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cammino di santiago - roberto pesenti

29/10 Carrión de los Condes – Moratinos

(Albergue Moratinos)
30km

Eravamo stati avvertiti che al convento vige la regola ferrea di alzarsi alle sette di mattina, ma mai avremmo creduto a quello che ci è appena successo.
Nonostante avessimo puntato le nostre sveglie all’ora fatidica, il curioso personaggio che ci aveva accolti ieri fa irruzione nella camerata cinque minuti prima, accende improvvisamente le luci e inizia a ripetere a voce alta: “Despierta! Son la siete! Son la siete! Despierta! Son la siete!”.
Inevitabilmente, si solleva subito un mugugnare collettivo, quasi fosse un raduno di zombie. Colui che subisce più di tutti il colpo basso del malefico receptionist, però, è il nostro Amedeo, noto per la sua infinita fatica nell’alzarsi la mattina. Lo shock è talmente forte che scatena in lui riflesso immediato, che prende forma in un sonoro e inaspettato “Ma vaffanculo!”, perfettamente comprensibile anche da tutti gli amici non italiani. Il fastidioso incursore, però, sembra essere totalmente impassibile all’insulto e già se ne esce dalla porta. Evidentemente, però, il buon Amedeo non è ancora sazio e, chiudendosi a bozzolo nel suo sacco a pelo, conclude con inattesa rabbia il suo sfogo: “Bastardo!”.
L’affondo finale ci lascia per un attimo ammutoliti, ma un’istante dopo la camerata esplode in un coro di risate, osannando il vampiro ligure per aver dato voce a un pensiero che tutti avevamo trattenuto.
Quella appena vissuta è stata una delle sveglie decisamente più traumatiche e allo stesso tempo più divertenti del mio viaggio.

In pochi minuti raduno tutto, rigonfiando lo zaino come faccio ogni mattina da due mesi e mezzo. Tutto ci sparisce dentro attraverso gesti automatici e seguendo in realtà un ordine rigoroso studiato fin dall’inizio. L’unica variazione l’ho introdotta imitando Tiziano, che mi ha fatto capire quanto poco senso abbia arrotolare con cura il sacco a pelo per rimettetelo nella sua borsa, quando infilandocelo alla bell’e meglio il risultato non cambia. Anzi, scopro che c’è chi fa lo stesso ma direttamente nello zaino, facendo a meno anche della borsa. Questa soluzione sfrutta gli spazi che  altrimenti resterebbero vuoti, ma non riesco a togliermi dalla testa la fissa che così il sacco a pelo finirebbe prima o poi chissà come per bagnarsi, o addirittura ungersi irrimediabilmente con qualche schifezza in scatola. In realtà da quando cammino in Spagna ormai non compro più cibi che potrebbero darmi certi problemi, ma probabilmente mi è rimasto in testa questo tarlo inestirpabile.
Fine della parentesi “tecnica” sulla routine mattutina.

Come succede fin da Saint-Jean, a Tiziano bastano solo pochi secondi per cominciare a radunare ordinatamente le sue cose. Io, invece, ho sempre bisogno di almeno un minuto seduto immobile sul letto, apettando di riprendere minimamente coscienza. È anche divertente osservare tutti gli altri, chi più disciplinato, chi “in attesa di segnale” come me, e chi invece in coma come Amedeo.

Quando tutto è tornato a sparire nello zaino, raggiungo la cucina ancora barcollante. Sono passate più di dieci settimane, ma la gioia della mia colazione preferita rimane la stessa, coi soliti caffellatte, pane, burro e marmellata. Assieme a me, ci sono solamente gli altri “vecchi” della carovana: lo spagnolo col setto rotto, Serge e lo yogi. Questa cosa mi scatena il sospetto pungente che sto forse già facendo capolino nel club dei “giovani dentro”.
Mentre riesco a spremerci sopra un mezzo sorriso, la faccia torna cupa di scatto quando Linda si affaccia all’uscio per un istante. Un’intuizione, però, mi salva l’umore: d’un tratto mi accorgo di quella fetta di me rimasta adolescente. Gli anni passano e la sommergono di nuovi Roberto, sempre più adulti, ma lei sembra saperne reggerne il peso, riuscendo ancor’oggi a dare il suo contributo al mio sentire. Probabilmente è da lì che ha fatto capolino l’irrazionale spirito d’avventura culminato in questo viaggio, ma allo stesso tempo è anche il tempio dei sentimenti più immaturi. Questi piccoli pensieri mi strappano un sorriso su questo me stesso quasi quarantenne, che a volte ancora si fa imbambolare e se la prende come quando aveva quattordici anni, ma va bene anche così.

Una volta riempita la pancia e puliti i denti, saluto tutti e raggiungo mis dos compañeros, che nel frattempo sono andati a far colazione al bar. Con loro mi regalo un altro caffè, mentre ancora ridiamo dell’exploit mattutino di Ame.
La tv è accesa, e al telegiornale si parla delle nuove misure di confinamento. Qualche cliente del posto risponde imprecando contro tutti i politici possibili, coinvolgendoci in qualche modo in un breve scambio di battute. Chiaramente il tema ci ruba il sorriso per qualche istante. Per nessuno è facile accettare davvero la realtà internazionale di questa pandemia, ma ciascuno di noi sa alla perfezione di star vivendo un privilegio totalmente fuori dal comune. In questa Spagna che sembra stia tentando in ogni modo di evitare un nuovo lockdown generale, noi stiamo camminando incessantemente, con l’obiettivo ostinato di attraversarla da parte a parte. Pur passando la stragrande maggioranza del tempo in luoghi desolati ed entrando in contatto rischiosamente quasi solo tra di noi, siamo consapevoli di star vivendo “in una bolla”, questa è l’espressione che usiamo sempre.
La nostra mutevole carovana include posizioni di ogni genere riguardo al virus e alla sua diffusione: dai negazionisti più ostinati fino a chi, come me, può dire di aver toccato con mano la stravolgente tragedia iniziale. La verità, però, è che tutti stiamo sperando che le più o meno efficaci misure anticontagio che prendiamo quotidianamente potranno essere sufficienti, e che questo nostro sogno comune resti immacolato fino alla cattedrale di Santiago.

Alle otto in punto ci stacchiamo dalle sedie e ci armiamo dei nostri zaini. Ci aspettano una trentina di chilometri oggi, tutti spaventosamente dritti, come forse mi era successo solo alla fine del Luberon, in Francia, nella tappa in cui raggiunsi Cavaillon. Che vertigine pensare a quanto tempo sia passato e a come queste due giornate siano parte della stessa grande esperienza ancora inconclusa!

Usciamo con calma fuori dal centro e attraversiamo il río Carrión, passando dal bel ponte Mayor e poi di fronte al Real Monasterio de San Zoilo, oggi hotel. Fin qui tutto continua a manifestare la gran cura con cui è mantenuta questa cittadina, che resterà memorabile davvero per tanti motivi.
Poche decine di metri e già ci lasciamo alle spalle gli ultimi edifici. Mentre seguiamo una stretta strada asfaltata che si incunea tra i primi campi, il sole spunta dietro di noi in tutta la sua bellezza: un’emozione a cui per fortuna sembro non abituarmi mai.

Come se già non lo sapessimo, prendiamo coscienza che da qui al primo paese corrono ben 15 lunghissimi chilometri: un rettilineo in mezzo a campi nudi e crudi, oppure pieni di girasoli ormai neri e ammosciati, con solo qualche rara pianta qua e là. Psicologicamente è una bella sfida, e anche il gusto selvatico per la solitudine qui può essere facilmente portato allo sfinimento.
Come sempre, però, il tempo passa comunque, tra risate sui tanti aneddoti collezionati, chiacchierate sul presente e sul futuro e qualche sana idiozia. Quando poi le parole finiscono, basta lasciarsi cullare dal silenzio, ed è proprio quello che ci succede per tratti anche molto lunghi.

Chilometri percorsi nella luce più limpida si alternano con altri sommersi nella nebbia. A un certo punto, poi, lasciamo l’asfalto e cominciamo a camminare sulla terra battuta, senza però che lo scenario cambi troppo. L’orizzonte taglia perfettamente a metà tutto il mondo attorno a noi, e le poche cose che riescono per un attimo a spezzare quella linea si contano sulle dita delle mani: un paio di chioschi chiusi e malinconici, qualche albero isolato, rarissimi tavoli da picnic per pellegrini.
Per quanto in certi tratti sia estenuante, va ammesso che attraversamenti di luoghi così essenziali abbiano un fascino e un potere non comuni sul viandante. E se non per tutti la parola ‘fascino’ è quella giusta, penso che perlomeno si possa ammettere una verità comune: là dove lo spazio e il tempo si prosciugano in questo modo, si è sempre messi maggiormente faccia a faccia con sé stessi – una condizione faticosa, ma anche preziosissima.

Mentre maturo pensieri simili, veniamo inaspettatamente superati da un Serge che oggi sembra voler spaccare il mondo tutto da solo. La cosa pare lasciare un seme velenoso dentro Tiziano, che dopo un po’ germoglia in un vero e proprio spirito di competizione. Di certo a qualcuno potrebbe sembrare un po’ infantile, ma sia io che Amedeo abbiamo già sperimentato a nostra volta qualcosa di simile. Non ci scandalizziamo per niente, quindi, quando il nostro biondo amico ci confessa di non poter resistere dal raggiungere e superare il francese, anzi! Spronandolo ironicamente a tener alto l’orgoglio italiano, ci accordiamo di ritrovarci poi al primo paese lungo la via: Calzadilla de la Cueza.
Mai benedizione poteva essere più efficace! Eccolo, quindi, che dopo una strizzata d’occhio già parte in quarta lungo la leggera salita che va perdendosi all’orizzonte.

Questo distacco imprevisto lascia spazio all’opportunità di rivivere con Amedeo un momento di sincera confidenza, così come già un po’ era successo prima di Hontanas – tra l’altro, anche allora nel mezzo di campi immensi.
Sono più di dieci giorni che condivido anche con lui questa esperienza unica, ma è cosa rara che durante il cammino quotidiano lo si trovi separato dalla figura carismatica, protettiva e goliardica di Tiziano. D’altronde è comprensibile: quest’ultimo ha una decina d’anni in più e una grande esperienza in fatto di viaggi e di cammini verso Santiago.

Il loro legame di amicizia è solido e bellissimo, radicato sulla stagione estiva appena passata in cui sono stati colleghi bagnini presso un lido. Come negli anni passati, mese dopo mese in Tiziano è montata la voglia irrefrenabile di tornare su queste strade – una vera necessità, dice lui – e ha insistito con Amedeo fino a convincerlo, superando ogni ritrosia e titubanza legata a questo periodo tormentato.
Loro sono in assoluto i primi compagni con cui cammino per così lungo tempo, e il piacere di poter conoscere meglio ciascuno indipendentemente dall’altro lo vivo con spirito sincero.
Amedeo sembra accettare volentieri il dialogo, disponendosi a chiacchierare di cose un po’ meno bischere del solito. Trovo conferma delle belle qualità umane di questo giovanissimo ragazzo, e non di meno di una maturità che ha tutte le carte in regola per sbocciare sempre meglio negli anni che ha davanti.
Come ero convinto, la natura di questo tratto aiuta questo nostro apririci reciproco, perché ha poche distrazioni ed è quasi distensiva. Riusciamo così a macinare chilometri senza troppa sofferenza, oltre che con un ottimo ritmo.

Calzadilla si trova una ventina di metri più basso rispetto al piano su cui stiamo muovendoci, e solo il campanile della cappella del cimitero segnala da lontano che stiamo per arrivarci. Nel frattempo abbiamo ricevuto un messaggio da Tiziano, con la posizione del bar dove si è fermato. Lo raggiungiamo con un ritardo non poi così eclatante. Ordiniamo birra fresca e tortillas, gustandoci il meritato riposo mentre ascoltiamo il racconto del folle inseguimento.
Pare che Serge – seduto ora un paio di tavoli più in là e visibilmente provato – si sia accorto quasi subito di essere inseguito, ed abbia raccolto la sfida con foga inaspettata. A tal punto che, quando già entrambi potevano vedere Calzadilla, il francese aveva ancora una ventina di metri di vantaggio. Sembrava ormai aver vinto l’improvvistata competizione, ma in quell’istante la craponaggine di Tiziano ha superato l’ultima soglia di ragionevolezza e lo ha spinto a giocarsi la carta più folle di tutte: mettersi a correre. E non intendo dire a passo spedito, ma proprio correndo!
La vita è anche gioco, in fondo, ed è stato esilarante rivivere l’episodio con le parole dell’amico ligure, inclusa l’imitazione della faccia di Serge quando si è accorto d’improvviso di averlo a fianco. Due magnifici matti!

Seduti al tavolo sotto il sole, ci godiamo al meglio la sosta tanto meritata, e man mano arrivano anche altri amici pellegrini a regalarsi il medesimo trattamento.
Tra questi c’è anche Erika, la canadese, che però non si siede ai tavoli come tutti, ma sceglie di stare da sola al lato opposto della strada. Sorridente, non si dedica ad altro che ad accarezzare un paio di gatti che le si alternano sinuosamente intorno, e che ovviamente gradiscono parecchio il trattamento.

Con noi c’è pure l’amico spagnolo col naso fasciato, che come ieri sera scatena anche qui la sua loquacità. Dopo un buon numero di aneddoti, però, capiamo definitivamente che non è solo un chiacchierone, ma un uomo tenace e pieno di energie positive. Non potendo lavorare in questi mesi, ha deciso “semplicemente” di camminare, e di farlo a oltranza. Ha con sé uno zaino molto pesante perché dorme per lo più fuori, in tenda. Nonostante ciò, ha un passo incredibile, soprattutto per la sua età.
A un certo punto, interrompe quasi all’improvviso il suo raccontare e si alza di gran lena, salutandoci a cuore aperto e riprendendo il suo cammino. Il gruppo resta un paio di secondi in silenzio mentre lo guarda allontanarsi, e io mi chiedo se lo rivedrò ancora.

Dopo qualche minuto, anche noi decidiamo che è arrivato il momento di ripartire. Siamo oltre la metà del percorso, è vero, ma ci siamo riposati abbastanza.
Seguiamo un sentiero battuto a lato di un’altra strada rettilinea in mezzo alla piatta campagna. Per fortuna, stavolta ci sarà qualche paese ad aspettarci, spezzando questa innegabile monotonia.
Il primo è Ledigos, dopo poco più di un’ora. È un altro piccolo centro piuttosto umile e con caratteristiche simili a quelle di altri visti fin qui nelle mesetas, ma il bel tempo aiuta a coglierne meglio alcune tipicità pittoresche. Credo addirittura che con questo sole anche Boadilla ci sarebbe apparsa in modo totalmente diverso.

Lungo la strada incontriamo un cartello con scritto: “LEÓN 80 KM”. Potrebbero sembrare molti, ma ormai sappiamo quanto alla svelta possiamo percorrerli. Per vari motivi Leòn è risuonata tantissime volte fin qui nei nostri dialoghi, ed è realmente emozionante pensare che stiamo per raggiungere anche questo traguardo.

Superato qualche cimitero di girasoli, arriviamo a Terradillos de los Templarios. Io personalmente sono poco toccato dalla storia e dalla fama del famoso ordine cavalleresco, anche se sto camminando su una via di pellegrinaggio che conserva moltissime loro tracce. Mi rendo conto, quindi, che questo disinteresse sottrarrà alla mia esperienza molte opportunità di meraviglia, ma in fondo seguire gli stessi cartelli non significa assolutamente che il viaggio di ciascuno debba prender forma in egual maniera. D’altronde ogni singola scelta o condizione lo modella in modi irripetibili, rendendo unico quello di ognuno.

Da tempo penso che il Cammino sia qualcosa di molto simile a un campo da gioco, un luogo di sperimentazione privilegiato. Ha la particolarità di includere davvero pochi rischi e di offrire al contempo una quantità fuori dal comune di opportunità positive in cui tuffarsi. Ad ogni angolo sembra pronto a regalare stimoli inaspettati e qualche impagabile lezione, riuscendo spesso a regalare a chi lo percorre lenti nuove per guardare sé stessi e il mondo.
Aldilà di ogni attribuzione spirituale, credo quindi sia naturale che così tante persone ne restino ammaliate, percorrendolo con stupore e gratitudine così profondi.

Un paio di chilometri dopo Terradillos, una freccia gialla verniciata grossolanamente sul retro di un cartello ci indica la rotta. Dobbiamo lasciare la traccia asfaltata e buttarci tra alcune colline bassissime e spoglie. Non so dire bene perché, ma ad ogni passo in più mi sembra di starmi calando in un limbo di pace.
Saranno questo paesaggio tanto morbido, il suo contenerci quasi materno che lo rende tanto intimo. Oppure forse è il clima perfetto, o il solito amico sole, che ha già cominciato a piegare verso terra e ad illuminare tutto in maniera più suggestiva.

Anche l’impatto con l’albergue fa la sua parte. È lì, proprio all’inizio di Moratinos, con talmente tanto spazio intorno da sembrare quasi un casello per accedere al paesino. Ha solo due piani, ma una grande terrazza. Oltre le porte a vetri c’è una sala luminosa e il banco di un bar. Non so da quanto sia stato costruito, ma dá l’impressione di essere molto recente.
Finalmente facciamo conoscenza di Giuly, l’italiana che ci ha convinti a fermarci qui oggi. Si conferma frizzante e accogliente, e subito ci presenta anche Jorge e Sonia, la giovane coppia spagnola che ha l’albergue in gestione e per i quali lei lavora. Anche loro sono luminosi e sorridenti, oltre che assolutamente alla mano. Pare non ci sia nessun altro ospite, e sapere che tutto questo sia solo noi non ci sembra vero.

Appoggiati gli zaini, ordiniamo le irrinunciabili tre birre di fine tappa, accettando l’invito di sederci in cortile. La luce di quest’ora non dá fastidio, è dorata, dello stesso colore dell’Estrella Galicia fresca che Jorge ci ha versato. C’è una pace surreale.
Dall’altro lato della strada, una collinetta erbosa ha delle curiosissime porte alla base che conducono al suo interno. Sembra una casa della Contea, quella degli Hobbit. Giuly ci ride su quando ce lo sente dire, mentre fuma appoggiata al muro. Ci spiega che si chiamano bodegas e sono antiche cantine. Senza attendere che si formi chissà quale intimità, ci racconta poi la sua storia e noi la nostra. Ordiniamo il secondo giro, ci rilassiamo ancora di più, finchè arriva l’ora di sistemarci in stanza.

Quando già tutti abbiamo fatto la doccia, spunta a sorpresa anche Erika, e non so nascondere che la cosa mi fa particolarmente piacere.
Prima di cena, ragioniamo sulla tappa di domani. Confidiamo a Giuly, Jorge e Sonia i problemi avuti ultimamente con le prenotazioni e loro restano perplessi, si chiedono come sia possibile e ipotizzano degli sfortunati fraintendimenti. Restano però esterrefatti quando ascoltano un paio di telefonate che facciamo davanti a loro per le prenotazioni del giorno dopo. Ancora una volta, infatti, riceviamo risposte sospettosamente evasive o addirittura veniamo derisi, il che ci produce un’incazzatura cosmica.

Per questi motivi e a causa di altre chiusure inattese, dobbiamo depennare El Burgo Ranero e Reliegos, i paesi in cui sarebbe stato comodo e naturale concludere la tappa di domani. L’unico albergue che ci permette di prenotare – e lo fa con quella semplice formalità rispettosa e impersonale che sembra essere merce tanto rara – è a Mansilla de las Mulas, che però dista addirittura 47 km da Moratinos.
Esclusa in partenza l’idea di camminare così a lungo – e pure incazzati – le opzioni possibili rimangono due: partire comunque da qui e sperare di trovare qualcosa di aperto nonostante le disavventure telefoniche, o accettare la proposta di Giuly. La sua idea è quella di accompagnarci in auto a Sahagún domani mattina e farci partire da lì, in modo da ridurre la tappa verso Mansilla di una decina di chilometri. Rimarrebbe comunque molto lunga, ma decisamente più accessibile.

È una gran sorpresa per Tiziano e Amedeo sentirmi subito rispondere di sì all’amica italiana, perché si aspettavano che avrei fatto mille storie come già in quel di Pamplona. Mi rimarrà per sempre nella memoria la faccia incredula di Tiziano, durata un paio di lunghissimi secondi, durante i quali mi ripete la domanda per essere sicuro che io abbia capito, e poi il suo esplodere in urla di gioia, alzando il bicchiere di birra per brindare alla soluzione del problema.
Smessi i panni del pellegrino radicale a causa dell’incazzatura, anch’io mi sento molto più leggero e mi unisco alla celebrazione con euforia.

Nel frattempo Erika assiste alla scena con sguardo perplesso, ma poi con calma le spieghiamo i motivi del nostro entusiasmo. All’opposto di noi, però, lei rifiuta il passaggio e sceglie che domani si affiderà alla buona sorte. Addirittura, decide che percorrerà una via secondaria particolarmente isolata, attratta proprio da quella caratteristica. La capisco benissimo, ma dopo le scocciature collezionate, davvero ne ho piene le scatole. In un secondo momento, però, mi confessa di non essere proprio una “dura e pura”, perché nei suoi piani c’è anche quello di fermarsi per un paio di giorni a León e regalarsi tanto relax e qualche massaggio. Hai capito la canadese?

Ormai non resta che cenare. L’unica opzione disponibile è l’albergue, ma per noi la cosa era già programmata da giorni. Quando siamo venuti a conoscenza della presenza di Giuly qui a Moratinos, immediatamente il nostro desiderio è stato uno e inappellabile: carbonara!
Erika anche in questo caso è un po’ trattenuta e consulta la lista, ma quando la vedo scorrere il dito tra toast e insalate gliela ritiro e ordino anche per lei una porzione di pasta. E che cavolo! Capirà poi col piatto davanti, sono sicuro.

Quando il cibo arriva in tavola, infatti, anche i suoi occhi brillano davanti alla montagna di spaghetti che riempiono le quattro fondine. Iniziamo subito a tuffare le nostre forchette in quella delizia, e per qualche minuto si sentono solo mugugnii di approvazione. Il vino scorre come merita e condisce di risate l’oretta a tavola, conclusa anche stavolta col sacro rito dell’orujo finale.

Mentre qualcuno esce a fumare l’ultima sigaretta della giornata, Erika crolla su una panca del bar e ci si addormenta. La sveglio delicatamente con qualche sussurro sorridente, e resto stupito che, trovandomi lì a un palmo di naso, il suo sguardo sembri tutt’altro che spaventato.
Lascio gli altri andare in stanza e passo un po’ di tempo con lei sulla terrazza. C’è una luna pienissima a illuminare questo limbo magico di terra. Mi racconta di essere maestra, ma con una passione per il teatro, e in particolare per il musical – ma non certo da spettatrice. Mi spiega di aver studiato canto e recitazione, e di aver già partecipato a qualche rappresentazione.
Ha gli occhi luminosi e, nonostante il mio inglese sia biascicato, il momento è di quelli straordinari, eppure… Esatto, nemmeno stavolta trovo il coraggio di buttarmi, sprecando un’occasione che sembrava uscita da una fiaba. Rientriamo con dei sorrisi che ancora non sembrano aver inteso il buco nell’acqua. L’accompagno fino alla stanza e sull’uscio mi ritiro anche dal suo ultimo sguardo sorridente.

Amedeo sta sdraiato nel letto di fianco al mio, imbruttito sul cellulare. Gli basta guardarmi in faccia e sentirmi pronunciare un paio di parole per capire cos’è successo, e senza cambiare né di posizione né di espressione, senza nemmeno togliere gli occhi dal cellulare, mi sprona in maniera essenziale, irripetibilmente volgare e perfettamente efficace. Il viso mi si riempie di luce nuova. Ringrazio l’amico e mi alzo di scatto, tornando a bussare alla porta di Erika pieno di fiducia.

Mi apre con lo stesso sorriso con cui l’avevo lasciata. Io balbetto ancora un paio di parole inutili mentre entro, lasciando la timidezza in corridoio. Mantengo lo sguardo fisso nel suo, forse con la stessa smorfia tremolante che me la sta rendendo così irresistibile. Faccio due passi verso di lei, facendola arretrare fino alla parete, poi, come nei film più sdolcinati, le abbraccio i fianchi e piano avvicino il mio volto al suo. Un ultimo istante occhi negli occhi e cominciamo un bacio che finirà dieci minuti dopo. Ci fermiamo solo quando tutto sta per diventare qualcos’altro. Entrambi non ce la sentiamo nel silenzio del piccolo albergue, con le teste di tutti gli altri pochi centimetri di là dalla parete. A parole mi allontana, ma ci stacchiamo entrambi con fatica, con due facce ancora più cretine e felici di prima.

Tornato in camera, sembra la replica di un quarto d’ora prima, solo che stavolta non dico niente, rido e basta. Amedeo, come fosse Marlon Brando nel Padrino, si complimenta col suo picciotto. Tiziano si affaccia invece con un’espressione in volto che proprio non mi sarei mai immaginato. Sorride, ma amaramente, e dice che quindi ora cambierò programma e il gruppo si dividerà. La cosa mi tocca tantissimo. Qualche volta mi era sembrato quasi pentito di avermi con loro, tanto diverso è il mio approccio a questa esperienza. In effetti un po’ è così, e sono stati già tantissimi i momenti di microtensione. Per questo mai mi sarei aspettato che reagisse come ha fatto all’idea – pur non espressa – di salutarci e dividerci.
Con Erika non avevo preso nessun accordo, anche se una parte di me avrebbe voluto tentare quel cambio di scena, anche solo per il gusto di arricchire il viaggio con qualcosa di nuovo. Le parole di Tiziano, però, mi han colpito a tal punto da soppiantare anche il batticuore per il lungo bacio di poco fa, e d’un tratto non ho più dubbi e gli rispondo: “Non se ne parla. Continuiamo insieme!”.
Per la seconda volta in poche ore lo vedo restare incredulo e sorridente, e, come prima a tavola, il trio esplode ancora in urla di gioia.
Dopo dodici giorni spalla a spalla, anche se siamo tanto diversi e spesso sembra che le nostre traiettorie confliggano, la verità è che quel che ci lega si è fatto solo più tenace. Il trio continuerà unito il suo Cammino!

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Castilla y Leòn, Spagna