smesso.

Quando riparto, innesco il latrato di almeno tre altri cani. Un paio escono dal cancello e mi seguono per una decina di metri, ma per fortuna sono di piccola taglia. Come sempre, mi chiedo come sia possibile che neanche una persona esca a richiamarli. La strada continua dritta per un chilometro, fino ad un colle che dovrò superare. Ai lati stanno diverse altre abitazioni, tutte simili e divise da campi e giardini di proprietà. Spero con tutto me stesso che non ci siano animali così fastidiosi per ognuna di esse.
Le uniche persone che incontro stanno occupandosi di rifare un tetto. Chiedo loro se abbiano dell’acqua. Qualcuno mostra naturale cortesia, ma la persona che viene a prendere la borraccia non nasconde una certa scocciatura e quando torna mi fa pure pesare che ce n’era ancora un po’ dentro, come per dire: “Non te ne serviva davvero”. La verità, invece, è che mi mancano ancora 15 km ad arrivare, ma in ogni caso mi chiedo come mai una richiesta tanto banale possa produrre tanta asprezza. Vabbé, pazienza. Ringrazio, saluto e riparto.

Raggiungo il termine della valletta e da lì comincio a salire verso il passo. La pendenza non è male, ma va benissimo così. L’ultimo tratto si addolcisce molto. Senza più alberi attorno, posso già godere di un bel panorama alle mie spalle, con Ibarrolle in lontananza.
Più avanti, passo in mezzo a un gruppo di cacciatori che probabilmente ha concluso la propria battuta e ora stanno chiacchierando vicino alle auto parcheggiate. Come al solito, condivido il mio miglior entusiasmo ma sembra bastare solo per un saluto minimamente dignitoso e qualche risatina, ma io sono a un passo dallo scollinare e niente può rovinarmi l’umore.

Quando vedo la soglia avvicinarsi, comincio a rallentare sempre di più e l’emozione aumenta secondo dopo secondo. Man mano che avanzo, inizio per prima cosa a vedere le cime dei Pirenei e ad ogni passo successivo lo sguardo può scendere sempre più in basso: alle vette si aggiungono i versanti, poi i colli minori e infine, quasi d’improvviso, si apre la vista sulla grande vallata.
Sì! Sì! Sì! Ce l’hai fatta, Robi! Ce l’hai fatta! Piango, ovviamente, e lo faccio mentre rido, in quella combinazione che amo più di ogni altra. Sono qui, proprio qui, e ci sono arrivato io, coi miei piedi! Io, camminando! Da Bergamo a qui, a un passo da quel mitico luogo da cui il Cammino parte.

Da più di due anni pensavo al Francés. Quante volte avevo speso ore al computer per capire quale sarebbe stata la migliore soluzione per raggiungere Saint-Jean. Sembrava ovvio prendere l’aereo da Orio, a due passi da casa, arrivando a Lourdes, e poi da lì chissà: in autobus o in taxi con altri pellegrini conosciuti al momento. Sono tanti i modi possibili: se ne parla sui blog, sui forum, su facebook. Si contano i giorni necessari, si ragiona sulle ferie disponibili, e così ho fatto anch’io un’infinità di volte.
Poi però un giorno di luglio decido qualcosa di diverso: scelgo che non prenderò le ferie, e nemmeno l’aereo. Quel giorno si accende una luce, e nessuna vocina troppo prudente dentro la mia testa riesce a distrarmi dal fissarla. Tutto si fa chiaro, nitido, e cade ogni dubbio, ogni paura. L’idea è appena nata, ma ogni cosa è già cambiata.
Oggi sono due mesi esatti dalla partenza dell’esperienza più bella della mia vita. Non so perché fosse poi così importante arrivare qui proprio oggi. Forse l’unico motivo è il senso di armonia, di compiutezza che questa sincronia mi regala. È come se fossi arrivato “in tempo”, o “al momento giusto”. Sono sensazioni, un’attrazione verso il numero pieno, tondo, verso un ordine, come fosse segno di un destino che si compie, della vita che risponde, delle cose che una volta tanto vanno come volevi, come avevi bisogno.

“Ce l’ho fatta!…ce l’ho fatta davvero”.
Respiro.
Sorrido. Respiro.
Gli occhi bagnati. Sorrido. Respiro.
Non riesco a staccarmi da quello spettacolo. Il cuore batte forte.
Gli occhi bagnati. Sorrido. Respiro.
Soffio il naso. Cade l’ultima lacrima.
Sorrido. Respiro.
Mi abbraccio. “Ce l’ho fatta”.
Sono felice, non mi dimenticherò di questo momento, me lo prometto.
E ora, cuore mio, andiamo a prendercela, che oggi è ancora lunga.

Comincio la discesa lentamente, molto lentamente. Non posso e non voglio fermarmi, ma non ho nemmeno fretta che questo momento finisca.
La strada scende con ampie curve lungo il versante spoglio. Poco più in alto, un ristorante con tantissime auto parcheggiate fuori; sotto di me l’ennesimo gregge di pecore al pascolo.
Mando un messaggio vocale a un’amica speciale, Laura, pellegrina anche lei, per condividere un po’ di questa gioia. Mentre lo sto registrando, comincia a sfrecciare verso valle una serie interminabile di auto d’epoca straordinarie. Probabilmente erano quelle che avevo intravisto poco prima. Avranno finito di pranzare e ora staranno andando a esibirsi in qualche paese, o a fare semplicemente un gran giro tutti insieme. Sono una più bella dell’altra, la maggior parte cabriolet – alcune credo siano addirittura degli anni trenta. Le guardo incantato. Fin da quando ero bambino vivo questa sensazione davanti a ogni tipo di mezzi da cantiere, e oggi scopro che quelli non sono i soli veicoli a procurarmela. Inizio a salutare i piloti con grande euforia, e tutti mi rispondono sorridenti e coi loro clacson dai suoni buffi.

Man mano che scendo, inizio a vedere qualche casa. Già da Ibarrolle, tutte le case – ma proprio tutte – hanno le facciate bianche e gli infissi colorati con un preciso tono di rosso o di verde. La sensazione è quella di in un territorio in cui gli abitanti vogliono dare un’immagine unitaria della propria comunità, riuscendoci tra l’altro magnificamente.
Conosco poco di questa cultura ma, fin dalla breve esperienza dell’anno passato nei Paesi Baschi spagnoli, posso dirmi abbastanza certo che la loro identità collettiva vada ben oltre l’immagine: tutto fa pensare sia radicata molto a fondo e sia solidissima. Nell’aria c’è come uno spirito “plurale” che si fa colore, forma, stile, e che di certo mi mostrerebbe un’infinità d’altre sfaccettature se mi mettessi a studiare la loro lingua e la loro storia, oppure se degustassi i loro piatti tipici o imparassi a giocare alla pelota basca.
Camminare in questi territori, quindi, rafforza l’impressione di essere in casa d’altri. Non per questo, però, prevale il sentirsi estraneo; anzi, mi succede quasi il contrario: sento come un privilegio il poter attraversare questi luoghi splendidi, ed è una bellissima sensazione.

Immerso in questi pensieri, arrivo a Saint-Jean-le-Vieux, per poi tornare subito nei campi. Prendendo la svolta sbagliata, però, mi ritrovo poi a camminare qualche centinaio di metri ai bordi di una strada trafficatissima, ma non tutto il male vien per nuocere: infatti è proprio qui che ho il piacere di imbattermi nel bellissimo cartello d’ingresso a Saint-Jean-Pied-de-Port.
Le lacrime e le emozioni più vibranti le ho già vissute due ore prima, al passo sotto il Col-de-Gamia – quello del ristorante con le macchine d’epoca. Ora è tempo di ridere e rallegrarsi più che mai: anche questo traguardo è conquistato!

Lascio lo stradone e ritrovo il tracciato corretto, che sembra una vera e propria passerella d’onore. Supero la chiesa della Magdeleine e percorro l’incantevole strada che ne segue, tra prati e casette particolarmente pittoresche.
Arrivo ad un altro cartello: indica la cittadella, ma soprattutto la Porta di San Giacomo, e leggendolo quasi piangerei ancora qualche lacrima.
C’è anche un quadrato blu, di un blu che conosco molto bene, e al centro poche linee gialle che partono da un punto e si irradiano. È una conchiglia, ma è anche molto di più. Guardandolo diversamente, infatti, quel punto si trasforma da partenza a destinazione. E così d’un tratto le linee diventano tutte le vie che arrivano a Santiago de Compostela, oppure tutte le storie di vita di chi ha fatto quella scelta, di chi ha risposto a quella strana chiamata del cuore e ora si dirige laggiù. Sono suggestioni che mi riempiono l’anima.

Un attimo dopo sono di fronte all’antica porta, eccezionalmente da solo. Ancora una volta rallento, mi avvicino piano. Ha qualcosa di magico quel portale, la mia testa non riesce minimamente a immaginare quanti possano essere tutti i pellegrini che l’hanno attraversato. Con la mia piccola storia ho quella sensazione privilegiata di essere dentro una molto più grande. E ora…non resta che oltrepassare quella soglia, ringraziando ogni cosa – tangibile e intangibile – che mi ha permesso di arrivare fin lì e tuffarmi in un nuovo inizio.

Sono momenti memorabili, ma si sa che tutt’attorno la vita deve comunque scorrere normalmente. Niente fuochi d’artificio, quindi; nessun campana, nessun bacio particolare del sole, nessun rapace a stridere improvvisamente sopra di me, e va bene così. Rallento, cammino piano. Sorrido un po’, mi guardo intorno.
Un uomo vestito di nero sta appoggiato al muro col muso un po’ ingrugnito. Vende qualche verdura, ha una cassetta poggiata a terra; una sola, tutto lì.
Mi fermo a bere alla fontanella di fronte. Quando rialzo la testa, mi si avvicina un secondo uomo vestito a sua volta di nero, con basco e occhiali, più vecchio del primo. Comincia a parlarmi di sé: è un poeta, dice. Parla molto, troppo. Non gli interessa per niente dialogare, e stando così le cose non posso che lasciarlo cortesemente ai suoi versi.
Inaspettati, questi primi passi.

Percorro la Rue de la Citadelle gustandomi ogni particolare. C’è poca gente e diverse attività sono chiuse in questo momento. La maggior parte è dedicata in varia forma ai pellegrini, però non ho l’impressione di essere in un bazaar. Per quanto mi riguarda, oggi già so dove dormirò: da Patrizia, all’albergue La vita è bella. Me l’hanno consigliato almeno in tre persone diverse, è stato facile scegliere. Come si può intuire, è italiana e la vita ha voluto che stasera ci siano anche due pellegrini liguri. Tre italiani tutti insieme non li vedevo da più di un mese. Ne sono contento, sarà di certo una bellissima cena.

Prima però devo passare alla famosa Casa del Pellegrino, il punto informativo numero uno per il Camino Francès. Le cose che più mi interessano sono la certezza di poter raggiungere Roncisvalle domani passando dalla via alta, e avere gli ultimi aggiornamenti rispetto a quanti albergue siano aperti in questo periodo.
Raccolgo ottime notizie rispetto a entrambi i fronti, oltre che diverso materiale cartaceo che mi sarà di certo utilissimo. Faccio orgogliosamente timbrare la credenziale e m’incammino per raggiungere l’alloggio.

Mi apre la porta una donna a dir poco luminosa, con un briciolo di gaiezza un po’ magica, che me la fa subito piacere molto. Il posto è caloroso e bellissimo e l’accoglienza è quanto di meglio potessi sperare. Parlare italiano sembra far piacere a entrambi. Lei, infatti, non conosce il basco e questo le fa vivere qualche difficoltà in questa terra così orgogliosa, ma sembra una tosta e le sue più grandi armi sono il sorriso e un ottimismo che definirei radicale.
I due ragazzi liguri sono andati a fare qualche chilometro esplorativo lungo la tappa che anche loro percorreranno domani. La cena sarà molto presto. Faccio due conti e capisco che, ahimè, non ho tempo per visitare la cittadina, infatti devo passare obbligatoriamente al supermercato e in farmacia. Gambe in spalla, quindi!

Al mio ritorno, finalmente faccio conoscenza di Amedeo e Tiziano. Vengono da Laigueglia, un piccolissimo paese di mare in provincia di Savona. Fanno entrambi i bagnini da quelle parti e, finita la folle stagione di quest’anno, hanno deciso di tentare di raggiungere Santiago nonostante tutti i rischi legati alla seconda ondata pandemica.
Hanno un’età molto diversa: Amedeo ha 22 anni, dieci in meno di Tiziano. È quest’ultimo che ha proposto l’esperienza, forte del fatto che è già la quarta volta che affronta “il Francese”. Scopro addirittura che due anni fa è partito anche lui da casa a piedi, come me. Splendido! Ma quante probabilità c’erano potessi trovarmi qui oggi con una coincidenza tanto speciale?
Sembrano molto simpatici, e pure ben attrezzati. Scambiamo due parole, poi ci viene in mente che potremmo essere ancora in tempo per vedere il tramonto. Il sole in realtà è già sceso, ma il crepuscolo è comunque magico. Nel frattempo, è già ora di cena e rientriamo. Patrizia ci aspetta con la tavola apparecchiata. Per l’occasione ci ha preparato una pasta al pesto da leccarsi i baffi.
Oggi davvero non poteva andare meglio!

Parliamo di tutto. Ognuno racconta molte proprie vicissitudini, sogni realizzati o in corso d’opera. A nessuno manca qualche croce da portare, ma le energie attorno al tavolo sono super positive.
A un certo punto arriva una coppia di altri pellegrini. Con mia grande sorpresa, sono quelli che ho incontrato all’ora di pranzo a Saint-Just-Ibarre. Avevo fatto loro cenno a dove sarei stato stanotte e hanno deciso di venir qui anche loro. Sono contento di rivederli, anche se purtroppo restano con noi solo pochi istanti perchè hanno scelto di uscire per cena.

Torniamo in stanza verso le dieci e mezza, sazi, felici e gasati per domani.
Abbiamo deciso che partiremo insieme, e ne sono molto contento.

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Francia, Nouvelle-Aquitaine, Pyrénées-Atlantiques