(Hotel La Posada)
24km
Stamattina di sveglie ne suonano tre diverse: tre suonerie e tre modi distinti di alzarsi. Tiziano è molto ben organizzato ed efficiente: si alza al volo, gestisce tutto con ordine e si prepara in un batter d’occhio. Amedeo fa molta più fatica ed è piuttosto disordinato; il risultato è che sarà di gran lunga il più lento. Io un po’ una via di mezzo.
Da basso ci aspetta Patrizia. È incredibilmente raggiante, soprattutto vista l’ora. Non c’è alcun dubbio, questo lavoro le calza a pennello. Dopo un’ottima colazione e prima di lasciarci, ci propone una foto di rito davanti alla porta dell’albergue. L’idea ci piace, e ci mettiamo in posa volentieri. Siamo ben assortiti, da tutti i punti di vista: per il colore dei capelli, i mille altri dei vestiti e degli zaini, abbiamo altezze diverse, corporature, pose differenti. In comune sembra resti giusto la nazionalità, ma non solo: su ognuno dei nostri volti brilla anche un gran sorriso entusiasta, e con quello della nostra speciale hospitalera fanno quattro.
L’ora è arrivata. Salutiamo Patrizia e muoviamo i primi passi con un’eccitazione fuori dal comune. Questa è la prima tappa del Francés, il Cammino per antonomasia. Non importa io abbia già camminato per quasi nove settimane: qui comincia qualcosa di radicalmente nuovo.
Sono le 8 e in paese non si vede ancora quasi nessuno. Guardo il pavè di Rue de la Citadelle pensando a tutti i pellegrini che l’hanno calpestato prima di noi – oggi, quest’anno, quello prima o gli ultimi mille. Sono suggestioni imponenti. Questo piccolo luogo suda Storia e storie.
La prospettiva delle case ai nostri lati converge verso la porta di Notre-Dame-du-Bout-du-Pont, sormontata dal campanile e dal suo piccolo orologio. La chiesa è aperta e ci entro per pochi secondi – il tempo di un grazie.
Raggiungo poi i due compagni con qualche passo spedito, superando l’arco e trovandomi sul ponte, …quel ponte!
Continuiamo poi lungo la seconda parte del borgo, uscendo infine da un’altra antica porta.
Alla prima svolta già cominciamo a salire e a scaldarci con quel po’ di fatica in più. Le abitazioni sono poche e c’è tanto verde. Sono tutte curatissime, e mantengono lo stile estetico che ormai ho imparato a conoscere e che continua ad incantarmi.
Man mano che proseguiamo, la campagna prende il sopravvento e si iniziano a vedere i primi scorci sulle colline circostanti. Le case, poi, lasciano il posto alle fattorie; i campi e i pascoli s’ingigantiscono. Camminiamo sempre ben esposti, percui più saliamo più i panorami si ampliano: è uno spettacolo fantastico.
Il sole ha fatto arrossire i monti verso cui ci stiamo dirigendo, ma in meno di un’ora arriva finalmente anche da noi. Tiziano ne è particolarmente felice: l’unica altra volta che aveva percorso questa tappa, c’era la neve e un tempo da lupi. Ci racconta di quella folle e pericolosa esperienza, condivisa con alcuni altri pellegrini. Ci mostra qualche foto e fatichiamo a credere siano gli stessi luoghi che stiamo attraversando ora.
Cammino ammaliato dai fascinosi pendii tondeggianti, divisi in riquadri da filari e recinti. La strada è un tappeto srotolato su questo paradiso e sembra di poterci scivolare sopra.
A percorrerla, ci sono diversi altri pellegrini: qui una coppia, là uno da solo. Che strano effetto: da un giorno all’altro sono diventato parte di un flusso, di una corrente d’uomini e passi!
In questi paesaggi grandiosi, sono toccanti le piccole sagome dei compagni che ancora non abbiamo raggiunto – tanto simili e diverse allo stesso tempo. Da lontano, li vediamo fermarsi e girar la testa verso valle, restare sospesi qualche secondo in contemplazione. A volte imangono immobili fino a che li superiamo. Chissà, magari è solo per fatica. È un’alternanza a cui sono così poco abituato, e porta a continui incontri, saluti, a qualche battuta. Nessuno ha fretta, non se ne può umanamente avere in una giornata del genere, lungo questa rotta appena cominciata.
Per me, un’altra grande novità è data dalla concentrazione che non devo più dedicare al percorso. Non so nemmeno se i sagnali siano molti o sufficienti; non ci guardo perché già da ieri ho preso una decisione con gran naturalezza: affidarmi alla preparazione e all’esperienza di Tiziano. Era un privilegio irresistibile e ora posso camminare con molta più leggerezza, senza dover piegarmi così spesso sullo schermo del telefono a zoomare mappe per cercar direzioni e corrispondenze. Non so come andrà domani, e nemmeno come finirà oggi. Non so se e quando le nostre strade si divideranno, ma in questo momento – almeno adesso – è davvero un sollievo. Con Amedeo, poi, forma una coppia esilarante, e la meraviglia si mescola all’allegria.
Chiacchierando, scopro anche che due anni prima Tiziano aveva camminato molto con Claudio Pellizzeni, un travel blogger. È suo il videocorso che ho seguito questo giugno e che mi ha dato alcuni degli stimoli chiave per lasciare tutto e partire. Che bella casualità!
Già, casualità: qui questa parola è poco apprezzata, perché un po’ tutti preferiscono pensare che il Cammino – soprattutto il Francès – sia un luogo in cui poco niente capita per caso. Spero anch’io di trovarne conferma, ancor più di quanto non sia già successo nei due mesi passati.
Finora, però, ammetto che raramente il mio affidamento agli eventi è stato davvero radicale. Piuttosto, mi sono sforzato spesso a determinarli, contenerli, indirizzarli: è una parte di me che non posso negare. In generale, è un comportamento che nasce dalla paura: cerco il controllo e la sicurezza per armarmi contro le minacce della vita, perché ancora non riesco a vederla come una madre accogliente.
Spero ci sarà acnora tempo per mettersi alla prova, sperimentandosi in modo nuovo attraverso questa viandanza così eccitante.
Raggiungiamo il rifugio di Orisson, con la sua grandissima terrazza panoramica, e decidiamo di fare una pausa godendoci il paesaggio. Non mi sembra vera tutta questa rilassatezza! Vero è che la tappa di oggi si sviluppa su 1000 m di dislivello – non certo poco – però è breve rispetto alle ultime, solo 24 km. Sono curioso di vedere come risponderà il corpo.
In questo momento, in realtà, sta scalpitando. È abituato a camminare per molte ore di fila e fatica a sopportare una pausa così lunga, ma è solo questione di contenerlo un po’.
Mentre mi guardo un po’ in giro, vedo arrivare una pellegrina tutta sola, che sembra già un po’ affaticata. Tiziano mi coglie di sorpresa, mettendosi a salutarla animatamente: si chiama Zoe, è italiana e si sono conosciuti all’aeroporto di Lourdes l’altroieri. È giovanissima, ha 18 anni, e qualcosa in lei mi colpisce molto. Non un singolo particolare, in realtà. È come se d’istinto la percepissi portatrice di qualcosa di speciale: una sensazione nebulosa ma acuta.
Preferisce non fermarsi. Ce lo dice con cortesia, ma senza nessun sorriso inutile. La guardo ripartire con una certa fatica e tanta determinazione.
Poco dopo, anche noi riprendiamo il cammino con grande calma. Ogni chilometro sembra più affascinante. Gli elementi del paesaggio restano simili, ma lentamente tutto sembra diventare più essenziale. In alcuni tratti, se non fosse per la striscia d’asfalto che stiamo percorrendo, quasi non ci sarebbe traccia del passaggio dell’uomo.
È un’ambientazione già paradisiaca di per sè, ma da un certo punto in poi si impreziosisce anche della presenza di alcuni cavalli lasciati liberi di brucare su queste cupole verdi.
Dopo 11 km ci regaliamo un’altra pausa presso una specie di sella dove si incrociano alcune vie. La vista da entrambi i lati è mozzafiato, e infatti non è certo per la stanchezza che abbiamo deciso di fermarci.
Su una piccola cresta rocciosa, svetta la statuetta della Vierge de Biakorri. Su quelle rocce resto una decina di minuti, senza parole di fronte all’ampiezza e alla dolce imponenza dei Pirenei.
Abbiamo superato i 1000 m d’altitudine e non è stato per niente difficile. Il sole scalda a tal punto da poter stare tranquillamente a mezze maniche.
In cielo non mancano grossi rapaci a rendere ancor più magica l’atmosfera, e riconosciamo addirittura alcuni grandissimi grifoni. Non ne avevo mai visti, e resto ad osservarli per alcuni minuto, completamente ammutolito.
D’un tratto, inizio a vivere del disagio per l’eccessivo prolungarsi della pausa.
Io per pigrizia e Amedeo per affidamento legato all’inesperienza, stiamo lasciando a Tiziano la gestione quasi esclusiva della tappa – pause comprese. Lui sembra particolarmente a suo agio nel ruolo, ma legittimamente sta rispondendo alle proprie esigenze. Mi sforzo di accettare la cosa senza contestare, anche perché mi è chiaro fin da subito che non ci sarebbe proprio nulla da recriminare: d’altronde siamo qui ciascuno in piena libertà e autonomia.
Tornati in moto, percorriamo gli ultimi chilometri asfaltati fino alla bassa Cruz de Thibault. Alle 14 circa, a ormai 1300 m di altitudine e lungo un semplice sentiero, ci imbattiamo in una grande lapide scura. La scritta Navarra non lascia spazio a dubbi: siamo entrati ufficialmente in Spagna!! Che effetto strano: provo un brivido d’emozione e una vertigine, come e più di quella vissuta per l’ingresso in Francia.
Coi due amici esplodiamo in grandi risate ed esultanze. Siamo appena partiti e già abbiamo attraversato un confine così importante.
Come fu dopo l’addio all’Italia, ancora una volta vivo un’inattesa variazione nella vegetazione, entrando in un bosco meraviglioso e diverso da qualsiasi altro attraversato fin qui. Ci camminiamo con incredibile gusto per quasi un’ora e, uscendone, incontriamo il minuscolo rifugio Izandorre. Tiziano ci racconta che è proprio qui che aveva trovato riparo dalla neve due anni fa, insieme a vari altri pellegrini matti come lui. Io e Amedeo ci divertiamo qualche minuto ad immaginare la scena, mentre leggiamo qualcuno dei mille messaggi scritti sulle pareti interne.
Non più di mezz’ora dopo, raggiungiamo il Collado Lepoeder: è il punto più alto della tappa di oggi, più o meno a 1400 m d’altitudine. Ci arriviamo in buone condizioni e con gran felicità. Dicono che questa tappa sia una delle più belle del cammino. Se è così, devo dire che ce la stiamo godendo come merita.
Da qui parte la strada asfaltata consigliata dall’Officina del pellegrino di Saint-Jean. L’alternativa è scendere attraverso un altro grande bosco, seguendo un sentiero minimamente ripido. Non c’è nemmeno bisogno di parlarne, siamo tutti e tre della stessa idea e ci tuffiamo entusiasti tra gli alti alberi, scoprendo un luogo magico che si sviluppa per diversi chilometri.
Sbuchiamo infine nei pressi di un ponticello di legno, oltre il quale ci aspetta l’imponente complesso della Real Collegiata. Siamo arrivati!
Una parola in particolare è risuonata parecchio nelle ultime ore: cerveza! È tempo di brindare, e i tavoli all’aperto della Posada sono lì che ci aspettano, occupati tutti da turisti e altri pellegrini. A qualcuno potrebbe sembrare assurdo, ma non mi ero mai regalato un boccale di birra fredda a fine tappa. Farlo oggi, in compagnia di due persone che hanno camminato tutta la giornata con me, è un piacere semplice e unico.
Andiamo poi a registrarci all’hotel. In questo periodo storico i pellegrini sono troppo pochi e la Collegiata risulta inadeguata perché troppo grande, così si è accordata con la Posada per offrire alloggio in forma economica.
Non essendoci ancora conosciuti, ieri abbiamo prenotato separatamente, cosicché ci vengono assegnate due stanze differenti. Ci diamo appuntamento nella sala del ristorante per la cena. Io inizialmente avevo progettato di mangiare il mio solito cibo in scatola per risparmiare, ma l’occasione e l’atmosfera sono talmente preziose che ho ceduto a un pasto caldo in compagnia.
Dopo la doccia, riesco a trovare qualche minuto per vedere il mio primo tramonto spagnolo e fare almeno capolino nella storica chiesa di Santa Maria.
All’ora di cena, aspetto per un po’ i due compagni, ma tardano molto ad arrivare e il personale di sala mostra parecchia insofferenza ai miei tentennamenti. Alla fine decido di lasciarmi condurre dove c’è posto. Vengo fatto sedere con una numerosissima famiglia francese, e subito attacco bottone con i genitori. Si dicono molto credenti, e mi spiegano che ogni anno affrontano qualche giorno di pellegrinaggio insieme ai figli, alcuni dei quali molto piccoli.
A cena inoltrata, arrivano finalmente anche Amedeo e Tiziano, che confessano di essersi appisolati. Vengono fatti accomodare ad un tavolo per due, e li raggiungo dopo il dessert per gli ultimi brindisi col buon vino della casa.
Mi spiegano che la loro camera è grande, che sono solo loro due ma c’è un letto in più, se mi andasse. Non sarebbe utilizzabile per via delle misure di sicurezza, ma mi lascio convincere. Sposto le mie cose mentre loro vanno a fumarsi una sigaretta.
Aperta la porta della stanza, però, vengo investito da un’ondata di calore inaspettato: i caloriferi vanno all’impazzata e sembra di stare in una sauna. Si soffoca davvero e non trovo nemmeno come regolarli, così apro subito le finestre. Se continuerà così, stanotte potremo sicuramente dormire senza sacco a pelo.
Una decina di minuti dopo tornano i ragazzi, belli allegri. Quattro risate e spegniamo le luci. Prima di dormire, ciascuno si perde un po’ nel proprio cellulare – per scrivere messaggi, diari, postare fotografie o solamente per distrarsi. Infine, ci auguriamo finalmente la buona notte e lasciamo calare il sipario su questa prima giornata spagnola.