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cammino di santiago - roberto pesenti

20/08 Treviglio – Spino d’Adda (CR)

(tenda @ campo sportivo)
27km

Il materassino continua a mettermi a dura prova, anche stavolta non sono riuscito a dormire bene. Mi infastidiscono insopportabilmente i rumori che fa sotto al mio peso e quando mi giro. Soffro anche la sua silhouette troppo stretta; le braccia e le mani continuano a cadere verso l’esterno e per qualche ragione non lo sopporto. Mi sveglio spessissimo e patisco continui incubi senza senso.
Nonostante questo, la mattina mi alzo di buona lena. Non sono nella forma migliore, ma pensavo peggio.
Faccio colazione con Stefano, che mi dà qualche dritta per uscire dal paese attraverso le strade secondo lui più gradevoli.
Infine ci salutiamo, felici di esserci potuti conoscere. Come altri, mi domanda se può seguirmi su qualche social network o blog.

Qui apro una parentesi: prima di partire, molte persone mi hanno chiesto di tenerli aggiornati sulle mie condizioni, ma non è esattamente quel tipo di cosa che amo fare. Fin dal primo giorno, però, ho ceduto alla tentazione di postare una o due immagini sul mio stato whatsapp a fine giornata. Inaspettatamente, però, ci ho già preso gusto e ora sto aumentando pian piano le fotografie che scatto e quelle che posto ogni sera. Con piccole didascalie, creo un racconto minimo della giornata. Già molti miei conoscenti hanno mostrato di apprezzare la cosa e, tradendo le mie prime intenzioni, sospetto che finirò col dedicarle ancora più spazio.

Spiego quindi a Stefano come può seguirmi virtualmente, rendendomi conto che c’è qualcosa di molto bello in questa cosa e che l’avevo sottovalutata. Ció che mi tratteneva era il desiderio di affrontare questo viaggio col coraggio di staccarmi profondamente da ciò che mi lasciavo alle spalle. A quanto pare, mi sono contraddetto fin dall’inizio, ma questi primi giorni mi hanno già mostrato una cosa inattesa: per molte persone, per esempio alcune particolarmente malate, queste mie cartoline serali sono un regalo inaspettatamente prezioso, non solo banali distrazioni tra le mille altre.
C’è anche un’altra cosa: chi segue ciò che pubblico è costretto a veder scomparire tutto in ventiquattro ore, restando ogni giorno in attesa di nuovi post temporanei. Riflettendoci, mi pare che questo concordi molto con il tipo di esperienza che sto vivendo, aumentando il senso di coinvolgimento, e la cosa mi piace.
Un altro aspetto particolare è che tutto può essere visto solo dai miei contatti, cioè pressoché solo persone che già mi conoscono dal vivo, e anche questa sorta di intimità mi mette a mio agio.
Insomma, non sono pentito della mia resa alla dimensione social del viaggio, anche se è già chiaro che, se continuassi, non permetterà quel distacco radicale che era uno degli obiettivi più coraggiosi di questa esperienza. Chiusa parentesi.

Lascio Treviglio seguendo i consigli di Stefano, che mi portano presto tra la campagne agricole a ridosso dell’Adda. Informatomi, ho trovato conferma dell’esistenza di una ciclabile che si snoda seguendo il corso del fiume. Ho anche fatto un giro di telefonate per chiedere una specie di autorizzazione informale a piantare la tenda stasera nell’area del grande parco fluviale, ricevendo risposte molto cortesi e qualche dritta.
Forse sono mosse da principiante, ma d’altronde è quello che sono. Comprendo bene la differenza tra quando riesco a buttarmi e quando apro il paracadute; il mio tentativo è restare almeno un passo fuori dalla mia zona di comfort, quella dove tutto è sotto controllo, ben programmato, e nulla veramente a rischio. Di meglio, per ora, non riesco a fare.

Arrivare a Rivolta d’Adda corrisponde a due primi, piccoli traguardi: l’uscita a piedi dalla mia provincia e, più o meno, i primi cento chilometri di cammino. Cose modeste, ma ne sottolineo a me stesso il valore per nutrirmi dello stimolo che mi restituiscono.
Qui, tra l’altro, mi devo un po’ sforzare per superare il Parco della Preistoria senza entrarci. La tentazione è forte perché è stato un luogo magico per la mia infanzia, ma è troppo grande e costoso, del tutto incompatibile con questa mia avventura pellegrina.
Prendo maggiore coscienza di un aspetto principale di questa esperienza: vedrò moltissime cose che mi attrarranno, ma la stragrande maggioranza di esse dovrò solo attraversarle o costeggiarle, e passare oltre. Curioso come sono, saranno parecchie le rinunce, ma solo così il sogno potrà prendere forma.
“Tante ciance per un piccolo parco per bambini”, penso. “Chissà quando arriverò in luoghi come Arles, allora!”.

Imbocco la ciclovia dell’Adda Sud, scoprendone la vegetazione magnifica e dall’aspetto quasi esotico. L’umidità è alle stelle – mai sofferta così tanto – ma per fortuna non sono preda delle zanzare.

Il fastidio al ginocchio è contenibile, ma non sparisce mai davvero.
Provo a usare la ginocchiera elastica che mi sono portato, ma ho la sensazione che sia totalmente inutile, oltre che fastidiosa.
Sono invece entusiasta del mio cappello parasole ultraleggero preso per due spicci alla Decathlon. Lo comprai per percorrere il Cammino Materano, ma ai tempi mi sembrò troppo ridicolo e lo lasciai casa. Ora ne sono innamorato, mi sta letteralmente salvando.

Non cammino sempre sulla ciclovia perché segue il fiume nelle sue grandi anse, aumentando troppo il chilometraggio rispetto alle forze che ho a disposizione.
Raggiungo un ponte meraviglioso sul Canale Vacchelli, del quale non avevo mai sentito parlare, ma sembra essere molto importante per l’irrigazione di questa provincia.
L’Adda è a due passi e il ponte, in realtà, è quella che si chiama una presa d’acqua. Ha un passaggio carrabile e una parte coperta e chiusa, splendidamente decorata, soprattutto tenendo conto di essere in mezzo alla campagna. Di fianco c’è una cascina, e al di fuori di quella una suggestiva fontana a leva. Mentre bevo come non ci fosse un domani, sopraggiunge un ragazzo in bici, con cui mi intrattengo per una breve e piacevole chiacchierata. Nel frattempo, due operatori del parco dell’Adda Sud escono da una specie di magazzino. Chiedo loro se ci siano luoghi adatti nelle vicinanze per piantare la tenda. Mi indirizzano verso Spino d’Adda, poco oltre, dove sotto il ponte fuori dal paese ci dovrebbe essere uno spazio riparato e discreto.
Acqua fresca e tanta gentilezza: a volte è difficile pensare a cose più importanti di queste.

Una volta raggiunto il posto, lo studio per bene, ma non mi dà l’idea di essere sicuro. La mia paura maggiore è quella di essere derubato. Ho messo in conto potrebbe succedere in mille modi diversi e nelle occasioni più disparate, ma vorrei evitare soprattutto che succeda così presto.
Decido di spostarmi verso il paese in cerca di spazi più rassicuranti, e ne trovo subito uno: una casa molto originale con un grandissimo prato che sarebbe perfetto per me. Decido di provarci e citofono. Mi viene a rispondere una giovane donna, legittimamente un po’ stupita dalla mia richiesta, ma che sembrerebbe disponibile a concedermi un pezzo di giardino per la notte. Prima, però, chiama il marito per concordare con lui la decisione, e purtroppo lui si oppone categoricamente. Non li biasimo, ma sono contento di averci provato.
Vado poco oltre, dove trovo grandi campi arati, con la terra indurita dal sole. Trovo un posto adatto a me nei pressi di un grande albero, ma anche in questo caso decido di avvisare gli abitanti di una casa lì di fronte, per spiegargli che rimarrò lì solo una notte e quindi non si spaventino. Prendono atto con qualche comprensibile titubanza, ma tanto mi basta.

Resta quindi il problema del cibo. Cerco un negozio di alimentari nelle vicinanze ma non lo trovo. Sono costretto ad andare in paese, ma il primo negozio utile è a due chilometri. Senza zaino sarebbe una passeggiata, ma non mi fido a lasciarlo qui. Pur stanchissimo, non mi resta che proseguire col mio carico sulle spalle.
Nel frattempo, scelgo però di azzardare un’altra mossa: telefonare al parroco. Si chiama don Alberto e si dice del tutto disponibile a lasciarmi un posto dove piantare la tenda. Fantastico! Ci diamo appuntamento presso l’oratorio, ma prima passo al supermercato.
Una volta incontrati, mi accompagna nel suo ufficio per timbrarmi la credenziale e poi torniamo in oratorio, che in questo periodo è chiuso. C’è un fazzoletto di prato discreto e protetto dietro gli spalti del campo da calcio. In effetti è ideale per piantare la mia tenda in tutta tranquillità.
Mi saluta, dandomi indicazioni su dove lasciare le chiavi domani mattina.

Poco dopo arriva un’altra persona. Si chiama Antonio, ha 77 anni e si occupa della manutenzione del campo e degli spogliatoi. Mi dà l’impressione di essere un uomo estremamente buono. Io preparo la tenda, faccio la doccia negli spogliatoi e posso addirittura lavare i vestiti nella lavatrice che usano forse per le divise sporche. Parliamo poi piacevolmente per quasi un’ora, fin quando deve andare. Mi avvisa che a momenti dovrebbe arrivare un ragazzo a tagliare l’erba. Faccio anche la sua conoscenza. Si chiama Jacopo e sembra davvero in gamba, ma è anche l’unica persona fin qui che si mostra particolarmente perplesso rispetto all’impresa in cui mi sono cacciato. Sono contento di poter sentire opinioni diverse, anche su questa mia scelta così importante.

Per cena, cuocio una improbabile pasta e fagioli confezionata, esordendo col mio fornelletto da campo. Mi risulta molto scomodo. Di certo, anche in questo caso, tanto è causato dalla mia inesperienza, ma già nasce in me una gran voglia di liberarmene e alleggerire almeno di qualche etto il carico sul ginocchio sofferente. Ascoltando bene il mio corpo, credo sia l’unico modo per far davvero sparire il dolore.

Anche oggi sul mio stato whatsapp posto le foto di alcuni dei miei “angeli del giorno”, come li chiamo, e ne sto trovando tanti.
Sono sereno, con la pancia piena e mi sento al sicuro.
Spero basti per riuscire a riposare bene stanotte

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