Info Racconto Extra
cammino di santiago - roberto pesenti

19/10 Roncisvalle – Zubiri

(Albergue Rio Arga)
21,5km

La notte non è stata delle migliori. I caloriferi non hanno mai smesso di funzionare e l’aria fredda che entrava dalla finestra ha creato solo una corrente altrettanto fastidiosa. A questo cammino continua a mancare una bella infilata di dormite riposanti, e sembra che nemmeno tornare a condividere una stanza sia bastato a inaugurare un’inversione di marcia. Poco male, comunque; almeno non va peggio. Anzi, a pari condizioni, adesso posso farmi qualche risata fin dalla mattina presto, cosa che mi dà gran gusto.

Messo il naso fuori dalla stanza, mi gusto il gran fermento che anima l’hotel: un brulichio di pellegrini di ogni genere vanno e vengono con i propri zaini. Siamo tutti differenti, ma uniti nella stessa avventura.
Credo che tutto questo si decuplichi in un anno normale. Innanzitutto immagino avrei dormito nella grande camerata della Collegiata, e non qui alla Posada. I pellegrini sarebbero stati un’infinità e ogni cosa di conseguenza. Ma non è molto utile star troppo a pensarci. La verità è che dobbiamo tutti ringraziare il cielo di poter essere qui oggi, ognuno a godersi la propria “sana imprudenza”.

Dopo la colazione, faccio ancora una scappata nella bella chiesa dove già avevo fatto capolino ieri. Il tempo non è molto, ma inginocchiarsi a sancire la propria gratitudine non è mai una cattiva idea.
Al mio ritorno, gli amici di Laigueglia già scalpitano nella frescura del mattino. Sopra di noi, il cielo è occupato solo da qualche nuvola sottile, e le previsioni dicono che il clima non dovrebbe peggiorare.

Il momento cruciale prima di partire è la foto ricordo al celeberrimo cartello sul quale campeggiano il nome della nostra meta e la distanza che ce ne separa: “SANTIAGO DE COMPOSTELA 790”. Mi sorprende percepire che il mio cuore non sia per nulla intimorito da quella cifra. La sento assolutamente alla mia portata. Che bellezza! È il frutto di queste prime nove settimane di cammino, una prova che qualcosa già è cambiato.
Può sembrar scontato, oppure irrilevante, ma chi lo dice che un viaggio per forza riesca a cambiarti? Io ho parti di me dure come sassi, e non credo di essere l’unico. Ogni trasformazione per me è un dono, e ho compreso da tempo che non è saggio sottovalutare quelle di minor portata, perchè spesso si rivelano indispensabili per innescare i mutamenti più radicali.

La vista di Tiziano che si fa fotografare di spalle accanto al cartello, mi catapulta fuori dalla mia bolla di pensieri. Sta mimando un passo, quello della partenza di stamane. Dice che ne ha una uguale fatta la scorsa volta, quando tutto qui era innevato. Bell’idea farne una seconda allo stesso modo! Dice che la posterà. È molto attivo sui social, e in particolare su un gruppo italiano dedicato al Cammino di Santiago. Mi ci sono iscritto anch’io, ma non posto praticamente mai.

Per quanto mi riguarda, continuo a condividere una selezione di foto del giorno solo attraverso lo stato Whatsapp. I post restano visibili per 24 ore e li possono vedere solo le persone che ho salvate in rubrica. È una condivisione oggettivamente più intima, e il fatto che svaniscano giorno per giorno ho trovato conferma contribuisca a trasmettere la incessante dinamicità di questo viaggio.
Molti mi hanno ringraziato per questo; è stato un po’ strano. Addirittura, le poche volte che ho aspettato la mattina anziché la sera per pubblicare le immagini, più d’uno mi ha chiesto se andava tutto bene, se era successo qualcosa. Non me lo sarei mai aspettato.

Tiziano è da quattro anni che condivide sul web tracce dei suoi viaggi. Dice che gli hanno permesso di conoscere molte persone, anche dal vivo, e da quello sono nate diverse opportunità concrete, alcune delle quali è riuscito a concretizzarle. Riguardo al gruppo Facebook, tra l’altro, è in contatto diretto con l’amministratrice, che sembra essere eccezionalmente disponibile ed aggiornata su tutte le novità riguardanti questo periodo matto.

Quanti pensieri, e non siamo ancora partiti! Tra l’altro sono le 8:40: non ho mai cominciato così tardi a camminare. C’è da dire, però, che la tappa di oggi è di soli 21 km, e pure molto accessibili. E poi, dopo il dislivello di ieri di cosa potremmo mai preoccuparci?
Partenza, quindi!

Da un sentiero a lato strada, entriamo in una boscaglia non incantevole, sbucando poi alla periferia della piccola Burguete. Incontriamo subito un negozio di alimentari. Io ormai ho l’abitudine di approfittarne per far scorta di pane  e altro cibo a buon prezzo. È un approccio associato alla lunghezza del mio viaggio e alla necessità di fare economia. I due compagni, invece, non sembrano troppo della stessa idea. È più che comprensibile visto che cammineranno “solo” lungo il  Francés, che anche con la pandemia dovrebbe offrire comunque ottimo sostegno ai pellegrini – sia per gli alloggi che per il vitto. Alla fine, però, cedono alla golosità e comprano comunque qualche stuzzicheria per uno spuntino a metà mattina.

Il pueblo non è per niente male; si sviluppa quasi interamente attorno a una via centrale. Esteticamente, ritrovo lo stile basco conosciuto in questi giorni, con una cura minuziosa di facciate e piccole aree verdi.
Seguendo le famose frecce gialle dipinte qua e là, prendiamo una svolta che in un baleno ci fa lasciare l’abitato e ci conduce tra campi, pascoli e qualche fattoria.


Dopo un tratto di bosco, poi, arriviamo in un paesino simile al precedente: Espinal. Qui troviamo un bar incastrato in fondo ad una piazzetta laterale, che ci ha attratti con un’inattesa musica jazz trasmessa delle casse esterne. Con nostro grande piacere, poi, siamo presto raggiunti anche dalla mitica Zoe.

Rinvigoriti e conosciutici anche un po’ meglio, lasciamo quindi il villaggio tornando ancora tra prati verdi, e iniziando pian piano a salire.
Non vorrei sbagliarmi, ma credo sia da queste parti che incontriamo il nostro primo mojón. Così si chiama in Spagna il cippo, la colonnina in pietra posta al bordo della via, quella che la identifica.

Superato un altro bosco, sbuchiamo su una grande terrazza erbosa che ci regala una vista sulla valle sottostante. La tappa di oggi, in realtà, soffre parecchio il confronto con quella di ieri, e anche uno scorcio non memorabile come questo ha almeno il pregio di rievocare le ore di ininterrotta meraviglia vissute sulla strada per Roncisvalle.

Durante la discesa nel bosco, incontriamo un sentiero addirittura lastricato. Forse un vezzo, oppure un modo per non dover fare troppa manutenzione a un percorso che ospita usualmente migliaia e migliaia di persone, chissà.
Gli attraversamenti di Bizkarreta e Lintzoain non sono memorabili, e oltre quelli non rimane che superare l’ultima stringa collinare, con un’area boschiva ancor più estesa delle precedenti.
A tre quarti della traversata si passa per il Puerto de Erro, un ampio crocevia posto al centro di una sella. Ormai non rimane altro che proseguire in lenta discesa verso la nostra meta di oggi: Zubiri.

Ci arrivo da solo, in anticipo sui miei due compagni di viaggio. Il motivo, però, non è solo la differenza di passo; la verità è che mi sono proprio voluto staccare. L’inesauribile goliardia di Tiziano e Amedeo è un ingrediente nuovo e già preziosissimo, ma questi due mesi mi hanno tolto ogni dubbio: dentro me convivono e si alternano un’affamata estroversione e un’anima da vero orso.
Non voglio essere frainteso: sono innamorato della ricchezza che riconosco negli altri e mi entusiasma l’imprevedibilità della condivisione profonda, eppure il cammino solitario sembra sapermi regalare qualcosa di unico. Parlo di un’armonia straordinaria, di cui sembrerebbe sia diventato dipendente.

Dopo l’esperienza con Fabian tra Arles e Montpellier, mi trovo ancora a verificare quello che forse è un assioma dei grandi viaggi a piedi, e probabilmente anche della vita: ciascuno ha un assoluto diritto di vivere l’esperienza in profonda libertà. Questo comporta la responsabilità di ascoltarsi e creare le migliori condizioni per beneficiare di questo avanzare lento, nutriente e poetico, senza dimenticare mai di garantire a chi si ha di fianco di poter godere della medesima opportunità.

Zubiri accoglie i pellegrini col suo iconico ponte gotico sopra il fiume Arga. Seduta su quelle pietre scolpite secoli prima, trovo una ragazza tedesca incontrata ieri tra le cime verdi dei Pirenei. Con lei c’è un ragazzo di non so quale nazionalità. Durante la tappa stavano assieme ad altri, ma evidentemente anche il loro gruppo si è sfaldato.
Nel giro di pochi minuti arrivano anche i due baldi liguri, e poco dopo un giovane esageratamente distrutto dalla tappa – che a onor del vero non era certo proibitiva.

Tiziano convince Amedeo ad approfittare dell’acqua fredda del fiume per rimettere in sesto i piedi, e in effetti poi tornano entrambi rigenerati ed euforici. Mi rendo conto che in due mesi  – incredibilmente – non ho mai fatto nemmeno questo, e scelgo anch’io di provare. Si unisce a me anche Zoe, arrivata da poco e molto dolorante proprio ai piedi. È un’ottima occasione per continuare a conoscerci, e in ogni cosa che mi racconta trovo una piccola conferma delle belle sensazioni già percepite ieri.

Per questa notte, io e i due ragazzi abbiamo prenotato una stanza al Rio Arga, l’albergue che sta esattamente al termine del ponte. Prima di registrarci, però, facciamo tappa ad un bar in fondo a una piccola laterale per una meritata cerveza.

Consumato il rito con la dovuta calma, raggiungiamo poi l’alloggio. Non è niente male; l’unico inconveniente è che la cucina non si può usare per via delle restrizioni legate al virus. Anche qui, come ieri e il giorno prima, ci vengono consegnate lenzuolo e federa usa-e-getta, e credo sarà inevitabilmente così per tutto il resto del cammino.

Nelle ore successive, arriva un altro trio oltre al nostro, ma tutto al femminile: due donne e una ragazza. La maggiore si chiama Serena, ed è veneta. Mi spiega che tutte e tre stanno sperimentando un’esperienza comunitaria qui in Navarra, assieme ad una famiglia e poche altre persone: una convivenza laica incentrata sulla fede cristiana. Si accorgono subito che la cosa mi stuzzica, e ci promettiamo di riprendere il discorso a cena.
Per ultimi, raggiungono l’albergue anche due ragazzoni decisamente fuori dagli schemi. Uno porta capelli e barba lunghi e arruffati. È particolarmente imponente, con mani e piedi enormi, una mascella pronunciata, la voce profonda e un atteggiamento particolarmente spavaldo: sembra un antico vichingo catapultato chissà come in questo scombinato 2020. L’altro ha un cappello a tesa larga e un grande bavaglio, entrambi neri. Quando si scopre, mostra un volto completamente glabro, l’opposto del suo compare. Ha comunque connotati molto spiccati, soprattutto i due occhi: sembra quasi riesca a tenerli costantemente spalancati. Danno l’impressione di essere famelici come quelli di un serpente, e sembrano braccare gli sguardi altrui in maniera piuttosto inquietante. I loro zaini sono l’unico particolare che aiuta a capire siano pellegrini. Si fanno subito notare per un modo di fare arrogante con cui fanno pressione sul proprietario per ottenere un prezzo minore, inquinando molto il clima di pacata accoglienza che avevamo trovato.

Il vero tema di questo pomeriggio, però, è la notizia preoccupante che Tiziano ha appena ricevuto: pare che la Spagna stia per intraprendere delle misure serissime per contrastatare la nuova diffusione del virus. L’ordinanza che più ci coinvolge è la chiusura di Burgos, uno dei punti di passaggio più noti del Francès nonché capoluogo della Castilla y León.
Proviamo a chiedere all’albergatore se può darcene conferma o aggiornarci su eventuali evoluzioni in corso. Purtroppo però l’anziano signore che gestisce il posto – dal nome particolarmente calzante di Santiago – sembra saperne quanto noi. Tra l’altro, poco dopo lascia l’albergue senza nemmeno aver prima tentato di fare una telefonata di verifica.

Chiaramente in tutti quantoi inizia ad insinuarsi una vaga preoccupazione, ma nelle ore successive arrivano anche altre notizie, decisamente più allarmanti della prima: sembra infatti sia imminente una chiusura dell’intera regione della Navarra, come ulteriore contromisura alla nuova ondata pandemica.
Cerchiamo di rimanere calmi, ma è sempre più difficile. La regione è molto grande e sono necessari circa cinque giorni di cammino per uscirne. Ahinoi, però, l’ipotetica chiusura avverrebbe prima, forse già dopodomani.

Con l’ora di cena arriva l’ufficialità della notizia: ci restano due giorni per uscire dalla regione, altrimenti rischiamo di rimanerci incastrati. Chiaramente iniziamo tutti a discutere per considerare insieme le varie possibilità.
Visto l’ordine di non poter usare la cucina, stiamo tutti intorno al tavolo mangiando panini o altre cose combinate alla bell’e meglio. L’opzione più quotata sembra quella di raggiungere domani Pamplona – come da programma – e là riaggiornarci, sicuri che in una città così grande le informazioni saranno ancora più precise. Quello in cui confidiamo, infatti, è che venga offerta ai pellegrini la possibilità di continuare normalmente, ma siamo coscienti che non sarà per nulla facile che questo si realizzi.

Mentre alterniamo interventi e bocconi, veniamo raggiunti dai due ultimi arrivati, che sembrano ostentare lo stesso atteggiamento abbastanza rude e poco socievole mostrato al loro arrivo. L’ambiente si vela di un nitido disagio, soprattutto perché cominciano a cucinare fregandosene totalmente degli accordi presi. Glielo faccio notare, e il vichingo mi risponde con fare sbruffone se io voglia forse punirlo (questa l’esatta traduzione), lasciandomi di stucco. A tavola, poi, il suo compare interviene con battute provocatorie e pungenti, come se cercasse di aizzare ciascuno piuttosto che contribuire a trovare una soluzione. Da parte sua, dichiara che non ha problemi a prendere un autobus, perché l’idea di spezzare il cammino non gli crea nessun problema. L’opinione è interessante e scelgo di spingerlo ad aprirsi. Cerco il dialogo anche per non andarmene da zittitto, cosa che mi brucierebbe non poco. Lui mette in campo un approccio fatto di deviazioni di tema e colpi bassi – come insinuazioni e allusioni provocatorie – ma io reggo bene e rilancio senza abbassare gli occhi. L’impressione è che la cosa produca effetto: il clima è da partita di scacchi. Nessuno dei due, però, arriva allo scacco matto. Io scelgo di lasciare il tavolo in un momento favorevole della discussione, quando lo strano tipo è rimasto un po’ a corto di battute e allo stesso tempo Serena ha cominciato a inserirsi con decisione.
Tiziano e Amedeo sono già ritornati in camera da un pezzo, e prima che anch’io lasci il refettorio le ragazze mi fanno promettere di continuare domani a Pamplona il discorso rimasto aperto sulla loro comunità.
Inaspettatamente, anche Adam – il vichingo – mi congeda con parole di rispetto. Era stato in silenzio molto più dell’amico, e ha ascoltato tutto con attenzione. Ne approfitto per conoscerlo un pizzico più a fondo, e da lacuni dettagli del suo esprimersi colgo una profondità che fino a poco fa era riuscito a cammuffare perfettamente. Ora che è calmo e aperto, trasmette un intenso mix di virilità, intelligenza e sensibilità, come mai ne ho percepiti in altri. Ci lasciamo con una stretta di mano carica di stima reciproca. Saluto infine anche il mio “avversario”, ancora tutto impegnato a battibeccare. Mi risponde con un sorriso di chi pare abbia gradito il contenzioso.

La mia serata prosegue poi in stanza, con Tiziano e Amedeo. Restiamo svegli ancora parecchio, lottando contro la stanchezza e tentando di considerare tutte le possibilità a nostra disposizione. Per quanto mi riguarda, fatico enormemente ad accettare di saltare altre tappe dopo quel paio che già avevo perso in Francia. Loro cercano di farmi ragionare sul fatto che quello che sta succedendo è troppo grande per noi e non è saggio io mi ostini, ma mentre parliamo sono già piegato sullo smartphone per capire come potrei raggiungere in due giorni il Camino del Norte, sulla costa settentrionale.
Consideriamo anche l’eventualità – non così assurda – che a queste chiusure ne seguiranno altre a catena, e che il nostro viaggio dovrà presto o tardi interrompersi. In quel caso siamo tutti d’accordo sul fatto che non torneremmo comunque a casa, e la serata si conclude tra strampalate idee di fuga: loro verso il Portogallo e io addirittura a studiare il francese in Marocco!

64_ZubiriDownload

Categorie:

Navarra, Spagna