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cammino di santiago - roberto pesenti

28/10 Fromista – Carrión de los Condes

(Hospedería Convento Santa Clara)
20km


Da diverso tempo siamo al corrente della presenza di un hospitalera italiana a Moratinos, un paesino lungo la via, distante circa 50 km da dove siamo ora. Tutti e tre siamo d’accordo nel passare a trovarla per cenare da lei e ripartire il giorno dopo, ma i chilometri son troppi per una tappa sola. Scegliamo quindi di dividerli in due, fermandoci oggi a Carrión de los Condes. Percorreremo solo 20 km, ma la cosa non ci dispiace affatto.

Avendo solo poche ore di cammino davanti, possiamo concederci di dormire un po’ di più. Purtroppo a me riesce impossibile ormai da settimane, ma non me ne cruccio troppo. Una volta sveglio, infatti, resto beato nel mio sacco a pelo, godendomi il dolce far niente in attesa che anche Tiziano e Amedeo aprano gli occhi.
Una volta che tutti e tre riusciamo a uscire dai nostri bozzoli e darci una minima sistemata, scendiamo a fare colazione al piano terra. Ce la prendiamo con così tanta calma, che ne usciamo addirittura alle 9:20. Da quando sono partito non mi era mai capitato di iniziare tanto tardi a camminare, sembra quasi di star uscendo per una semplice passeggiata. In altre occasioni questo mi avrebbe prodotto una velata agitazione, ma oggi per fortuna mi sento completamente rilassato.

Il cielo è coperto, ma le previsioni promettono miglioramenti. Il percorso è perfettamente lineare per più di mezz’ora: una pista in terra battuta che corre parallela ad una strada asfaltata. Siamo in mezzo alla campagna agricola, e solo i mojones danno ritmo al nostro procedere.

Il primo paese che incontriamo si chiama Población de Campos – un nome che è quasi una didascalia. L’impressione è quella di un piccolo centro piuttosto anonimo, davvero senza particolari elementi attrattivi, se non forse le prime case in terra cruda viste finora. Per un attimo resto incantato a fissarle, immaginando idealizzate vite contadine fuori dal tempo.
Un altro lungo rettilineo ci porta poi in un secondo paesino: Villovieco. Lo sfioriamo appena, e immediatamente dopo attraversiamo il fiume che gli passa accanto. La traccia ci fa proseguire di fianco al corso d’acqua per quasi un’ora. Il paesaggio in questo tratto si arricchisce di molte piante, a destra e a sinistra del sentiero, che vibrano dei gialli e degli arancioni autunnali. Anche il cielo si apre un po’, aggiungendo pennellate d’azzurro a un quadro fattosi splendido.

I chilometri si scandiscono anche grazie agli attraversamenti dei piccoli canali affluenti. Ogni volta dobbiamo così superare dai piccoli avvallamenti, in un dilatato saliscendi che ravviva un po’ la camminata. È un tratto molto pacificante e io finisco gradatamente col rallentare, isolandomi giusto un po’. Dopo moltissimo tempo dall’ultima volta, decido anche di tornare ad ascoltare musica in cuffia. Non ho la minima intenzione, però, di inquinare la serenità di questi istanti, così lancio in loop uno degli album della comunità francese di Taizé. Sono canti religiosi per qualche aspetto simili a quelli gregoriani – probabilmente un accostamento scorretto per i puristi del genere, ma credo sia il modo più comprensibile per riuscire a dare un’idea. Li ho conosciuti anni fa, vivendo per una settimana in quel luogo: un’esperienza indimenticabile.

Verso mezzogiorno, sbuchiamo su una strada asfaltata, proprio in corrispondenza di un grosso edificio che sembra un miscuglio tra una chiesa e un casale: è l’Ermita de la Virgen del Río. È fronteggiato dalla solita pila di balle di paglia rettangolari. La particolarità è che sia questa che l’edificio hanno proporzioni del tutto simili, e sembrano uno il riflesso dell’altro.

Proseguendo, raggiungiamo Villalcazar de Sirga. Le nuvole hanno fatto molto spazio a un sole splendente e caldo, la cui luce impreziosisce la grande chiesa del paese, dedicata a Santa Maria la Blanca. È una costruzione imponente e massiccia: una composizione di volumi semplici, ma raffinata da un portale mozzafiato e un rosone postogli di fianco. Un’altra particolarità è anche il livello su cui è posta, infatti la osserviamo camminando ai lati di un terrapieno di forse quattro metri, letteralmente incantati. È davvero meravigliosa.
Le piazze che le stanno di fronte e di lato sono progettate in maniera minimale ed elegante, perfettamente in armonia con l’architettura dell’edificio. Stupisce la presenza di un luogo tanto maestoso proprio nel mezzo di un paesino che altrimenti risulterebbe a malapena pittoresco, ma niente più.

Per niente stanchi, ma molto affamati, notiamo con gioia la presenza di un negozio di alimentari e souvenir. È mezzo vuoto ma è ben curato: ha giusto l’essenziale, e a noi non serve altro.
Prima di fermarmi a mangiare, però, scelgo di andare a vedere se la chiesa è aperta. Trovo una signora a far da custode, e mi spiega che l’ingresso è a pagamento. Non si limita all’informazione in sé, ma mi anticipa con passione le bellezze che troverò racchiuse all’interno. Mi convince, e le prometto che dopo pranzo tornerò, tentando di portar con me anche i miei compari.

Mentre ci godiamo un momento di assoluto relax, sopraggiungono Serge e gli altri due giovani francesi. Come noi, fanno rifornimento e si siedono a pranzare, proprio sulla panchina di fianco alla nostra. Per un attimo mi domando non sia per questo che Tiziano accetta stranamente di visitare con me la chiesa.
La guida ci conduce in modo molto originale e per niente noioso. Resto perplesso solo in un paio di occasioni, quando insiste perché ci sediamo qualche minuto in alcuni punti precisi, sotto una certa colonna o sopra una specie di lapide. Sostiene che lì confluiscano energie rigeneranti e addirittura miracolose, grazie al passaggio di corsi d’acqua sotterranei di cui parla come se ne fosse più che risaputo il potere terapeutico. Poco avvezzi entrambi a questo genere di cose, ci prestiamo per qualche istante ai suoi inviti, sotto la pressione del suo sguardo insistente e un po’ esaltato. Ovviamente, da felici miscredenti quali siamo, ci defiliamo poi appena possibile, ma tuttosommato anche divertiti.
Restiamo comunque sorpresi dalla bellezza dell’architettura, dalle decorazioni e dalla presenza di due sarcofagi templari, illuminati da una luce quasi magica.

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Fuori ci aspetta Amedeo, che abbiamo lasciato appisolato sulla panchina sotto il sole e che ritroviamo, invece, carico di energie e pronto a mangiarsi l’ultima ora di cammino della giornata.
Prima di partire, elemosino ancora un paio di minuti ai due amici scalpitanti. Voglio assolutamente scattare una foto ad una scultura in bronzo lì a due passi: rappresenta un pellegrino sorridente a dimensione reale, seduto a un tavolo con la mano sul bordone e una brocca poggiata davanti. Bellissima!

Salutiamo per l’ennesima volta il trio dei cugini d’oltralpe e lasciamo Villalcazar de Sirga. Le indicazioni ci incanalano su una pista pedonale che ancora una volta corre parallela a una strada asfaltata. Questa è talmente dritta e poco trafficata che ricorda una highway dei deserti americani. Sia a destra che a sinistra si estendono delle pianure arate sconfinate. Essendo poi in leggerissima salita per alcuni chilometri, oltre l’orizzonte si vede solo cielo: è uno scenario pazzesco, che ricorda quello già incontrato prima di Hontanas, ma qui ogni elemento sembra ancora più astratto. Come allora, il senso di vastità si amplifica grazie alle tante nuvole, oggi disposte in file incredibilmente regolari che si rimpiccioliscono verso l’infinto. Le fisso mentre migrano lentissime, restandone ipnotizzato.

Amedeo conferma l’argento vivo che sembra essere sgorgato in lui dopo la pausa pranzo. Mi chiedo se forse non passasse un miracoloso corso d’acqua anche sotto la panchina dove ha dormito. Mentre lo vedo camminare speditissimo, noto che si è messo gli auricolari, così come già aveva fatto quando andò in fuga un paio di giorni fa e in ogni altro tratto percorso senza interagire con noi. A me pare un sacrilegio deformare con mille canzoni le sensazioni regalate da questi luoghi, ma a lui sembra fare tutto un altro effetto.

Io e Tiziano ci fermiamo qua e là per fare qualche foto, scambiandoci smorfie di stupore per quello che stiamo vivendo. Provo anche a chiedergli di scattarmene una come quelle che si fanno tutti, immerso nel paesaggio. Lui lo fa spesso per i suoi social e non sarebbe la prima volta che provo a imitarlo, ma davanti al risultato resto spesso deluso. Sembra quasi sempre la versione contraffatta di quello che avevo in mente, l’imitazione mal riuscita, ma perlomeno diventa un buon motivo per l’ennesima risata insieme.

I bassi mojones disposti regolarmente scandiscono il tempo del nostro procedere, aiutandoci anche a ricordare che non siamo in Nevada, ma nella Tierra de Campos – così è chiamata questa comarca. Quando la strada inverte la propria pendenza cominciando lievemente a scendere, all’orizzonte pare non aggiungersi altro che il profilo di Carrión de los Condes. Non sembra nemmeno troppo lontana. La raggiungiamo dopo esserci ricompattati, perché la fuga di Amedeo anche stavolta è durata solo pochi chilometri.

Il convento di suore presso cui dormiremo è vicino all’ingresso del paese. Quando stiamo per raggiungerlo, veniamo superati da un furgone nero che parcheggia proprio di fronte a dove stiamo dirigendoci. Ne scende una sagoma familiare, anzi inconfondibile: è Beppe, l’amico sardo! Per qualche motivo ha preferito concludere la tappa in taxi. Mentre lui si ferma ad aspettare l’arrivo dei suoi compagni di viaggio, noi entriamo.

L’edificio sta proprio di fronte: ha una facciata tutta mattoni, costellata da finestrine ingabbiate da griglie in ferro battuto. Superiamo il portone ed entriamo in un cortile rettangolare. Poche porte vi sia affacciano, e una di queste ha un campanello. Suoniamo. Una vocina maschile spenta e monotonale ci indica di aspettare qui, aggiungendo qualche altra istruzione che non capiamo. Dopo pochi minuti, spunta alle nostre spalle un uomo di bassa statura, occhialuto e un po’ tarchiato: non c’è dubbio, è la persona con cui abbiamo appena parlato. Ci passa di fianco con piccoli passi rapidi, salutandoci in maniera appena percepibile e dirigendosi ad aprire la porta del suo ufficio. Ne esce pochi secondi dopo, lasciandoci dei sacchi neri per isolare in qualche modo i nostri zaini potenzialmente infetti, poi rientra e invita il primo di noi ad entrare. Frastornati dallo sbrigativo receptionist, stiamo ancora guardandoci l’un l’altro quando ci ribadisce di entrare in maniera già scocciata. Tiziano è il primo a confezionare la propria mochilla e ad entrare nello stanzino in penombra. Quando anch’io sono pronto, oso fare a mia volta un passo all’interno, per curiosità, ma subito mi viene ribadito ad alta voce: “Uno a la vez!”. Agli ordini! Almeno stavolta si è sentito chiaramente cos’ha detto.

Quando è il mio turno, incrocio lo sguardo di Tiziano mentre esce dalla porta: sta trattenendosi dal ridere con tutte le sue forze. Le risate sono contagiose, cosicché a mia volta devo contrarre con fatica ogni muscolo del volto per mantenere un’espressione minimamente composta. All’interno, mi distraggo per la prima frazione di secondo tra le vetrinette buie occupate da souvenir religiosi e pellegrini. Meno bravo di chi mi ha preceduto, però, non so trattenere una risata quando finalmente il mio sguardo cade sul nostro strambo personaggio. Mi sta fissando come fossi l’ultima persona che avrebbe voluto vedere oggi, ma la cosa che rende tutto definitivamente esilarante è che sta seduto su uno sgabello talmente basso da farlo arrivare al banco a malapena col mento. Ancor più indispettito, mi chiede la carta d’identità, e mi rimprovera nuovamente quando si accorge che non l’avevo già preparata. Mi verrebbe da dirgli che siamo in tre, mica c’è la coda fuori, ma quella sua acidità mi fa così simpatia che sto al gioco e porgo ossequiosamente le mie scuse.

Conclusa infine anche la registrazione di Amedeo, chiude l’ufficio e passa ancora velocemente tra noi. Ci ordina di seguirlo, mentre già comincia ad elencare le regole per la nostra permanenza. Si ferma a un passo dalla porta dove ci sta accompagnando, si volta e sfila una cartina del paese. Sciorina qualche indicazione turistica col tono di chi già da anni avrebbe volentieri smesso di farlo. Mentre continuiamo a soffocare le risa, ci accompagna infine alla camerata, sparendo immediatamente dopo con la stessa rapidità con cui era apparso. Gli sono bastati questi dieci minuti scarsi per diventare uno dei personaggi più esilaranti che ho incontrato fin qui: fantastico!

Mentre ci sistemiamo e ci facciamo una doccia, iniziano ad arrivare un sacco di pellegrini conosciuti nell’ultima settimana. C’è ovviamente Beppe, nel frattempo raggiunto da Tim, Linda e Kiki. Ci sono Arnaud, Richard, Serge e i due ragazzi francesi che lo accompagnano. C’è anche Gideon, il danese, e pure lo yogi che mi aveva visto scivolare a terra sotto al fico.

Durante un momento di relax in camerata, assisto a una scena deliziosa: confermandosi sempre molto estroversa, Kiki si avvicina al letto di Amedeo e gli rivolge un tenero quanto inaspettato complimento. Lui però sta tutto accovacciato con le cuffie nelle orecchie e non sente nulla. Notando però i modi insolitamente dolci della ragazza, si toglie immediatamente gli auricolari ed esplode in un gran sorriso interrogativo. A quel punto lei ripete con ancor più convinzione che pur vedendolo spesso chiuso e un po’ imbronciato, quando sorride riesce sempre a colpirla. Amedeo arrossisce e ridacchia imbarazzato, senza sapere che altro dire, e lei semplicemente se ne va, con la stessa leggerezza con la quale era arrivata.
Ad ogni modo Kiki ha proprio ragione, e mi fa piacere che gliel’abbia detto.

Linda non è ancora guarita ma ha finito gli antinfiammatori che le avevo dato. Decido così di accompagnarla in farmacia, e ci insieme a noi vengono anche Beppe, Tim e la stessa Kiki. Prima di arrivare nel centro della bella cittadina, entriamo a dare un’occhiata a una prima chiesa lungo la strada, dedicata a Santa María del Camino.
In fondo alla navata, a un certo punto comincio a provare una sensazione piacevolissima e rilassante, che parte dai polpacci e mi immobilizza in uno stato di pace sorprendente. Ripenso ancora alla suggestioni della chiesa di Villalcazar: forse sto vivendo qualcosa di grande, di ultraterreno, di unico, come ci aveva descritto la guida, ma poi… Poi mi accorgo che poco più in là anche Beppe sta in piedi immobile proprio come me, con gli occhi chiusi e uno strano sorrisetto, e capisco che non ci sta succedendo niente di metafisico, ma sono solo gli effetti di un’insospettabile bocca d’aria calda nel pavimento. Peccato, sarebbe stata una ciliegina in più sulla torta di questo Cammino tanto originale.

Fuori dalla chiesa c’è una piazza rettangolare molto ordinata, con aiuole, panchine e una dozzina di tigli giovani e ben potati. Al centro, invece, sta una colonna culminante con una piccola statua tutta arrugginita della Vergine. La facciata della chiesa è spoglia ma elegante, e nel complesso la piazza dá esattamente la stessa impressione.

Arrivati nel centro del paese, ne troviamo una seconda: Plaza del Generalísimo Francisco Franco. È altrettanto curata, ma dall’aspetto più nobile. Vi si affacciano il palazzo comunale e una chiesa dedicata a Santiago, che purtroppo troviamo chiusa.

Sono quasi le sei del pomeriggio e gli ultimi raggi del sole riescono ancora a infuocare il tozzo campanile all’angolo. Incontriamo anche Tiziano e Amedeo, e tutti insieme decidiamo di fermarci a fare un bell’aperitivo al bar sotto i portici.

Quando ci alziamo per tornare in albergue, i lampioni a lanterna si sono già accesi e la luce del crepuscolo vira in magnifiche sfumature di lilla.
Faccio tappa ad un supermercato per fare un po’ di scorta per domani, mentre per la cena mi sembra di capire che usciremo a mangiare fuori tutti quanti. In realtà, dopo qualche minuto scopro di aver inteso male: ceneranno in qualche locanda solo i miei due compari liguri. La situazione mi prende alla sprovvista: mi scoccia girar le spalle alla coppia di amici, ma ho anche voglia di vivere una cena comunitaria vera e propria, come immagino siano quasi tutte quelle di un Cammino senza pandemia. Come se non bastasse, poi, vorrei tentare di giocarmi l’ultima chance con Linda. Senza pensarci troppo, quindi, rinuncio alla cenetta fuori e torno al supermarket per comprare vino e viveri per quella in albergue.

La cena in compagnia nella piccola cucina si trasforma subito in un’esperienza caciarona e divertente. La tavola è piena di mille cose, il vino scorre a volontà, molti diventano protagonisti di qualche momento di declamazione alcolica, mentre altri sorridono composti, scrivendo il proprio diario o sorseggiando una zuppetta vegana. Facciamo conoscenza anche di un signore di Granada più o meno coetaneo di Serge e Arnaud. Porta un gran cerotto sul setto nasale e il suo racconto parte dallo spiegarci la goffa caduta con la quale se l’è procurato. Inaspettatamente, però, preso il centro della scena, sembra non volerlo lasciare più. Parla e parla di mille cose, mentre tutti si scambiano occhiate di ilare insofferenza. Riguadagna la mia attenzione, però, quando dice di essere stato ospite ad una cena a casa del parroco di Hontanas. A quanto ci spiega, fu proprio quella in cui intervenne la Guardia Civil a sgomberare tutti. In effetti, era un’evidente aggregazione illecita in questi tempi pandemici. È una notizia di cui sono già a conoscenza grazie al passaparola tra pellegrini su Facebook, e mi è rimasta impressa per due motivi: il primo é che tratta di un luogo e una persona che due giorni fa hanno impreziosito non poco il mio personale cammino, e l’altra è che la segnalazione è arrivata proprio dalla controversa hostelera dell’Albergue Municipal, quello dove ho dormito.

Poco prima dello show del nostro commensale, avevo preso in disparte Linda e giocato le mie carte, incassando però un limpido e desolante due di picche. La serata nel frattempo si è rianimata, ma a me non è passato un certo magone, così saluto tutti e torno in camerata a sistemarmi per la notte.
Sorprendentemente, però, non sono l’unico come pensavo: nel letto di fianco al mio sta sdraiata una ragazza che ho la vaga sensazione di aver già visto, ma senza riuscire a capire dove. Ci presentiamo: si chiama Erika, è canadese, e in un battibaleno mi vien in mente dove ci eravamo incontrati: lei è quella che si riprendeva con il proprio telefono appena prima di Fromista! Si rivela una persona solare e per qualche minuto facciamo conoscenza molto piacevolmente. Peccato soltanto che io trasudi ancora un filo di malinconia per la scottatura presa poco prima, inquinando un po’ l’allegria del momento.

Per fortuna, irrompono improvvisamente nella scena Amedeo e Tiziano, stranamente euforici, cantando e ballicchiando come fosse il trenino di capodanno. Mentre ridiamo di quello spettacolo, ci annunciano che anche la Castilla y Leòn ha scelto di attivare un confinamento perimetrale entro un paio di giorni. L’infausta notizia si stempera però con dei rumors a nostro favore: sembra infatti che sarà concesso il lasciapassare ai pellegrini già presenti al suo interno.
La follia del buffo notiziario aiuta tutti a non far prevalere l’allarmismo. Sappiamo che per uscire dalla regione ci vogliono ancora quasi dieci giorni di cammino e tutto può succedere, ma l’atmosfera di festa di questa sera è qualcosa che vogliamo difendere coi denti nei nostri ricordi, così tralasciamo ogni tipo di preoccupazione spegniamo le luci stringendo con forza i nostri migliori presentimenti.

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Castilla y Leòn, Spagna