(Au chat ronfleur)
21 Km
Eccomi alla nona settimana di cammino, quasi non ci credo.
Stamattina dico addio al Mulino delle Baronnies e mi avvio verso un’altra zona storica di questo distretto: la Haute-Bigorre. Per il tragitto, resto fedele alle dritte di Radio Camino sul prezioso libretto regalatomi da Brigitte. Questo significa ancora una volta che la tappa sarà breve e quasi del tutto fuori dal normale tracciato del GR78. Non ho nessun rimorso a riguardo; questi percorsi più corti sono comunque splendidi, e risparmiare energie in questo momento è un vero privilegio.
Se tutto andrà bene, potrò anche soddisfare un piccolo capriccio che mi riempirebbe di gioia: arrivare a Saint-Jean-Pied-de-Port esattamente due mesi dopo la mia partenza. È solo un vezzo legato ad un gusto inutile per le cifre tonde, ma in fondo è impossibile nasconderlo: i numeri fanno parte enormemente di questo genere di esperienza. Ricordo che Sara una volta l’aveva chiamata “la matematica del pellegrino”. Mi fece sorridere, ma non c’è cosa più vera. D’altronde siamo stracolmi di strumenti che possono permetterci di misurare tempo, spazio, velocità, peso, tempo meteorologico, e credo che non sia realistico immaginare di esserne del tutto indifferenti.
Il rischio maggiore, probabilmente, è diventare troppo calcolatori, e io di certo ne so qualcosa: sto attento a chilometri, ore, giorni, ma anche ai nutrienti di ciò che mangio, ai chili persi o acquistati, a quelli dello zaino e di ogni singola cosa che lo riempie, ai soldi che spendo e a quelli che risparmio. Insomma, non mi stupirei se a qualcuno tutto questo sembrasse un po’ ossessivo. Nonostante ciò, questo approccio mi ha anche permesso di gestire efficacemente il mio corpo in queste settimane non proprio semplici, scoprendo limiti e punti di forza che nemmeno immaginavo.
Un altro rischio, invece, è la foga prestazionale, e anche di questo parlo con cognizione di causa. Senza spenderci troppe parole, credo sia qualcosa da saper domare, nonostante resti legittimo che ognuno abbracci lo stile che preferisce, o che più gli appartiene.
La mia ambizione più alta sarebbe saper vivere l’esperienza di pellegrinaggio con il maggiore affidamento possibile, ma dopo quasi due mesi di cammino mi sto rendendo conto di avere molti trattenimenti a riguardo. Resto comunque dell’idea che sia l’approccio più prezioso per vivere pienamente questo genere di avventura, anche se richiede di fare scelte davvero poco comuni.
Nel mio piccolo, ogni volta che ho saputo evitare di controllare, di calcolare, di preoccuparmi, ho goduto poi di eventi inattesi e sorprendenti. Certo, non è sempre facile accogliere qualcosa di diverso da ciò che esattamente vorremmo, ma allena una sana flessibilità d’animo. Sotto questo punto di vista, il cammino diventa un laboratorio esistenziale impagabile, nel quale poter sperimentare meraviglia e gratitudine con una frequenza del tutto inusuale.
Una volta in Spagna, spero di cominciare ad incontrare più pellegrini possibili, e scoprire come loro vivano tutto questo. Non vedo l’ora!
Tanto per contraddirmi subito, però, oggi più che mai smanio per qualcosa di fortemente numerico, infatti inizierò la mia prima tappa senza il peso di tenda e materassino. Quella di ieri non vale perché avevo ancora un sacco di peso per il cibo comprato subito dopo la spedizione. Mi ero potuto fare un’idea solo dopo aver consumato il pranzo, ma poi da lì alla meta ho camminato un solo chilometro. credo ci vogliano almeno un paio di tappe per capire effettivamente l’incidenza di questo risparmio di peso. Staremo a vedere, sono davvero eccitato e speranzoso. Ora però cominciamo!
Riprendo la dipartimentale e mi avvio verso il primo paese: Bourg-de-Bigorre. La valle è verdissima, ma c’è un po’ di foschia. Attorno a me una strada vuota, due colline verdi, qualche prato, un fiume, della nebbiolina e il cielo.
Può sembrare banale dire che queste settimane tutte all’aria aperta – e spesso in mezzo alla natura – mi stanno pacificando e arricchendo, ma sono meno scontati i dubbi che iniziano a nascermi dentro: come sceglierò di vivere in futuro? Saprò onorare quello che sto vivendo e imparando? Saprò seminarlo nella mia vita per far sì che si rinnovi e dia nuovi frutti?
Non sono certo domande nate solo oggi, è ovvio, ma stanno facendosi sempre più concrete.
Attraverso il fiume Aros e il villaggio, imboccando poi la strada che segue il torrente Esqueda, mentre la nebbia va via via ispessendosi.
I nomi di fiumi e paesi stanno cambiando molto, ultimamente, allontanandosi dalla sonorità francese e abbracciando la spigolosità del basco, con qualche velatura di castigliano e chissà quante altre influenze ancora.
Mi ritrovo ancora in una vallata, quindi, ma molto più stretta di quella che ho lasciato. Seguo una strada tutta curve, senza guard-rail. La vegetazione continua ad essere abbondante e rigogliosa, ma resta annegata nella nebbia. In quest’atmosfera lattiginosa e onirica, si sentono i campanacci dai tanti pascoli sparsi lungo il percorso, e sagome bovine spuntano a volte come spettri inespressivi.
Quando il sole fa capolino sopra le colline, si crea un’atmosfera unica: il disco bianco riesce a mostrarsi anche tra la densa foschia, ma i suoi contorni ci si sciolgono dentro. Sembra di essere immersi in un acquerello.
Con quel calore sempre più intenso, in meno di mezz’ora ogni traccia di foschia svanisce e tutto si fa limpido.
Presso una biforcazione, resto felicemente sorpreso di fronte ad una casa dalla collocazione unica. Sta proprio in corrispondenza del bivio, ma non a livello della strada, bensì a quello del torrente – circa cinque metri sotto. Guardando meglio, poi, capisco anche il perché: è un mulino. Dal camino esce del fumo e tutt’attorno ha un giardino quasi esotico. Non oso immaginare che umidità si soffra abitandoci, ma al contempo devo ammettere che va oltre il pittoresco.
Mentre penso queste cose, spunta un’anziana signora che spinge una carriola su per la rampa ripida, e senza nemmeno mostrare grande sforzo. Ho un deja-vu: è la stessa scena che ho visto ieri mattina! E il bello è che anche la signora di oggi trova il modo di salutarmi sorridendo, proprio nel bel mezzo della fatica. Usa un’espressione che ho già sentito in diverse occasioni e che mi piace tantissimo: “Bon courage!”. La ringrazio e proseguo raggiante.
La valle inizia ad aprirsi, lasciando il mio sguardo riempirsi di tutto l’azzurro del cielo; non pensavo che stamattina il tempo sarebbe cambiato tanto velocemente. Abbandono il torrente Esqueda e do il buongiorno al paesello di Banios. Come altri che ho già incontrato, è attorniato da colline e montagne, ma in questo caso un lembo dell’abitato si prolunga su una di esse.
Inizia proprio da quella strada la salita serpeggiante verso il Col-des-Palomières: circa 300 m di dislivello distribuiti su poco più di 5 km.
Man mano che la percorro, il panorama diventa sempre più ampio, tranne che in corrispondenza di una rientranza profonda della montagna. È proprio uscendo da quella quinta ombrosa, però, che posso gustare in pienezza l’arrivo alla grande terrazza naturale in cima al colle.
L’altitudine ancora una volta è minima – poco più di 800 m – ma il panorama è stupefacente. Da lì posso vedere a distanza di decine di chilometri, aiutato da questa giornata splendida. Il cielo è gigantesco e solcato da nuvole bianche e sparse, che si inseguono e cambiano forma velocemente.
C’è un bel tavolo di legno con due panche attaccate. Entusiasta, scelgo di fare qui la mia pausa anche se non è ancora mezzogiorno. Sul piano del tavolo c’è qualche scritta in pennarello nero, ma nessuna è volgare o banale. La migliore recita: “Mes cicatrices valent le poids de mes erreurs”. Non male.
Dietro di me, c’è un viavai di cacciatori coi loro cani; hanno vestiti mimetici e arancioni fosforescenti. Salgono e scendono dall’area più alta del colle, ma stranamente non sento alcuno sparo.
Sulla mia testa volano una dozzina di rapaci a diverse altezze, tra i quali ogni tanto se ne intravedono di molto grandi, come non ne avevo mai visti prima. Resto ipnotizzato a guardare i cerchi che disegnano senza nemmeno sbattere le ali. Questo genere di volatili mi affascinano visceralmente.
Riparto con estrema calma, salendo lá da dove prima vedevo scendere i cacciatori. Sono solo cinquanta metri in più, ma la visuale si allarga incredibilmente. Tornando sulle tracce del GR per gli ultimi chilometri, inizio a scendere verso la larga valle del fiume Adour, dove si trova la mia destinazione: Bagnères-de-Bigorre.
Prima di arrivare in fondo, attraverso il bel paesino di Gerde, a mezza costa.
Mentre sto camminando per una stretta viuzza osservando i dettagli delle abitazioni, sento un profumo intenso e inconfondibile entrarmi nelle narici. Senza nemmeno pensare, ruoto la testa tutt’intorno per capire da dove venga e, affacciato ad una finestrella al primo piano, vedo un ragazzo sorridente che mi saluta con in mano quello che sospettavo. Restituisco il saluto e mi complimento per la qualitá, strappandogli una risata. Mai mi sarei immaginato di trovarmi ad associare un luogo simile al profumo di marijuana. Questo cammino non smette mai di regalare sorprese.
A due passi dal fiume, camminando placido tra campi di granoturco, contemplo i monti in cima alla valle. I primi sono completamente verdi, ma dietro di loro ne spunta uno molto più alto e già parecchio innevato; credo sia il Pic-du-Midi-de-Bigorre, alto quasi tremila metri: uno spettacolo straordinario. Da queste parti chi ama la natura ha davvero di che divertirsi.
Dopo l’ultimo chilometro, eccomi a destinazione.
Suono alla porta della chambre d’hôte “Au chat ronfleur” (letteralmente: Il gatto che russa) poco dopo l’una, e mi accoglie con gran garbo il signor Yoris. La stanza è bellissima e spaziosa, e infatti è per tre, ma la stagione è bassa e le restrizioni legate al Covid fanno anche qui la loro parte.
Poche ore dopo sono a spasso per la bellissima cittadina. Scelgo di partire dall’ufficio turistico: di certo lì hanno una una mappa turistica. Nella maggior parte dei casi amo affidarmi all’istinto quando visito una nuova città, ma a volte la vocazione turistica di un luogo va assecondata, soprattutto quando si capisce che c’è un patrimonio particolarmente speciale e tanta attenzione da parte della comunità nel volerlo valorizzare. Il secondo aspetto che mi spinge a muovermi in questo modo è sempre l’ampiezza dell’abitato: se è troppo grande perché io lo possa visitare in poche ore, allora preferisco perdermici; se invece è di dimensioni ridotte come in questo caso, ne approfitto per fare un tour mirato. È un approccio come un altro, ma a me dá sempre soddisfazione.
Prima meta è quella che più pare contraddistinguere la città: le grandi terme. La cura estetica dei luoghi pubblici e degli edifici è davvero ammirevole. Ci sono architetture di epoche diverse, spesso molto colorate e comunque sempre eleganti. Scopro un museo non male e anche la presenza di un casinò. Non manca un’antica chiesa e una bellissima torre proprio in mezzo alla città. Mi ricorda quella di Apt, anche se lo stile è differente.
La sorpresa più grande, però, arriva all’interno di un paio di parchi contigui, dove incontro degli alberi ancora più grandi di quello visto ieri a Lortet. Leggo che si tratta di sequoie giganti, che in questo caso superano i 35 metri. Quando mi metto a fotografarle come mio solito, noto di essere tenuto d’occhio sospettosamente da una mamma i cui figli piccoli stanno giocando proprio ai piedi di quei colossi. “Forse mi vede come un malintenzionato”, penso tra me. Rendendomi conto che sarebbe complicato spiegarle, scelgo di rinunciare. Il mio francese non è sufficiente per uscire facilmente da un fraintendimento tanto grave nel bel mezzo di un luogo pubblico.
Concludo il mio tour in un supermercato molto fuori dal centro, ma come sempre tutta questa bellezza riesce a non farmi sentire la fatica dei chilometri supplementari. Ormai non resta che tornare nella tana del “Gatto russatore” e godermi in pieno relax le ultime ore della giornata.