(Vicus Hostel)
35km
Stanotte mi sono svegliato un paio di volte, e in entrambe le occasioni ho sentito ancora Serge russare molto, molto pesantemente. Come previsto, la vittima più colpita è stato Tiziano; me lo confermano le imprecazioni con esplode al suonare delle sveglie. Inutile negare che il contrasto tra le sue occhiaie e la faccia riposata del francese ha anche qualcosa di divertente, ma mi guardo bene dal fare ironia sulla cosa. Se lo facessi in questo esatto istante, ho la netta sensazione che il mio compagno di cammino mi staccherebbe la testa con un morso.
La colazione non è male, sennonché il burro sia scaduto da secoli. Niente di grave, anche perché sono io l’unico ad averlo mangiato prima che ce ne accorgessimo, ma il mio stomaco ormai sembra capace di digerire qualsiasi cosa.
L’insolito hospitalero ci svela di essere anche un esperto pellegrino su diverse vie per Santiago e, ascoltando alcuni suoi brevi racconti, la cosa pare credibile. Scegliamo quindi di accettare il suo consiglio per la giornata di oggi, e rinunciamo a salire il primo tratto collinare dove, ci ha assicurato, troveremmo un sacco di fango. In effetti non varrebbe la pena impantanarsi tanto per rispettare quei pochissimi chilometri.
Salutati tutti, ci copriamo per bene e ci tuffiamo in questa mattinata gelida.
L’alternativa che abbiamo accettato è una semplicissima strada asfaltata che corre parallela alla traccia ufficiale, ma restando semplicemente in piano: un viale alberato piuttosto gradevole da percorrere, soprattutto grazie alle mille sfumature delle foglie ingiallite. La giornata è uggiosa e fredda, ma siamo carichi e la facilità di questo primo tratto aiuta anche Tiziano a riprendersi dalla pessima nottata.
Alla nostra destra sta la collina brulla su cui saremmo saliti senza il consiglio di Andrés. Osservandola, notiamo una sagoma nera e un po’ inquietante che cammina a mezza costa. Ci rendiamo presto conto di chi sia: è il buon Beppe! Probabilmente, essendo piuttosto affaticato da questo camminare quotidiano, ha iniziato ad adottare la stessa strategia di Zoe, anticipando la partenza per potersi fermare ogni volta che ne ha bisogno. Ho detto che mi ha un po’ spaventato perché, nonostante non piova, ha indosso una larga mantella completamente nera che copre anche lo zaino, e tiene pure il cappuccio alzato. Probabilmente lo aiuta con il freddo, e lo capisco, ma il risultato non può non ricordarmi il caro vecchio Igor del film Frankenstein Junior.
Ci incrociamo là dove la nostra via si unisce con quella originale, ma Beppe ha il proprio passo e, dopo i saluti di rito, ce ne distacchiamo rapidamente.
Dopo circa un’ora di cammino, incontriamo le suggestive rovine del Convento de San Antón. Sotto gli archi rimasti è stato mantenuto il passaggio della strada, permettendo ai pellegrini moderni di camminare sulle orme dei loro predecessori. La fascinazione è grande, ma il modo in cui è cinto il sito lo fa sembrare un cantiere, strappandogli un po’ della sua bellezza e del suo potere evocativo.
Continuiamo sulla strada asfaltata, attraversando una larga pianura coronata da colline distanti qualche chilometro. Al centro di quest’area, svetta un monticciolo sulla cui cima spuntano le rovine di un castello, mentre alla base del versante fa bella mostra di sé la cittadina di Castrojeriz. Come molti altri piccoli centri che abbiamo già incontrato, anche questo sembra svilupparsi attorno alla propria arteria principale, che altro non è che la storica via di passaggi dei pellegrini.
Per prima cosa andiamo a dare una svelta occhiata alla chiesa d Nuestra Señora del Manzano, massiccia e imponente, ma resa particolarmente elegante dal bel rosone e da un suggestivo portale a sesto acuto. Nonostante sia un luogo che meritava un passaggio, la verità è che siamo capitati qui un po’ per caso, uscendo dalla traccia ufficiale alla ricerca – rimasta delusa – di un bar aperto.
Attraversiamo Castrojeriz fino a Plaza Mayor, trovando finalmente un posto dove descansar un poco. Lungo la via incontriamo un’altra grande chiesa – chiusa, come la prima – e un paio di terrazze affacciate sulla pianura, con una vista panoramica modesta ma molto caratteristica. Devo ammettere che questa cittadina ha un patrimonio niente male. Il massimo sarebbe salire fino al castello, ma per questa volta è sano rinunciarci: anche oggi la distanza che abbiamo deciso di percorrere è troppa per potersi permettere gite fuori programma.
Al bar ce la prendiamo comoda, riempiendo lo stomaco con delle buone tortillas. Ci raggiungono e fanno lo stesso anche i tre francesi, seguiti poi da Beppe e Tim. Le altre del gruppo, invece, sembra siano rimaste indietro a causa dei problemi al piede di Linda. Quando decidiamo di ripartire, le due non sono ancora arrivate. La possibilità di non incontrarsi più è molto concreta, e mi dispiace. Decido quindi di lasciar partire Amedeo e Tiziano e tornare indietro, sperando di intercettare alla svelta le ragazze e salutarle.
Arrivo fino quasi all’inizio del paese e lì aspetto un po’, ma delle due non scorgo nemmeno le sagome in lontananza. Percorrere al contrario altri chilometri sarebbe davvero da pazzi. Senza rimpianti, torno quindi sui miei passi e comincio l’inseguimento ai due compari liguri.
Dopo una prima mezz’ora a passo spedito, superata Castrojeriz e attraversato un piccolo fiume, mi ritrovo ai piedi di un collina. È quasi completamente spoglia, tanto che si vede perfettamente il sentiero in ghiaia chiara che la sale diagonalmente. Secondo le mie informazioni, sono meno di 140m di dislivello ma sono già un po’ affaticato. Non avevo particolare voglia o bisogno di camminare da solo stamattina, e mi manca anche la propulsione speciale di quei momenti. Il grigiore della giornata a sua volta non aiuta granché, ma la tavolozza di colori di questo paesaggio resta comunque affascinante. Le tinte che ho davanti sono le mille varianti della terra – dall’ocra al terra di Siena naturale – mescolate a bruni di ogni tipo. Durante la salita, poi, incontro anche un paio di alberelli isolati pieni di foglie fiammeggianti.
La cima è occupata da una croce e un grande cippo. C’è anche una tettoia – elemento non così frequente – che son certo sia stata utile a molti pellegrini in condizioni meteorologiche peggiori di questa. Per vedere cosa mi aspetta oltre la piccola altura, devo prima superare due o trecento metri aridi e pianeggianti. Arrivato alla fine, però, il panorama è tra i più suggestivi del Cammino. Lo riconosco, tra l’altro: l’ho già visto in tante fotografie. Non molto diverso da quello che mi sono lasciato alle spalle, la pista davanti a me scende in dolci curve verso la campagna pianeggiante e nuda, ma non c’è colle che la interrompa stavolta, e sembra estendersi a perdita d’occhio. La luce del sole è smorzata da nuvole spesse, ma sono convinto che in una giornata limpida anche questi campi secchi splenderebbero dorati. Con rammarico, constato che non c’è traccia nemmeno in lontananza dei due amici che sto rincorrendo. Vedo solo un signore parcheggiare la sua auto prima della salita e mettersi a cercar funghi. Io non sono un esperto, ma mi pare così strano che se ne trovino da queste parti. Lui però è ottimista e di sicuro ne sa più di me.
Cammino nella landa desolata per una quarantina di minuti, finchè ad un tratto scorgo in lontananza la sagoma di un altro pellegrino solitario. Ha la mantella rossa come la mia, e diventa subito un riferimento utile per aiutarmi a mantenere il ritmo forsennato che mi sto imponenendo.
Chiamo Tiziano al telefono: stanno arrivando a Itero de la Vega e si fermeranno lì a pranzare. Il tentativo fallito di salutare Kiki e Linda mi è costato caro; pensavo di riagguantare i due compari in molto meno tempo. Pur già stanco, proseguo quindi a passo spedito, scorgendo qua e là all’orizzonte qualche paesino. Il percorso sembra ogni volta dirigercisi ma, quando già pregusto il ricongiungimento tanto sudato, immancabilmente devia altrove. Non riesco a credere che, in un territorio all’apparenza così facilmente leggibile, io faccia così fatica ad orientarmi!
Sono esausto, fisicamente e psicologicamente, ma per fortuna a un certo punto raggiungo un luogo segnalato sulle mie carte, l’Ermita di San Nicolás. Superato poi il l’antico Puente Fitero sul río Pisuerga, un grande mojon mi indica che ho lasciato la provincia di Burgos e sono entrato in quella di Palencia. Itero de la Vega è ormai a meno di due chilometri!
Probabilmente a causa dell’aver tanto atteso d’arrivarci, resto un po’ disorientato dal trovare un paese tanto spoglio. Le case, non certo nuove, sono tutte bianche o dei colori della terra. Non superano mai i due piani e attorno non c’è traccia di verde. Qua e là, sui marciapiedi bassisimi, qualche panchina isolata sembra accasciata addosso alle abitazioni, e vien da pensare siano gli unici punti d’aggregazione da queste parti.
Proprio su una di queste, fuori da un negozio di alimentari, ritrovo finalmente Tiziano e Amedeo. Seduti e beati, stanno pranzando al sole con un bocadillo de jamón serrano e della birra fresca. Tiro finalmente un sospiro di sollievo e mi unisco a loro con immenso piacere.
Nella calma piatta del villaggio, tra una risata e l’altra, ci domandiamo cosa possa significare vivere qui. Di certo per paesi come questo il passaggio stagionale di migliaia di pellegrini dev’essere un fenomeno portante, da ogni punto di vista. Si può solo immaginare cos’abbia rappresentato la brusca frenata di quest’anno: meno indotto, sicuramente, anche se non ho idea di quanto denaro resti ai piccoli comuni di passaggio lungo il Cammino. Più interessante sarebbe capire quale sia stato l’impatto sulla vita sociale del villaggio, ma non credo che riuscirò a scoprirlo oggi.
Sazi e riposati, riprendiamo infine la nostra marcia, tornando ben presto in aperta campagna. Camminiamo in direzione di alcuni colli bassissimi, che per più di un’ora restano l’unico riferimento utile a percepire il nostro avanzare.
L’unica eccezione è un piccolo agglomerato di case dall’aria particolarmente vecchia e logora, perso tra i campi a qualche centinaio di metri da noi. Sembra disabitato. Ha un che di misterioso e attraente, ma resterà nello stragonfio baule dei luoghi appena sfiorati.
A un certo punto, nel bel mezzo di un tratto più che anonimo, affidandomi a calcoli molto approssimativi, stabilisco di aver finalmente raggiunto i 2000 km di cammino! Così come dopo i primi mille, non ho con me niente da stappare, quindi ci limitiamo a scattare un selfie da pubblicare sul gruppo Facebook del Cammino a cui siamo iscritti io e Tiziano, nel quale da giorni e giorni ormai siamo conosciuti e sostenuti.
I nostri autoscatti alla fine di tappe estenuanti o confini superati sembrano piacere molto, e ogni volta è divertente spulciare tra i tantissimi commenti che vengono postati, qualsiasi sia la loro natura. Mi piace pensare che tanta attenzione derivi anche dal fatto che siamo un trio ben assortito, sia nei tratti somatici sia nel nostro coloratissimo vestire. Chissà, forse anche nella nicchia di persone che ci seguono si innescano dinamiche simili a quando si guarda un film o una serie con più protagonisti, dove ogni spettatore si affeziona o si immedesima un po’ in uno dei personaggi. È molto curioso per me fare questo tipo di esperienza sul web, perché non mi sono mai esposto molto oltre i miei contatti diretti. Mi fa un bell’effetto leggere commenti di gente sconosciuta che tifa per noi, che ci augura il meglio, che ci sprona. Ad ogni modo su Facebook continuo a sentirmi impacciato, infatti lascio quasi sempre fare a Tiziano, molto più portato ed esperto di me.
Qualche altro chilometro e arriviamo a Boadilla del Camino. Non so nulla nemmeno di questo posto, ma mi acconteterei di un baretto qualsiasi, giusto per riuscire a fare un brindisi con gli altri due “moschettieri”. Purtroppo non troviamo niente di aperto, e oltretutto il paese ci dà un’impressione talmente disordinata e lugubre da meritare il nostro personale premio come località più brutta attraversata fin qui. Sappiamo che certamente incidono il cielo copertissimo, l’annata nefasta e il fatto che ogni attività sia chiusa, ma…niente, non riusciamo a cambiare idea e continuiamo a riderne tra noi fino a quando ci siamo lasciati il villaggio alle spalle.
Ovviamente agli abitanti e ad ogni pellegrino auguro il piacere di cogliere tutta la bellezza che noi non abbiamo saputo riconoscere in Boadilla, o che forse ci è stata nascosta incredibilmente bene. Diciamo che sarà simpatico tornarci in futuro.
Venti minuti dopo sbuchiamo sulle rive del Canal de Castilla. Risale al XVIII sec. e camminarci a lato mi regala lo stesso piacere dei chilometri percorsi sul Canal du Midi. Mi piacciono questi corsi d’acqua piatti, che scorrono calmi nei loro letti perfettamente lineari, con il livello sempre costante a pochi centimetri dalla riva. Probabilmente soddisfano la parte di me maniaca del controllo e dell’ordine, chissà!
D’un tratto, ci rendiamo conto di non aver prenotato nulla per stanotte, nonostante ormai siamo quasi a Formista – la destinazione di oggi. Facciamo quindi un paio di chiamate, ma in entrambe riceviamo risposte inaspettatamente equivoche: sembrano arrampicarsi sugli specchi per non voler prendere la nostra prenotazione.
Addirittura un albergue, pur non dandoci disponibilità, ha il coraggio di insistere duramente perché li richiamiamo se trovassimo una camera libera altrove. Siamo allibiti. Per fortuna all’ennesima telefonata ci risponde una voce perfettamente serena e ci conferma senza problemi tre letti per la nottata. A questo punto dovremmo essere tranquilli, ma in realtà siamo incazzatissimi per come stiamo venendo trattati. Ci potremmo sbagliare, ma siamo sempre più convinti che sia una folle conseguenza dei fatti di cui ci ha parlato ieri Andrés.
Mentre ancora stiamo raccapezzandoci con queste telefonate assurde, un’altra cosa strana è l’incontro con la pellegrina dalla mantella rossa – sicuramente quella che ho visto quando ancora ero concentrato nel mio inseguimento mattutino. Ci sorpassa salutandoci cortesemente. Noi siamo cotti e corrucciati, mentre lei sembra l’incarnazione della leggerezza. Curiosamente, nessuno di noi l’ha mai vista prima. Pare strano a dirsi, ma dopo dieci giorni a spasso su questo Francès semivuoto, capita sempre più raramente di incontrare pellegrini che non si siano già conosciuti altrove. Che buffa sensazione!
Ma non è finita: arrivati alle chiuse del canale nei pressi di Fromista, veniamo smentiti una seconda volta, imbattendoci in un’altra pellegrina mai incrociata in precedenza. Sta seduta al bordo del percorso e parla verso il proprio telefono che tiene davanti a sé, fissato su un piccolo cavalletto. Sembra si stia riprendendo, forse per un blog. Dà le spalle al sentiero, quindi vediamo il suo volto piccolissimo solo dallo schermo dello smartphone. Non ci permettiamo di disturbare, e proseguiamo trattenendo la nostra curiosità.
Le quattro chiuse del canale mi rimandano a quelle famosissime di Fonseranes, che ebbi il piacere di scoprire quando passai da Béziers, in Occitania. Sembra trascorsa una vita, e quanti chilometri!
Calati nella routine quotidiana e straordinaria del viaggio, è dura mantenere la misura di quel che si sta facendo. Ci si deve affidare alla suggestione che ci danno le mappe, i nomi dei punti cruciali, il calendario, i conteggi. In certi casi potrebbe risultare noioso, ma se si soffia con maestria su quella brace di nomi e numeri, a volte si riesce a scatenare la fiamma dell’entusiasmo come non mai.
Attraversato il canale, cominciamo a inoltrarci nella periferia di Fromista. Lo scenario non è entusiasmante, nemmeno una volta arrivati in centro. Ad ogni modo, ci liberiamo rapidamente di quest’amarezza grazie alle tanto attese birre celebrative che ci scoliamo al primo bar aperto. Ai miei primi 2000 km!
Mentre poi raggiungiamo la pensione in cui dormiremo, notiamo la bellezza della chiesa romanica di San Martin de Tours. Disgraziatamente, sembra accentuare ancor di più la povertà del paesaggio urbano circostante. Ancora una volta, però, imploro me stesso di non cedere a facili stroncature. Ormai siamo diventati critici velenosissimi! Le birre ci avrebbero dovuto ammorbidire, ma evidentemente non sono state abbastanza, quindi decidiamo che stasera ci regaleremo anche una buona cena.
Raggiunto il Vicus Hostel, lo scopriamo essere una struttura ricettiva un po’ raffazzonata, una casupola in cui il proprietario ha ristretto al minimo i propri spazi privati per adibirla anche a luogo d’accoglienza pellegrina. C’è molto disordine, ma non ci scandalizziamo. Lui è estremamente gentile, i letti ci sono, il bagno pure: questo basta.
Alle pareti sono appesi svariati dipinti e disegni, e sull’unica mensola ci sono anche diversi libri d’arte. Dev’essere un appassionato, e la cosa non mi dispiace. Quando gli porgiamo le credenziali da timbrare, sorridendo ci chiede di lasciargliele. Dice che disegnerà lui qualcosa di unico per ciascuno. Benissimo! È una cosa insolita, ma ci piace.
Nella stanza ci sono due letti a castello, e la scelta dei posti è presto fatta, come al solito a discapito del buon Amedeo. Io nel frattempo sento Linda per messaggi, per sapere come stia. Pare si siano fermati nientepopodimeno che a Boadilla! Le chiedo cosa mai possano aver trovato di buono laggiù, ma invece mi spiega che un albergue ha aperto solo per loro e dentro è bellissimo – ha addirittura la piscina! Questo cammino regala davvero continue sorprese.
Per la cena, il proprietario del nostro alloggio ci consiglia un ristorante vicino. Accettiamo, e per poco più di dieci euro facciamo una cena da re, straordinaria, che nei nostri cuori redime totalmente l’immagine di Fromista, regalandoci uno dei ricordi gastronomici più entusiasmanti di questi dieci giorni. Al tavolo di fianco, poi, ritroviamo la pellegrina solitaria dalla mantella rossa, con cui scambiamo quattro chiacchiere molto piacevoli che impreziosiscono ancor di più la serata.
Prima di andarcene, non ci facciamo mancare il nostro tradizionale bicchiere di orujo – anzi, oggi due! Fuori dal locale, infine, mentre fumiamo una sigaretta, sopraggiungono a sorpresa i tre francesi di ieri. Tiziano è ancora visibilmente infuriato con Serge, ma mantiene il controllo e tenta come meglio può di essere cordiale. Peccato, invece, che il gran russatore scelga paradossalmente di infilare un paio di battute al vetriolo, con un’arroganza che nessuno di noi si sarebbe mai aspettato. Per fortuna, una di queste la usa come commiato, altrimenti credo che la situazione avrebbe preso una brutta piega, anche per via di tutto quello che abbiamo bevuto stasera. Con l’aiuto soprattutto di un Amedeo in splendida forma, però, la strada del ritorno si trasforma in un momento incredibilmente esilarante, e gli effetti di vino e orujo tornano ad essere quelli desiderati.
Riusciamo addirittura a goderci il lato notturno di Fromista. Oltre alla chiesa vista oggi, infatti, ne scopriamo una seconda altrettanto bella, entrambe ben illuminate. Il buio della sera sembra riuscire a nascondere tutto il resto, lasciandoci di questo paese un ricordo inaspettatamente positivo.
Al nostro arrivo, troviamo il proprietario sveglio ad aspettarci. Ci accoglie con la stessa cortesia di qualche ora prima e, prima di darci la buonanotte, ci riconsegna le credenziali. Ringraziamo e saliamo in stanza con una grande voglia di scoprire cosa ci ha preparato. Quando le apriamo, l’orribile sorpresa: quelle che dovevano essere piccole opere d’arte si rivelano scarabocchi inguardabili, soprattutto quelli di Tiziano e Amedeo, che davvero non possono crederci. La naturale bellezza dei tipici passaporti pellegrini pieni di timbri colorati è ora rovinata da quei grandi ghirigori fatti a pennarello nero. Servirebbe un altro orujo o due per consolare i due amici, ma ormai la frittata è fatta. Cerco come posso di trattenere le risate mentre li ascolto sciorinare un infinto rosario di imprecazioni, che continua anche dopo aver spento le luci. Alla fine, però, ce la caviamo tornando a ridere di tutto quanto, godendoci in totale goliardia quei liberatori insulti agli assenti.
Per quanta riguarda domani, siamo estremamente tranquilli: dopo la gran tirata delle ultime tappe, ne abbiamo programmata una di soli 20 km. Il tempo dovrebbe farsi presto sereno, abbiamo già prenotato in un convento molto noto per l’accoglienza pellegrina e Tiziano ci ha anche anticipato che attraverseremo scenari ben più emozionanti di quelli di oggi. Cosa potremmo desiderare di più? Buenas noches!