Cavaillon
0 km
Mi alzo un po’ più tardi del solito, adottando la strategia di mia nonna ultranovantenne: una volta fissato l’orario in cui si è deciso di alzarsi, si deve rimanere a letto a tutti i costi fino a quel momento, anche se ti sei svegliato due ore prima. Per lei l’ora ideale sono le 8:30; in suo onore farei lo stesso, ma ho dovuto tenere conto della possibilità che non mi sarà accordato di restare, quindi anticipo di una mezz’ora.
Quando apro le tende scopro che c’è il sole, il che mi lascia un po’ di amaro in bocca per non essere partito. Guardo subito le previsioni: sembra che la pioggia abbia solo ritardato il suo passaggio. La cosa mi consola, ma in compenso ora dicono che il peggio arriverà domani. La legge di Murphy trova immancabilmente conferma, maledizione! Vedremo stasera se qualcosa sarà cambiato oppure no, ma innanzitutto devo presentarmi alla reception. Fatta la colazione, decido per prima cosa di preparare comunque lo zaino, così da imbracciarlo al volo e partire se non mi fosse permesso di rimanere. Sto anche considerando la possibilità che per il secondo pernottamento possano chiedermi il prezzo pieno della mobilhome, e non più quello super-scontato. Sarebbe un bel guaio, perché anche in quel caso dovrei rinunciare. Incrociamo le dita.
Mentre aspetto fuori dall’ufficio, inizia improvvisamente a piovere, e ormai non so più se rallegrarmene oppure no. La stessa gentile signora di ieri si presenta con dieci minuti di ritardo, ma mi sorride appena mi vede: ha già intuito perché sono lì. Mi anticipa subito che non c’è problema, e che anche la tariffa sarà la stessa. Tiro un gran sospiro di sollievo e la seguo per le pratiche.
Sbrigato tutto, torno alla casa-mobile e svuoto ancora una volta lo zaino, riallestendo l’alloggio per il mio secondo giorno.
Il fatto di non mettermi a camminare subito dopo colazione, mi lascia un po’ disorientato. Ho ripetuto quei gesti per 34 volte, una dopo l’altra, ognuna in un posto diverso, e ora sento il mio corpo in attesa, come un cane che aspetta la passeggiatina quotidiana. Mi spiace, amico mio, oggi siamo fermi; lo faccio anche per te, fidati. La sua risposta è una lieve tensione latente, che lascio si sciolga da sé mentre comincio a visionare guide, tracce GPS, e siti vari.
Dopo un paio d’ore l’esito è il seguente: per i pernottamenti dei prossimi due giorni non dovrei avere problemi. A Saint-Rémy, infatti, c’è un campeggio non troppo costoso praticamente in centro, sempre se le previsioni miglioreranno. Alla peggio sono convinto che in una cittadina tanto turistica non sarà difficile trovare un tetto sotto al quale dormire. Riguardo alla tanto agognata Arles, dopodomani, do per scontato che le opportunità saranno ancora di più. In ogni caso, mi è stato consigliato di rivolgermi serenamente alla segreteria della cattedrale di Saint-Trophime, meta ultima della Via Domitia. Lá mi indicheranno sicuramente qualche accoglienza ad hoc.
Per i giorni immediatamente successivi, invece, mi rendo conto di non avere le tracce Gps, quelle tra Arles e Montpellier. Non me ne preoccupo troppo, però, perché sono certo che troverò tutte le informazioni una volta in loco.
Ho invece molti più dubbi riguardo alla direzione da seguire dopo. Sara era scesa sulla costa, per poi raggiungere il Canal du Midi e seguire il suo corso fino a Béziers. Purtroppo, però, scopro che i prezzi in quelle zone sono molto più alti di quanto io possa permettermi, essendo tutte località molto turistiche. Nel pomeriggio vaglierò ogni soluzione e poi deciderò.
Approfittando di uno sprazzo di sole, vado a fare scorta al supermercato più vicino. Devo rifornirmi sia per i pasti di oggi che per la colazione di domani. Anzi, già che ci sono potrebbe essere utile comprare pane e affettati anche per il pranzo che farò lungo la via.
Oltre al cibo, devo pure comprare alcune cose indispensabili per la mia casa temporanea: carta igienica, detersivo per i piatti e relativa spugna. Almeno per la cucina, mi sarei anche potuto arrangiare, lo so, mangiando qualcosa di confezionato come al solito; ma visto che mancano solo quelle sciocchezze, preferisco spendere qualche euro in più e prepararmi un bel piatto caldo.
Camminare nelle corsie del grande negozio senza il peso dello zaino è stranissimo, non ci sono più abituato. Sono piccolezze, certo, ma risuonano dentro me come veri e propri cortocircuiti.
Di nuovo in campeggio, decido di approfittare del sole passeggero e stendermi a leggere sulla sdraio in giardino.
All’inizio ho qualche problema perchè il corpo scalpita, non sembra sopportare quel mio starmene lì spaparanzato. Poi, però, si arrende alle circostanze e finalmente riesco a rilassarmi un po’.
Il bel momento non dura molto, purtroppo. Nonostante la tanta luce, un fronte di nuvole cariche e scure comincia ad avanzare proprio dalla direzione verso cui avrei camminato oggi. In meno di un’ora arriva anche sulla mia testa e con le prime gocce mi convince a ripararmi in casa. Mentre guardo scatenarsi il temporale dalla veranda provo una velata malinconia. Conoscendomi, era prevedibile. Oggi va così.
Dopo pranzo, torno a studiare il percorso da dove ero rimasto.
Non è così semplice come si potrebbe immaginare, per lo meno se si ha un budget molto basso. Finisco col limitarmi a raccogliere più informazioni possibili.
Tengo conto di ogni opportunità d’alloggio: associazioni varie, campeggi, gîtes, Couchsurfing, AirBnB, Booking, non escludo nulla.
Di certo, rispetto ai primi 500 km italiani, è venuto molto meno un approccio basato sul puro affidamento alla sorte, a Dio o al cammino stesso.
Le complessità maggiori le conoscevo fin da quando ho deciso di partire: una è la mia pochissima padronanza della lingua, e l’altra l’impreparazione quasi totale sul sistema d’accoglienza turistica francese, inclusa quella pellegrina. Per questo ho iniziato fin da subito a organizzare ogni tappa con tutto l’anticipo possibile, dedicando molte ore delle mie giornate a questo impegno: durante certe pause, nel tardo pomeriggio o la sera, e spesso anche mentre cammino.
Quanto tempo passato su quello schermo da nemmeno 6 pollici, premendo migliaia di volte il suo vetro senza tasti per “muovermi” tra mappe, siti vari, traduttori automatici, caselle di posta elettronica e Whatsapp! Mentirei se dicessi il contrario, ma quel grandissimo dispendio di energie mi ha anche permesso di capire benissimo quanto sia grande la differenza tra l’esperienza del camminare e quella del navigare. È scontato? Oggigiorno non direi.
Ad ogni modo, le ho provate tutte per ridurre al minimo l’utilizzo dello smartphone, ma continua ad essere troppo. Ormai confesso di averlo un po’ accettato, soprattutto perché non ho trovato soluzioni migliori. So che la vera fede, il vero affidamento alla cosiddetta provvidenza passa per altre vie – quelle della rinuncia al controllo – ma non ancora saputo fare il grande salto.
Per rafforzarmi, ricordo anche a me stesso che questo non è un anno qualsiasi, e che nonostante ciò sto cavandomela comunque alla grande.
Già, succede proprio così, non lo nascondo: parlo da solo, dialogo con me stesso, lascio che la mia parte più debole dica la sua e che quella più tenace risponda, e poi medio un po’ tra le due. Può sembrare folle a qualcuno, ma la verità è che mi sta servendo parecchio.
Faccio lo stesso anche con il corpo e con le sue parti: le ginocchia, i piedi, le caviglie, le spalle,…
Quando ho dolori o fastidi in un punto particolare parte, cerco di immaginare cosa voglia comunicarmi: forse mi sta chiedendo di rallentare, di regalarmi una comodità in più, oppure mi provoca, ricordandomi che i desideri che mi hanno spinto a partire non si stanno realizzando.
Quello che provo a fare, a quel punto, è evitare innanzitutto di censurare quella voce, tentando invece di abbracciarla con affetto. Le spiego che non rinuncerò alla mia meta, ma farò il possibile per restare in ascolto e rispondere con azioni concrete, per quanto mi sarà possibile. Così facendo sto riuscendo spesso a calmare quell’istanza interiore, e in certi casi ho addirittura l’impressione che la parte del corpo dolorante arrivi a ristabilirsi del tutto.
Lo vivo come un gioco, non lo nascondo, ma sto iniziando a credere ogni giorno di più che sia una buona pratica. Sono messe in scena, ne sono convinto, ma penso comunque che abbiano contribuito realmente a sciogliere molte mie rigidità.
Tornando al tema del telefono e al desiderio irrealizzato di limitarne l’uso, la conclusione è la seguente: anche volendo essere il pellegrino perfetto, semplicemente non lo sono, e non devo torturarmi per questo. La cosa davvero importante è dare il mio meglio e arrivare fin dove posso, magari azzardando traguardi giusto un po’ più in là di quello che penso di poter raggiungere.
Un sogno audace non credo si realizzi calpestando le parti più deboli di sé in nome della propria volontà di forza. Posso farcela, ma un passo alla volta.
Partire da da quello che sono veramente e lavorare costantemente sul mio equilibrio interiore credo siano le migliori premesse per poter essere concreto ed efficace.
In ottica di fede, poi, un’altro ottimo presupposto è che non siamo mai soli nelle sfide che affrontiamo, e che siamo amati e sostenuti proprio a partire dalla nostra inevitabile imperfezione. Mi piacerebbe esserne sempre convinto, ma anche in questo caso ammetto la mia incostanza.
Questa è un po’ la pasta di certe mie riflessioni, appuntate poco su queste pagine, ma fondamentali fin qui per permettere a questo cammino solitario di prendere forma, anche attraverso difficoltà e debolezze.
Per la cronaca, il gran acquazzone se n’è andato e tornato varie volte, e sembra stia per scatenarsi di nuovo anche ora, mentre sto per addormentarmi. Tenendo conto che a Saint-Rémy sarei stato in tenda, direi che mi è andata bene.
Posso quindi brindare alla mia giornata con un bicchiere mezzo pieno e l’animo disteso.
Buonanotte, pellegrino.