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cammino di santiago - roberto pesenti

22/10 Logroño – Nájera

(Alberge Las Peñas)
30km

Eccoci! Primo giorno di cammino ne La Rioja. Non son certo di quali scenari mi aspettino, ma questa piccola regione è famosa per i suoi vini, e di conseguenza c’è un’ottima probabilità che io possa ancora attraversare terre vitate. Sarà curioso scoprire quanto siano differenti dalle innumerevoli altre incontrate in Francia.

L’albergue è stracolmo di pellegrini in partenza e c’è davvero un gran fermento. In mezzo a un tale andirivieni, però, resto ammaliato da un’immagine totalmente in controtendenza: sul pianerottolo fuori dal bagno un uomo di mezza età sta facendo yoga. Magro, barbuto e sorridente, riesce a regalare un pizzico di pace in più anche a me. Quant’è bella questa grande ciurma!

Con Amedeo e Tiziano usciamo intorno alle 8:00, e siamo già tutti d’accordo: oggi colazione al bar. Trovatone uno facilmente, ci diamo la carica nella maniera più tradizionale: cafe con leche e una napolitana, una sorta di fagottino al cioccolato. Per la mia gioia, ci regalano anche dei golosissimi churros – dei dolci fritti molto noti.
Con queste squisitezze come carburante, ci rituffiamo tra le grandi strade cittadine, camminando all’ombra di palazzoni più o meno moderni. Il brulichìo di auto e pedoni per un po’ fa sembrare che epidemie e lockdown non siano mai avvenuti, ma la cosa più bella è un’altra: attorno a noi altre decine di persone di ogni età camminano nella nostra stessa direzione – tutti coi loro grandi zaini. Siamo un piccolo popolo nomade, colorato e vitale.

Come già a Pamplona, diversi parchi addolciscono la nostra uscita dal capoluogo. Anche col clima abbiamo fortuna: la temperatura è piacevolissima e il cielo azzurro sulle nostre teste è quanto di meglio potessimo desiderare.

Dopo un paio di chilometri lo scenario cambia: ci lasciamo alle spalle i quartieri urbani e imbocchiamo una pista asfaltata, affacciata su una vasta piana brulla. Colline coronano l’orizzonte, e una fila di cipressi detta il nostro ritmo con l’alternarsi delle loro ombre.
Superato un grande ponte pedonale, attraversiamo un boschetto niente male, oltre il quale ci aspetta l’Embalse de la Grajera – un lago artificiale di fine ottocento – con anatre e cigni che sguazzano nelle sue piccole insenature, o riposano tra i canneti.
Camminiamo da poco più di un’ora e dentro me fiorisce una sincera gratitudine per questa città che offre ai pellegrini un’uscita così speciale. Addirittura già da qui si cominciano a incontrare i primi vigneti, uno spettacolo che non tradisce mai.

In tutto questo, io ho già allungato il passo nei confronti dei miei due compagni di viaggio, sempre affamato di libera solitudine e di un ritmo sostenuto che il corpo così spesso mi chiede.
Un’altra parte della verità, però, è che a volte provo disagio rimanendo con Tiziano ed Amedeo. È qualcosa che nasce da attitudini diverse con le quali viviamo la dimensione del piccolo gruppo, e un po’ anche il cammino stesso. C’è sicuramente della complementarietà tra noi: qualcosa che hanno loro di prezioso manca a me e viceversa, ma solo ampliando il tempo da solo riesco a vivere con equilibrio il procedere insieme. Tra l’altro, non credo di essere il solo a godere di questa scelta: ad allontanarmi sono sempre io, ma credo che in qualche modo faccia bene a tutti e consolidi l’equilibrio tra noi.

Raggiungo, saluto e supero diversi pellegrini già conosciuti in questi giorni, fino a quando davanti a me non rimane che un ultimo quartetto: sono due ragazze e due ragazzi, tutti con un passo particolarmente spedito.
Riesco a reggere il ritmo, ma le loro sagome rimangono costantemente qualche decina di metri davanti a me. A un certo punto, però, mi lascio ingolosire dalla sfida e mi impunto nel tentare di raggiungerli. L’impresa mi costa fatica e pazienza, ma alla fine ce la faccio e, preso dall’entusiasmo, comincio anche a prendere vantaggio sui quattro. Personalmente, provo gusto anche nel camminare in questo modo, spremendo ogni energia e scatenando a pieno regime il corpo. Di quando in quando, direi addirittura che è un vero toccasana!

Dopo non molto, mi rendo conto che uno di loro si è staccato dal gruppo per raggiungermi a sua volta. Ha capelli e barba neri corvini e uno sguardo particolarmente buono. Quando riesce a raggiungermi, mi saluta sorridendo. Si complimenta per il passo e mi chiede di poter continuare un po’ assieme mantenendo lo stesso ritmo, spiegandomi che anche lui a volte ha le mie stesse esigenze e sarebbe contento se ci presentassimo. Ovviamente accetto, e con gusto.

Si chiama Xavier, è francese e – come me – ha iniziato da solo il suo cammino. Nel suo caso, da Puy-en-Velay, un punto di partenza famosissimo per raggiungere Santiago dalla Francia – anche se io l’ho scoperto solo qualche settimana fa.
Mi spiega che gli altri amici li ha trovati lungo la via- altro punto in comune – e anche loro si lasciano liberi l’un l’altro di affrontare la tappa come ciascuno preferisce, ritrovandosi poi tutti insieme a fine giornata.
Mentre passiamo tra grandi vigneti, mi racconta di sé: è un giovane solare, intelligente e appagato dal suo lavoro. Non mi resta in testa nient’altro, ma è più che sufficiente per essere felice anche di quest’incontro.

Insieme arriviamo a Navarrete, un paesino posto su un colle, famoso per la bellezza della sua chiesa dedicata a Nuestra Señora de la Asunción. Entrati, ci accorgiamo subito che il maggior punto d’attrazione è la decorazione dell’abside: enorme, tutta dorata e carica di infiniti dettagli. Con un euro accendiamo l’illuminazione che la fa esplodere in tutto il suo opulento splendore, accentuando al contempo la penombra in cui il resto della chiesa resta avvolto.

Dopo la visita, Xavier sceglie di fermarsi in paese ad aspettare i suoi amici, ma il Cammino mi regala un altro compagno di viaggio, ancora una volta dallo sguardo rassicurante e sorridente: si chiama Artaud, un alto uomo di mezza età, anch’egli francese. Cominciamo a fare conoscenza fin dai primi passi. Io gli accenno al mio lungo viaggio e a cosa mi ha portato lì; lui mi racconta di sé, dei suoi tre figli e del periodo non felicissimo con la moglie.
Bastano davvero poche cose lungo il Cammino perché si crei confidenza tra perfetti estranei, e nella grande maggioranza dei casi si vivono scambi spogli di giudizio, o perlomeno ricchi di curiosità sincera – che è comunque merce rara. Mi chiede come mai io stia camminando così in fretta. “Oggi ho bisogno di correre”, gli rispondo sorridendo. Ricambia, e mi dice di capire.

Il nostro tratto insieme si conclude dopo nemmeno due chilometri, nei pressi del cimitero di Navarrete e dell’Ermita de Santa Maria del Jesús. Qui incontriamo Richard, altro suo giovane conterraneo, del quale ho già avuto modo di notare in altre occasioni l’attitudine energica e solare. Arnaud sceglie di fermarsi con lui e mi lascia proseguire, augurandomi con sguardo amico un buon proseguimento. Questo modo di consocersi e lasciarsi è bellissimo, e sta totalmente rivoluzionando il mio viaggio.

La pista resta di fianco alla strada per qualche centinaio di metri e si immerge poi tra i vigneti, che qua e là sfoggiano i colori più sgargianti dell’autunno. Oggettivamente, appaiono molto meno curati rispetto ai tanti visti in Francia, e un po’ mi dispiace; forse perché là ho scoperto quanto raffinato può diventare l’apporto dell’agricoltura per il paesaggio. È vero però che ogni luogo ha la sua unicità, ed è esplorando l’infinita varietà del mondo che si sperimenta la meraviglia più grande.
Poterlo vivere attraverso il continuo moto dei miei passi, poi, la sta rendendo un’esperienza a tutto tondo, perché riesce a coinvolgere corpo e anima, intelletto e sentimento in maniera straordinariamente armoniosa. Credo sia questa sinergia la radice fondamentale che rende unico il viaggiare camminando.

Tra l’altro, mi sto accorgendo che il valore della meta finale nel mio cuore sta cambiando: pur essendo sempre trainante, non la sento più come il compimento del mio cammino, ma piuttosto come scrigno di un surplus di senso. Provo a spiegarlo meglio: ad oggi, non credo più che raggiungere Santiago de Compostela sarà qualcosa che mi sazierà, ma un’esperienza aggiuntiva a quelle di ogni singolo istante di questo pellegrinaggio. Porterà emozioni e insegnamenti unici, ma sono sempre più convinto che non prevarranno su ciò che sto vivendo già ogni giorno. Niente di nuovo, in fondo – il valore non sta solo nel coronamento, ma in ogni passo e in tutto quello che porta con sé. La cosa davvero inedita per me è il fatto di starlo sperimentando attraverso un’avventura così ricca e originale.
Ma ora basta! È tempo di tornare presenti.

Tra grappoli d’uva e di pensieri, scambio un saluto con un contadino lì a curare i suoi filari. Mi invita a fermarmi e scambiamo qualche battuta cordiale – gesto sempre prezioso e mai scontato. Prima di lasciarmi proseguire, mi regala una fetta di torta fatta in casa che toglie da una borsa di plastica qualsiasi. Mi dice che l’ha preparata la moglie, e a me ricorda tanto quelle di mia madre. È un segno di premura che lui ha ricevuto e che regala a me – uno sconosciuto tra tanti – dando seguito a una catena di amorevolezza che mi prometto di non interrompere.

Il sentiero a un certo punto raggiunge l’autostrada e vi si affianca per qualche centinaio di metri. Proprio qui, all’ombra di un cavalcavia, trovo Zoe seduta che armeggia con uno dei suoi piedi. Mi spiega che è partita molto presto stamattina, ma i problemi non sono mancati e si è dovuta fermare già parecchie volte. Nonostante ciò, continua ad essere calma e sorridente. La sua tenacia mi sorprende ogni volta di più. Le chiedo come potrei esserle d’aiuto, ma mi fa capire che non posso fare granché e mi lascia proseguire, promettendomi che ci vedremo in serata a Nájera. Non posso che crederle. La saluto ammirato e riparto.

Lascio l’autostrada alle mie spalle e torno tra i campi, seguendo una leggera salita.  Ai lati della strada sono piantati cartelloni molto interessanti. Sembra un’iniziativa per non far parlare solo le grandi vigne, ma aggiungere suggestioni sulla storia e cultura locale attraverso fotografie e frasi suggestive, direi efficacemente.

La strada mi porta fino a Ventosa, piccolo paesino arroccato su un basso colle. Ci si imbatte subito in un bar ma, per quanto invitante, opto per salire fino alla chiesa che svetta qualche decina di metri oltre. Fortuna vuole che, seppur chiusa, abbia un bel giardino di fianco con tutto quello che mi serve ora: dell’ombra, una panchina e una fontana. Mangio qualcosa tra le mie scorte e raffreddo i piedi sotto l’acqua corrente.
Non mi raggiunge nessuno, sono solo e in pace totale. È circa mezzogiorno, ho percorso già venti chilometri, ma ne mancano ancora una decina. Limito quindi la sosta a una quindicina di minuti, poi riparto per la mia strada.

Ridisceso, trovo cinque o sei amici amici francesi fuori dal bar, tra i quali Arnaud e Richard. Si stanno accomodando con bibite e aperitivi sui tavoli esterni, e mi salutano allegramente. Auguro loro una pausa rigenerante, ma senza fermarmi.
Le foglie dei vigneti che incontro nei saliscendi a seguire sono coloratissime, a volte d’un arancione quasi fluorescente, incredibile! Una breve salita mi porta a raggiungere il punto più alto della tappa. Niente di che – nemmeno 700 m – ma la visuale sulla pianura che segue degradando è bellissima. Appare come un grande pattern di appezzamenti dai colori sgargianti: ci sono il giallo, il verde e l’arancio delle foglie di vite, il verde scuro degli alberi sparsi qua e là, il terra di Siena dei terreni argillosi e l’azzurro del cielo, sempre grandissimo. Si estende a perdita d’occhio, con all’orizzonte una catena montuosa che non so riconoscere.

La discesa nella vallata tocca anche un piccolo colle, come un bernoccolo del sentiero, che risalta anche per il fatto d’essere sormontato da un gran pennone. Lo fisso come meta intermedia e allungo il passo. Lo raggiungo in circa tre quarti d’ora, senza incontrare nessuno. Mi sta piacendo questa giornata di cammino, e lo stesso questa regione.

A pochi chilometri dall’arrivo la fatica comincia a farsi sentire, ma è più che normale. Mentre il cielo va coprendosi, costeggio una bella area di sosta per pellegrini vicino a un grande raccordo stradale. Mi soffermo a immaginare come l’avrei trovata in un’annata normale: probabilmente piena di camminatori che consumano il proprio pranzo, o che semplicemente se la prendono comoda prima di concludere la tappa giornaliera.
Sono pensieri che mi ricordano quanto sia speciale il momento storico all’interno del quale stiamo vivendo questa esperienza. Non manca un leggero rammarico per tutti quegli incontri mancati, ma resto felicissimo di quanto la vita mi stia offrendo.

Un quarto d’ora dopo, incontro le prime case sparse e poi i palazzi della periferia di Nájera. Tutto è piuttosto decadente, ma questo a volte custodisce comunque una propria bellezza. Per ora, però, non se ne coglie traccia.
In un piccolo negozio di alimentari faccio scorta di pane, frutta e verdura, e dieci minuti dopo raggiungo il bel ponte sul río Nájerilla. Sull’altra sponda sta quello che dovrebbe essere il centro storico della cittadina, ma non riesco a scorgere edifici particolari che lo distinguano dal resto. Oltre quel nucleo abitato, però, svetta una collina rocciosa davvero affascinante e dai colori dell’argilla, sulla cui parete sembrano trovar posto anche delle piccole grotte molto curiose.

In una grande area verde al bordo del fiume trovo una panchina per riposarmi, mangiare ancora qualcosa e aspettare Tiziano e Amedeo. Arrivano dopo una mezzoretta, quando ha cominciato a piovigginare da poco. Pare che per tutti e tre l’impatto con questo luogo non sia stato entusiasmante, ma siamo comunque in viaggio, e tanto basta a farci contenti. Non ci riuniamo immediatamente: loro hanno da perpetuare la tradizione della birra di fine tappa, ma io sono cotto e preferisco andare subito in albergue a sistemarmi.

L’alloggio è quasi al termine del comune. Lungo le vie del centro non mancano bar e negozi, ma l’impressione prevalente resta quella di una cittadina un po’ arretrata. Incontro il complesso del Monastero di Santa María La Real, e mi fa molto piacere scoprire che è sopravvissuta una traccia così imponente del fastoso passato di Nájera. L’esterno delle architetture è molto affascinante, e impreziosisce in modo decisivo l’immagine di questi luoghi. Peccato non abbia tempo né energie per vivere una qualsiasi visita, ma sembra comunque sia tutto chiuso in questo momento.

Alla reception dell’Albergue Las Peñas trovo una giovane ragazza con indosso l’immancabile mascherina, ma ha la particolarità di avere degli occhi incredibili, che per un attimo mi ipnotizzano letteralmente. L’impatto mi fa pensare a quelle donne la cui cultura impone di coprirsi il volto, lasciando scoperti proprio gli occhi. Non ne ho mai vista una dal vivo, ma ho bene in mente tante fotografie di quegli sguardi particolarmente intensi, magnetici, tra i più affascinanti del mondo. Le chiedo quale sia il suo nome: “Olga”, mi risponde cordialmente. Sono incantato.
La conduzione del posto sembra essere familiare, e anche gli spazi consolidano questa impressione, facendomi sentire fin da subito a mio agio.

Nelle ore successive, oltre ai miei due compagni di cammino, arrivano qui anche la mitica Zoe e un quarto italiano, mai visto prima. Il suo nome è Leonardo; ha origini pugliesi, ma vive a Granada da anni. È un artigiano lavoratore di pelli: vende i propri prodotti nei mercatini, soprattutto presso festival e concerti, ma quest’anno tutto si è bloccato per i motivi che tutti conosciamo. Come se non bastasse, poi, si è conclusa anche la sua relazione d’amore, e quindi quale opzione migliore che perdersi sul Cammini di Santiago?

Per la cena rinuncio ancora una volta ad uscire con Amedeo e Tiziano, optando per la mia solita alternativa low-cost in albergue. Scendo in centro solo per comprare il necessario e fare un po’ di rifornimento, scoprendo la grande cordialità della gente del posto, sia nei negozi che per le strade.
Come a Logroño, ho il piacere di condividere il pasto in compagnia di Zoe, che però ha bisogno di andare a letto presto, per partire prima possibile anche domani mattina. Leonardo invece cena tardissimo, quando io sto già preparandomi per andare a dormire.

Una volta tornati, gli amici liguri sono sorprendentemente mogi. Mi spiegano che nel bar dove sono stati la tv ha trasmesso il telegiornale tutto il tempo e gli aggiornamenti sulle chiusure regionali sempre più incalzanti sono riusciti a prosciugare il loro buonumore.
Purtroppo non ho modo di consolarli, e ce ne andiamo a dormire appesi alla speranza che la buona stella del pellegrino ci faccia fare più chilometri possibili. Il desiderio di raggiungere Santiago resta ovviamente quello più grande, ma ormai pronunciamo quel nome con sempre più prudenza, confidando in un’improbabile scaramanzia.

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La Rioja, Spagna