(ostello di Santa Maria in Betlem)
27km
La notte sul pavimento dell’oratorio è stata simile ad ogni altra che ho passato su questo maledetto materassino. Non so proprio perché non riesca ad abituarmi a queste piccole scomodità. Nonostante ciò, mi alzo ogni volta di buona lena e ne vado fiero; questa bella pazzia mi sta regalando forze straordinarie.
Dopo un buon caffè, saluto Emilio con gratitudine e affetto, e parto prima dell’alba.
In pochi minuti sono già sceso tra i campi che si aprono proprio a partire da dietro la casa. È uno scenario da favola. Gli elementi sono pochi, quelli ricorrenti di queste tappe padane: i campi, un canale, i filari, una chiesa in lontananza. Non c’è nemmeno una nuvola, e il cielo è tutto un’immensa sfumatura di colori diversi, capaci di mettere l’anima incredibilmente in pace.
Ancora una volta ho la fortuna e la gioia di assistere ad un’alba stupefacente, questa volta nei pressi del fiume Olona. La superficie liscia dell’acqua fa da specchio al paesaggio essenziale. È poesia pura.
Dopo la contemplazione, però, arriva sempre il momento di ripartire. Dirigendomi verso ovest, riprendere la marcia vuol dire dover dare le spalle al sole appena sorto: una piccola cosa, ma che ogni volta mi produce tutto un ricamo di emozioni. Assomiglia a quando finisce un primo appuntamento andato bene, e arriva il momento di salutarsi; lo si fa con fatica, e ridendo stupidamente. Ci si allontana camminando all’indietro per continuare a guardarsi, poi ci si gira e si va. A volte ci si volta ancora, magari incrociando l’ultimo sguardo, felici. Ecco, col sole vivo la stessa cosa.
La favola, purtroppo, si interrompe quasi subito, e per almeno un quarto d’ora. Il percorso, infatti, aggira tutta una grande cava a cielo aperto: uno scenario non certo dei migliori.
Uno stacco simile mi fa riflettere quanto la bellezza, o il suo contrario, incidano sullo stato d’animo e, di conseguenza, anche sulle forze a disposizione. In ogni caso, fare esperienza in entrambi i sensi è importante. Le ore di fronte alla magnificenza della natura sono utili allo sviluppo del benessere profondo, mentre quelle passate in luoghi poveri di armonia, invece, temprano l’anima; bisogna solo accoglierle nel modo migliore.
Dopo un affondo tra i campi sterminati, raggiungo il comune di Belgioioso.
Il ginocchio continua a fare i capricci, e spesso riesce a farmi dei brutti sgambetti al morale. Stamattina devo già prendere una dose di antinfiammatorio, ma prima ho bisogno di riempire un po’ la pancia. Trovo una salumeria-gastronomia molto invitante, con all’interno un tavolino per consumare. Scelgo di farmi un vero e proprio brunch, sotto gli occhi benevoli di tutta la famiglia che sta lì a lavorare.
Non lascio subito il paese; il ginocchio è quasi bloccato e non è il caso che forzi. Prendo un caffè e sosto davanti al castello, qualche minuto ancora. Fermarmi mi dá un po’ di sollievo, ma d’altro canto spezza il ritmo e aumenta la fatica. Purtroppo la coperta è corta, come si dice, e non ho che farmene una ragione. Più che altro mi chiedo cosa farò se il dolore continuasse. Di certo sarei costretto a rispedire a casa tenda e materassino, e sperare basti quello, ma odio questa prospettiva e continuo a sperare in un’intuizione risolutiva.
Questo viaggio lento, fatto un passo alla volta, mi sta regalando consapevolezza su tante cose, e lo sta facendo gradualmente, come se conoscesse la mia propensione a sentirmi travolto. Mi domando cosa sarà di tutto quello che sto vivendo, come potrò tenerlo tutto dentro? Per ora non lo posso sapere, ma il movimento incessante del corpo, nella sua essenza elementare, mi aiuta a lasciare fluire dubbi e preoccupazioni. Il camminare sembra un’alchimia capace di far prevalere fiducia e benessere; confido nel meglio possibile.
Incrocio due anziani signori serenamente in giro in bici. Rispondono al mio saluto con una solarità e una gentilezza non comuni, regalandomi belle sensazioni. Poco dopo, me li ritrovo inaspettatamente di fianco. Sono tornati indietro perché sono curiosi di sapere dove stia andando. Non si vedono molti pellegrini quest’anno, e produce curiosità vederne uno, soprattutto in direzione opposta a Roma.
Ne nasce un felice dialogo che li convince a farmi compagnia fino a San Leonardo, il borgo dove vivono. Ci raccontiamo le nostre storie, mentre loro pedalano a passo d’uomo. Si chiamano Ernesto e Donato, e a San Leonardo ci son cresciuti. Ernesto, però, se ne andò per molto tempo, ma qualche anno fa è riuscito a tornare, e si dice molto contento d’averlo fatto. È gioviale e aperto di mente, ma ha anche lui le sue grandi sofferenze. Ancora una volta riconosco una disponibilità ad aprirsi del tutto inusuale; qualcosa che di solito viene messo in campo con gli amici più intimi, non certo con degli sconosciuti. Per me è un dono preziosissimo.
Donato non accenna a grandi afflizioni personali, ma mi parla con entusiasmo della sua passione per la bicicletta e le salite che ancora oggi riesce ad affrontare. È anche un creativo molto intraprendente, e mostra orgoglioso la foto di un go-kart che è riuscito a costruire da solo. Entrambi restano toccati dall’avventura che ho intrapreso, e Donato sceglie anche di sostenermi con un’offerta. Ancora una volta rimango stupito e commosso.
Arrivati al loro paese, facciamo una pausa su una panchina. Ernesto avrebbe tanto piacere ad accompagnarmi a visitare la Certosa. Ne parla con orgoglio e quasi mi convince, ma purtroppo non posso accettare in questa occasione, ci vorrebbe del tempo che proprio non ho.
Infine ci salutiamo, tutti e tre stupiti di quanto siamo arrivati a sentirci vicini in così poco tempo. Io rimango lì a fare e un pisolino, per tentare di recuperare un po’ di energie. Ernesto poi ritorna, a sorpresa; mi lascia un piccolo fagotto con una merenda per le prossime ore e, prima che lui sia riuscito a ripartire, ci trovo nascosta anche una banconota. Con gli occhi lucidi, lo saluto ancora, promettendo di avvisare quando tornerò, perché mi possa accompagnare a visitare la Certosa.
Riprendo il cammino verso Pavia. Ormai entrato in città, mi fermo ancora rapidamente un paio di volte, prima per un ghiacciolo e poi a mangiare una piadina. È incredibile quanto senta il bisogno continuo di reintegrare, anche a questo non sono abituato.
In ogni luogo riesco a fare due parole con qualcuno e non mi sento mai solo.
Arrivato al Ponte coperto sul Ticino. Resto colpito: nella sua semplicità conserva una bellezza non comune. Tra l’altro, si rivela essere qualcosa di più di un luogo di transito. Infatti, nei piccoli balconi che costellano i lati, coppiette o piccoli gruppi di giovani in mascherina si riposano nella frescura del riparo ventilato.
Attraversato il ponte, mi volto verso il centro storico della città. Non ho le energie per andare a visitarlo, ma resto a bocca aperta davanti all’immensa cupola del duomo che sovrasta tutto ciò che la circonda. Non mancherò di passarci quando in futuro tornerò da queste parti.
D’improvviso, una coppia di pellegrini francesi in bicicletta mi si accosta. Lei non può usare le gambe e si muove su un mezzo speciale a tre ruote su cui, sdraiata, preme sui pedali con le braccia: tosta! Sono stanchi, ma sprizzano vitalità e buon umore. Mi chiedono del mio viaggio e mi accennano al loro. Scopriamo di aver prenotato nello stesso ostello, ma ci vedremo per cena, perché vogliono prima fare un giro per la città.
Il posto dove dormirò fa capo alla parrocchia di Santa Maria in Betlem, poco distante da lì. Ho dovuto accettare una stanza tutta per me perché non c’era più posto in camerata; per fortuna mi hanno fatto un prezzo di favore.
Prima di arrivarci, trovo un calzolaio lungo la strada e ne approfitto per fargli aggiustare il vecchio paio di plantari ortopedici che mi sono portato di scorta, convinto che quelli che sto utilizzando si consumeranno prima di arrivare a Santiago. Il proprietario è un ometto simpatico, e anche lui sceglie di offrirmi gratuitamente il suo servizio. Si tratta di una piccola riparazione, ma resta comunque un dono, e quindi per niente scontanto. Ricevere così tanto è un’esperienza nuova per me. Non è facile spiegare cosa provochi dentro, ma capisco che c’è in gioco qualcosa di importante per la crescita del mio cuore.
L’ostello, gestito da suore, si rivela un luogo particolarmente accogliente. Gli interni sono moderni, puliti e ordinati. C’è una cucina a disposizione e quattro tavoli per mangiare, ma la cosa più bella è un magnifico giardino tra la casa e la chiesa, con un vecchio lavatoio di pietra di cui approfitto per i miei pochi panni sudati.
Faccio conoscenza di Arcangelo, detto Gelo, pellegrino di Cuneo che ha già camminato varie volte in lungo e in largo per l’Europa. Su d’età ma in formissima, porta una lunga barba bianca. È un po’ burbero all’inizio ma, tornando insieme dal supermercato, si fa molto più espansivo, condividendo tantissime cose interessanti sulle esperienze che ha vissuto.
A cena, incontriamo anche la coppia di francesi e successivamente arriva anche Monica, una donna milanese che ha appena concluso un piccolo pellegrinaggio tra Genova e Pavia, la cosiddetta Via del Sale. Ci racconta di non aver programmato nulla e di averlo vissuto in pieno affidamento, imbattendosi anche in qualche episodio vagamente inquietante.
È bellissima tutta questa condivisione. Ogni dettaglio sembra arricchirmi nel profondo.
Tonificato nel morale, al corpo spero basti dormire su un letto vero.
Domani si vedrà.