Info Racconto Extra
cammino di santiago - roberto pesenti

28/08 Albonese – Vercelli

(Ospitale Sancti Eusebi)
30km

Ho dormito senza svegliarmi mai, cosa molto rara. Adriana, invece, deve aver passato una nottataccia, ma è invasa d’amore per i suoi cani sofferenti e accetta queste prove dando tutta sé stessa.

Fatta colazione e raccolta la mia roba, ci salutiamo sulla soglia, consapevoli e felici che il nostro sia stato un incontro pieno di intensa umanità. Io ancora una volta ho vestito i panni di colui che ha ricevuto, ma sto capendo sempre meglio che è fondamentale per imparare poi a restituire, quando la vita invertirà i ruoli.
Una volta in strada, con il ginocchio fasciato dal tutore e senza traccia del solito fastidio, avanzo con gli occhi lucidi. Può sembrare esagerato, ma è vera gioia, è gratitudine. Sento che la vita mi sta sostenendo.

Strisce bianche, disegnate da poco sull’asfalto nuovo, indicano la via con tutta la loro nitidezza. A entrambi i lati della strada, folte sponde erbose camuffano i canali di irrigazione. Oltre quelle soglie, si stendono gli immensi tappeti gialli delle risaie, con solo qualche albero a far da sentinella lungo i loro bordi.
Prima carta da zucchero, il cielo si lascia dipingere dall’aurora con pennellate sempre più calde, fino all’arrivo di un sole microscopico. Poco importa sia piccolo o grande, basta quel punto appena svegliatosi per acquerellare tutto il visibile, prima con un velo magenta e poi arancione.
Avanzo sul bordo della strada, continuando a fermarmi e girarmi verso quello spettacolo, per poi riprendere la rotta e ricadere poco dopo nella tentazione di un ultimo sguardo. Per quanto sembri assurdo, rimango “imprigionato” per non meno di un quarto d’ora in questa buffa coreografia dello stupore.

A Nicorvo, primo paese dopo Albonese torno a solcare la Francigena.
Condotto tra i campi, incontro stormi di cicogne e di altri uccelli dai corpi sinuosi, con strani becchi neri ricurvi. Mi scervello sui motori di ricerca, convinto di averli già visti da qualche parte. Avevo ragione: sono Ibis sacri, proprio quelli egiziani, e, per la precisione, il profilo che ricordavo era quello del dio Thot. Sembra abitino anche da queste parti da pochi decenni, e che le risaie siano una straordinaria oasi di biodiversità aviaria. Ora che lo so, me ne accorgo sempre di più.

A Robbio mi fermo per una pausa all’ombra di alcuni alberi, di fianco a una antica chiesetta dedicata a San Pietro che mi scoccia molto trovare chiusa.
Verso l’uscita del paese, ne trovo un’altra: come la prima è vecchia di molti secoli e tutta in mattoni, cosa frequente da queste parti, ma ha in comune anche il fatto di essere serrata. Pazienza.

La fatica si fa sentire sempre più, mentre macino chilometri nell’ultima campagna lombarda. Qualche pioppeto e alcuni tratti meno scontati regalano un po’ di varietà al paesaggio, e la torre merlata di Palestro diventa un riferimento visuale fondamentale per concentrare tutte le energie che mi restano. È poco gratificante scoprire poi che non è un luogo visitabile, ma non mancano cose più importanti, come trovare una fontana e un posto dove fermarmi a riposare e mangiare qualcosa.
Lascio per un attimo il percorso ed entro in paese. Davanti alla chiesa incontro Maurizio, un pellegrino originario della Val di Susa. Scoprendo che sono diretto proprio lá, mi anticipa che rimarrò incantato dalla bellezza della sua terra. Ottima notizia! Tutto mi sta piacendo finora, ma affrontare la lenta salita verso le Alpi è qualcosa che aspetto particolarmente.
Lo lascio proseguire e vado a fare una siesta in un parco per bambini. Le panchine non sono tante e, visto che su una mi ci voglio sdraiare, attacco bottone per qualche istante con un nonno che vigila la nipotina, in modo da comunicare che sono innocuo e solo di passaggio. Forse mi faccio troppi problemi, ma in fondo le persone sembrano rassicurate quando mi presento loro, e a volte si fanno anche molto affabili, il che non è cosa da poco.

Lasciare Palestro corrisponde anche a superare il confine lombardo-piemontese, dopo quasi 300 km di cammino. Ho oltrepassato di gran lunga la distanza percorsa in Puglia a febbraio. Ricordo bene, allora, come già quei 190 km mi sembrassero un’infinità prima di partire. Guarda invece la vita che sorprese! Ovviamente anche la psiche è gratificata da questo traguardo. Non è solo una questione numerica, ma di rafforzamento della consapevolezza di potercela fare. Bellissime sensazioni!

Resto incantato dalle enormi risaie prima di Vercelli. La particolarità è il punto di vista dato dal sentiero che sto percorrendo, alcuni metri più alto dei campi. Mi permette di vedere ancora meglio quella distesa brillante gialla e verde, e tuffarmici con gli occhi.
All’orizzonte, vedo avvicinarsi man mano il profilo della città. Sono emozionato perché è uno snodo storicamente importantissimo per la Via Francigena. Qui, infatti, si uniscono due rami fondamentali: quello che arriva dal Gran San Bernardo e quello che invece si collega al valico del Monginevro, dove sono diretto io.

Gli ultimi chilometri sono un po’ frustranti: prima perché perdo una deviazione, poi a causa del dover camminare ai bordi di una strada molto trafficata. Seguendola, però, supero il fiume Sesia e finalemnte arrivo a muovere i primi passi in città.
Dopo non molto, l’inizio della pavimentazione lastricata introduce al centro storico, fino a Piazza Cavour. C’è poca gente e molte attività sono chiuse, ma riesco comunque a trovare un’ottima gelateria aperta e premiarmi per la trentina di chilometri camminati oggi. Sono stanco, ma il ginocchio è ancora in forma ed è come aver vinto alla lotteria.

Riconoscendo la mia inequivocabile tenuta, un passante mi indirizza spontaneamente al luogo principe dell’accoglienza pellegrina qui a Vercelli: l’Hospitale Sancti Eusebi. L’hospitalero si chiama Pietro, di Ancona, ed è all’ultimo dei suoi quattordici giorni di servizio volontario. Fin dalle prime battute, faccio conoscenza coi suoi modi rudi e la sua espressione perennemente accigliata, ma se è lì non c’è dubbio: sotto quella scorza si nasconde un animo caldo e generoso.
Questo bel pensiero inciampa per un attimo in qualche sua affermazione molto irruenta con cui dá per spacciato il mio progetto di raggiungere Santiago de Compostela. Dice di essere in stretto contatto con la rete di hospitaleros spagnoli e quindi non c’è speranza che io riesca ad arrivarci. È indiscutibile l’autorevolezza delle sue fonti, ma anch’io ne ho di dirette della Spagna e sono decisamente meno rigide nel giudicare la fattibilità del Cammino, per lo meno ora. Mi dice di fare pure come voglio, e che vedremo poi. Gli faccio intendere che gradirei fosse meno insolente, tentando di difendere almeno un po’ del buon umore con cui sono arrivato.

Mi accompagna alla stanza, che condivido con un giovanissimo comasco, Samuele. Ha vent’anni e sta andando in bici verso il Gran San Bernardo, per completare l’unica parte di Francigena che non era riuscito a percorrere nel tour precedente. Faccio una doccia e, tornato, ci conosciamo meglio. Scopro una persona davvero in gamba: sensibile, umile e intelligente. Nonostante l’età, ha già sofferto un lutto molto importante, ma proprio nel modo in cui lo sento parlare anche di quello trovo la conferma delle mie impressioni positive. È un gran piacere averlo incontrato.

Prima che sia troppo tardi, esco per comprare qualcosa e visitare altri angoli della città. La cosa che mi resta più impressa è la Basilica di Sant’Andrea, con il bel sagrato reticolato e la sua facciata grigio-verde che stacca moltissimo dal colore dei due campanili che la coronano: un’armonia inedita per me. Seppur le linee appartengano al passato, vivo la sensazione di essere di fronte a una costruzione moderna, non mi è mai capitato. Tutt’attorno, altri edifici rendono quell’area particolarmente elegante, e in mezzo alla piazza svettano alcuni alberi giganteschi. Vorrei tantissimo andare ad abbracciarne uno, ma rinuncio, imbarazzato da una cricca di adolescenti lì vicino.
Mi lascia un bel ricordo anche il Duomo, la cui facciata mi ricorda quella di San Giovanni in Laterano, ma in piccolo. Chissà se è un’eresia o c’è un fondo di veritá in questo abbinamento.
Nel complesso, a questa città riconosco grande eleganza, ma per qualche motivo non riesce a incantarmi. È come se mancasse di vitalità. Sarei molto felice di tornarci quando questa pandemia finirà e darle una seconda chance.

Stasera cenerò in ostello, e cucinerà proprio Pietro. Avendo capito che ci sono diversi altri ospiti, compro una bottiglia di buon vino.
Una volta tornato, faccio conoscenza con il resto della truppa. Ci sono tre ciclo-pellegrini: un irlandese, Tom, e due dall’Emilia-Romagna. Questi hanno avuto la mia stessa idea, portando a loro volta un gran bottiglione di rosso. Poi ci sono uno svizzero e un italiano a piedi: sono partiti divisi, ma stanno provando a proseguire insieme.
Siamo tutti maschi. Non è un privilegio né un problema: semplicemente ci godiamo l’atmosfera da ciurma piratesca, deliziati dalla cucina del nostro hospitalero e dal vino che scorre come niente fosse.
Età, direzioni, lingue e mezzi differenti, poco importa. Anzi, sembra che le differenze attorno a questa tavola alimentino la gioia della nostra festa.
Davvero non poteva esserci modo migliore di celebrare una tappa così significativa!

12_VercelliDownload

Categorie:

Italia, Piemonte