(M.me Brigitte)
32 km
Iris e Wolfgang scelgono di alzarsi prima per potermi far compagnia a colazione, coronando un’accoglienza già generosissima. Certo, non posso permettermi pernottamenti simili se non molto raramente, ma mai soldi furono spesi meglio.
Una volta partito e lasciatomi il piccolo borgo alle spalle, mi trovo subito immerso nel buio della mattina, mentre la luna lentamente sta liberandosi del velo opaco di qualche nuvola.
L’atmosfera è sbalorditiva, soprattutto quando arrivo nei pressi dell’ennesimo laghetto artificiale. È circondato da una corona di cipressi, e sopra lo specchio d’acqua si alza una leggera nebbia che rende tutto sfuocato. La sensazione è di essere in un sogno – forse un po’ sinistro, sì, ma anche molto poetico.
Proseguo poi tra dolci colli arati, appena visibili, evitando ancora una volta di accendere la torcia. Dopo nemmeno un’ora, alle mie spalle cominciano ad alzarsi i bagliori dell’alba. Voltandomi, riconosco la silhouette della chiesa di Montréal stagliarsi all’orizzonte.
Comincio piano a salire, attraversando i primi immancabili vigneti. Passo da Lasserre-de-Prouille, una piccolissima circulade, così come d’altronde lo era anche Villeneuve. Ne sto incontrando davvero tante. Mi domando se crescere tra quelle vie circolari renda meno spigoloso anche il carattere.
Col paese alle spalle e salito ancora un po’ sulla collina, inizio a vedere la luce scaldarsi sempre più: è il gran momento! Mi giro, e davanti a me ho un panorama completamente nuovo. Una distesa di dolci colline a perdita d’occhio sembra una tavolozza di verdi e di terre. Il cielo è color pesca, ma alcune nuvole hanno ancora delle ombre in ostaggio.
Girando un po’ il capo, ritrovo anche i Pirenei. Sono innevati, colorati di grigio, di azzurro e di viola, ma sulle loro creste c’è l’oro. Sono bellissimi; non somigliano più a freddi saggi, come mi parve quando ero a Capestang, ma solo esseri più grandi degli altri. Semplicemente sembrano stare lì – come me, come gli uccelli, come i campi, come gli alberi – ad aspettare l’astro che dona forma e calore ad ogni cosa. E poco dopo il Grande Atteso arriva, lento e incantevole. I suoi raggi sono spade, e il silenzio di tutto sembra un canto di festa.
Ogni stanchezza si azzera, e così ogni pensiero negativo, ogni titubanza, ogni insicurezza. Come sempre, mi sento letteralmente investito. Non è la forza del vento, che sposta il corpo fisico. È un’altra, diversa, capace di entrarti dentro e trapassarti, facendoti per quei pochi secondi tutt’uno con lei. Per qualche istante fa sentire luce anche te.
Alle mie spalle, la collina sembra una brace su cui qualcuno sta soffiando, tranne che per una gobba sagoma d’ombra, quella di un pellegrino con il suo zaino.
Mi godo questa scena straordinaria fino a che il sole non supera totalmente l’orizzonte, e infine – sazio e felicissimo – mi volto come faccio sempre e proseguo sul mio sentiero.
I versanti dei colli tutt’attorno sono tanto sinuosi da far pensare siano stati modellati per stupire al massimo il viandante. Il cielo che ho davanti ora è azzurro e in mezzo c’è rimasta la luna, che non sembra assolutamente intenzionata a lasciare campo libero troppo facilmente.
Dopo forse un chilometro inizio a vedere Fanjeaux, un borgo arroccato in cima ad un’altura, in una posizione esteticamente perfetta.
Ogni passo per raggiungerlo sembra svelare scorci inediti, sempre all’altezza dei precedenti. Ieri sospettavo che pioggia e nuvole mi avessero nascosto una gran bellezza; ora ne sono certo, perché queste terre sono favolose. Per fortuna oggi posso gustarmele a pieno.
Una volta arrivato al paese, vivo la felice sorpresa di trovarlo più vitale di tanti altri. Ci sono persone a spasso e qualche bancarella di prodotti locali: già abbastanza per fare la differenza.
Nei pressi della chiesa, incontro un giovane ragazzo sorridente che cammina portando una bici molto carica. Ci presentiamo, ciascuno incuriosito dall’altro. Si chiama Michael, è olandese e – seppur in sella – ha percorso tanti chilometri quanto i miei. Ha scelto di farlo a favore di una causa particolare, legata al mondo animale. Curioso: è già la seconda persona che incrocio con un progetto simile. Restiamo volentieri a parlare qualche minuto. Mi racconta che a un certo punto si è fermato tre settimane a lavorare in una fattoria perché aveva finito i soldi. Lo ha fatto senza avere competenze, ma solo offrendosi. Buono a sapersi! Con stupore e ammirazione apprendo anche che viaggia senza connessione internet, ma solamente sfruttando il wi-fi là dove può. Mentre mi parla il suo sorriso resta raggiante, nonostante abbia passato ovviamente anche diversi momenti di seria difficoltà. Mi spiega che ha bisogno di comprare da mangiare, però noto che sta per prendere la direzione sbagliata. Approfitto quindi per accompagnarlo là dove ho visto i banchetti, all’ingresso del paese, visto che per proseguire anch’io dovrò ripassarci. Mi fa piacere essergli stato d’aiuto. Ci salutiamo, entrambi molto felici di esserci conosciuti.
Lasciata Fanjeaux, mi ritrovo ad attraversare altre aree collinari superlative, con qualche pascolo di pecore e tori a impreziosire ancor di più lo scenario.
Superato il piccolo borgo rurale di Hounoux, arrivo a una magnifica terrazza naturale con un panorama sconfinato. La particolarità, però, è che tira un vento fortissimo. Una volta mi avrebbe dato solo fastidio. Investito da raffiche simili, perdevo sempre concentrazione ed energia, finendo col restare spossato e col cervello ovattato. Resistevo, mi proteggevo, ma ne uscivo sempre perdente.
Durante questo viaggio, invece, sembra sia riuscito a farmelo un po’ amico. Lo affronto come se fosse un bambino super vivace che vuole a tutti i costi coinvolgermi. Ho iniziato a non ripararmi più granché e a lasciarmi trascinare, a ballare con lui, spesso ridendo, e questa strana invenzione sta dandomi ottimi risultati.
Ricapitolando, se col sole mi commuovo e con la pioggia canto, col vento invece ho capito che la cosa migliore è giocare.
Certo, come ogni altro atteggiamento che sto sperimentando nella natura e in campagna, difficilmente potrei replicarlo se avessi accanto altra gente. Non sento di essere ancora arrivato a quel grado di libertà, e probabilmente mi vergognerei. Ora però sono solo, quindi mi godo a pieno questo slancio spontaneo e avanti così!
Tra i dolci saliscendi, ad un tratto incrocio un uomo con ben due cavalli. Si chiama Benoit e sta facendo il giro dell’intera Occitania. Cavalca un animale e usa l’altro per portare i viveri di tutti e tre. Mi dice che è contento di essersi imbattuto in un pellegrino, perché sta incontrando pochissima gente a piedi. Buono a sapersi. Amo questi brevi contatti sulla via; sono come spezie preziose.
Dopo qualche chilometro, sbuco nel villaggio più piccolo incontrato finora: si chiama Malegoude, il primo dell’Ariège – il nuovo dipartimento che attraverserò.
Aspettando di trovare l’occasione di riempire la borraccia, sto razionando l’acqua già da parecchio. Ho il presentimento che anche qui potrei restare letteralmente a bocca asciutta, però, perché non sembra esserci anima viva. Provo a presentarmi ad alta voce, sperando qualcuno mi senta, e vengo inaspettatamente premiato. Da una casetta dove tutto sembrava spento, spunta infatti un certo Fabian, che fin da subito mi dà l’impressione di essere un omone buono. Quando chiedo il favore di riempirmi la borraccia mi aspetto sempre di poter ricevere un no per via del virus, ma finora nessuno mi ha fatto dei problemi, e Fabian non fa eccezione.
Vista la sua disponibilità, provo a giocarmi una richiesta extra e un po’ particolare: gli chiedo se ha un piatto di plastica. Ieri, infatti, ho preso del cous cous confezionato in maniera diversa dal solito: sta tutto in una lattina e ne ha una seconda piena di condimento. Un piatto sarebbe l’ideale per poterli mescolare. Non oso immaginare che pasticci farei diversamente. All’inizio si stranisce, ma poi entra una seconda volta in casa e ne esce un minuto dopo con due o tre piatti di carta plastificata. Lo ringrazio molto, vanno benissimo. Sembrerebbe poca cosa, ma mi permetteranno di pranzare molto più comodamente – di certo con un minimo di decenza.
Quando sto andandomene, mi richiama e mi chiede dove abbia la mia conchiglia; gli spiego che si è rotta cinque giorni fa. Mi fa segno di aspettare e si infila in un piccolo ripostiglio, uscendone poi con una cassetta di legno piena zeppa di conchiglie di capesante. Ma guarda te! Me ne fa scegliere una e me la regala, augurandomi buon viaggio. A quanto pare, sembra che “il cammino” abbia risposto alla mia richiesta, e con che stile!
Immediatamente dopo, salgo fino ad un’antica chiesetta isolata, circondata da un prato rasato da poco. Mi piace la calma di questo luogo e giro intorno all’edificio fino all’entrata, posta stranamente sul retro. È chiusa, ma in compenso ha un portico spazioso con una panchina. Non potevo chiedere di meglio: è il posto perfetto per fermarmi a pranzare. Come pensavo, il piatto di Fabian si conferma indispensabile. Il pasto è povero, ma abbondante.
Una volta riempita la pancia, scelgo senza rimorsi di risparmiarmi un’ultima salita e arrivare a Mirepoix seguendo la strada che passa proprio qui di fronte. Mi annoierò un po’, ma risparmierò energie preziose.
Per stanotte sono riuscito a trovare – dopo tanto tempo – una persona che fa parte dell’associazione locale dedicata al cammino di Santiago e che si è resa disponibile ad ospitarmi. Dovrò aspettarla un paio d’ore perché non può liberarsi prima, ma è niente rispetto alla gioia d’essere accolto come vero e prorpio pellegrino.
Arrivo a Mirepoix attraversando il ponte sul fiume L’Hers. Raggiunto il centro storico, resto affascinato dalla lunga serie di antiche case a graticcio che si affacciano sulla piazza principale. Hanno tutte antichi portici in legno, particolarmente spaziosi, occupati da espositori di merce d’ogni tipo e dai tavolini di bar e ristoranti. La cosa che mi colpisce di più, però, sono i loro i colori sgargianti: quelle facciate tutte così diverse portano brio anche con questi nuvoloni. Al centro della piazza, poi, c’è un grande padiglione aperto. Probabilmente è di recente fattura, ma ben si sposa con il contesto. Alle sue spalle, infine, svetta la grande chiesa di San Maurizio che domina con la sua altezza su tutto quanto.
Scelgo innanzitutto di riposarmi un po’ dentro una bella taverna. La sensazione è quella di non essere molto ben visto, in realtà, probabilmente perché prendo solo un caffè. Spero sapranno farsene una ragione e smettano di guardarmi male. D’altronde sono l’unico seduto all’interno e fuori c’è solo un tavolo occupato; non sto certo rubando il posto a qualcun’altro. Come sempre, poi, mi servono quello che in Italia sarebbe il peggior caffè lungo della storia, ma qui le abitudini sono diverse, e confesso che quasi mi ci sto abituando.
Prima dell’appuntamento, vado anche a visitare la chiesa. Mi colpiscono subito le proporzioni dello spazio interno: pur essendo molto largo e alto, ho l’impressione sia poco sviluppato in lunghezza, risultando un po’ tozzo – ma non per questo brutto. Le condizioni generali non sono delle migliori, eppure uno strano insieme di piccole cose fa sì che in realtà mi piaccia molto rimanerci. Così, anche con la scusa del freddo e del voler risparmiare, mi ci fermo per tre quarti d’ora.
Esco poi per comprare qualche provvista e farmi timbrare la credenziale all’ufficio di informazioni turistiche, ma subito dopo scoppia un temporale e devo tornare a rifugiarmi nella chiesa. Sotto i portici, infatti, fa davvero troppo freddo.
All’ora concordata, graziato da una leggera schiarita, raggiungo la casa di madame Brigitte. È una signora che fin da subito mi dá l’impressione di avere un carattere deciso, ma velatamente triste.
Casa sua, come tante altre viste fin qui, si conferma arredata con estro e gusto eccezionali. Ci sono opere d’arte di ogni tipo, grandi e piccole, appese ai muri o posate qua e là. Sono tutte più o meno moderne, e donano alla casa colore e freschezza.
Lei è un po’ distaccata all’inizio, ma comunque gentile e disponibile. Dopo aver riposato un po’, provo a rompere il ghiaccio, riuscendo a guadagnarmi un po’ di simpatia. Durante la cena, poi, si apre ancora di più e mi racconta anche alcune cose un po’ amare che le appesantiscono il cuore. Apprezzo molto la sua sensibilità e sono contento di averla potuta conoscere meglio.
Ormai a suo agio, il colore della conversazione cambia e sembra svelarsi un lato più gioioso ed energico. Mi regala alcuni opuscoli utilissimi per il mio cammino fino a Lourdes, con tracce alternative più brevi di quelle ufficiali e tanti numeri di telefono. È anche talmente cortese da chiamare al mio posto per verificare se domani sia disponibile l’alloggio per pellegrini a Pamiers. C’è qualche difficoltà, ma proprio grazie a lei tutto si risolve.
È stata una grande fortuna averla trovata, e cerco di farglielo capire meglio che posso. Spero abbia fatto piacere anche a lei.
Ci auguriamo la buonanotte e ci diamo appuntamento per la colazione.