(Casa del Pellegrino – ospitalità parrocchiale)
27km
Mi sveglio di buon ora, mangiucchio qualcosa e raggiungo casa di Beppe, trovandolo fuori ad aspettarmi con altri due amici. Di certo fanno parte dell’associazione, perché portano tutti e tre la stessa maglietta.
Uno dei due è Luciano, il grande pellegrino di cui mi ha parlato il giorno prima, e l’altro si chiama Michele.
Mi confermano una cosa che aveva abbozzato ieri Beppe, cioè che potranno accompagnarmi solo fino a Sant’Ambrogio, dove inizia la salita per la Sacra. Sarà come un passaggio di testimone, visto che proprio lá dovrei trovare Sara ad aspettarmi.
Sembrano tutti ben felici di partire. Da parte mia, custodisco un senso di leggero disagio legato al fatto che non cammino con qualcuno da tempo, precisamente dalla partenza, quando Chiara e le altre mi fecero compagnia.
Oltretutto, in queste settimane per me la prima ora di marcia è diventata quasi sacra, emotivamente sempre molto intensa e gioiosa. Sono curioso di scoprire come andrà oggi.
Beppe è evidentemente un uomo che ama prendere iniziativa e dare forma benevolmente alle cose; ne trovo conferma anche stamattina, vedendo come da subito si pone di fianco a Michele, chiacchierando senza sosta solamente con lui. Mi pare lo faccia per permettere a me e Luciano di conoscerci e confrontarci fin da subito. È un gesto un po’ teatrale, ma simpatico.
Accetto il dono e rompo il ghiaccio col partner “assegnatomi”. Luciano si rivela fortunatamente un generoso narratore e mi parla appassionatamente di tutti i suoi cammini tanto audaci, che spero qui di appuntare fedelmente: è andato una prima volta a Santiago, poi successivamente ha fatto il cammino primitivo ed è tornato a piedi. E ancora, ha raggiunto l’Apostolo partendo da casa e tornato di nuovo “col due”, come ama dire. È una risposta molto simpatica che lui utilizza di fronte all’incredulità di chi gli chiede, appunto, come sia tornato dai suoi cammini: “Col due!”, come fosse un tram, mentre non sono altro che quelle due leve miracolose che natura ci ha dato per muoverci.
L’anno prossimo prevede di fare il cammino della Plata e, da Santiago, raggiungere poi addirittura Roma, ovviamente sempre a piedi. Che dire? Una vera vocazione tardiva, a quanto pare.
Parla sempre sorridendo, inanellando aneddoti divertenti e mostrando una memoria di ferro su tantissimi dettagli. Di quando in quando, gli pongo qualche domanda su cose che potrebbero essermi utili, e cerco di acciuffare ogni singolo dettaglio delle sue risposte, soprattutto riguardo al tratto francese, quello che temo di più.
Ascoltandolo, però, mi rendo anche conto che siamo due persone profondamente diverse, e non solo per l’età. La cosa di per sé sarebbe di certo fonte di arricchimento, ma purtroppo, invece, prendono forma nel dialogo dei piccoli attriti.
Ci spostiamo su temi differenti, ma la cosa non migliora. Al contrario, l’aria finisce col diventare un po’ elettrica, fino a che non trovo altra soluzione se non riprendermi un po’ il mio spazio.D’altronde non può bastare fare la stessa cosa per garantire una sicura sintonia, e il peregrinare, a quanto pare, non fa eccezione; ma va bene così.
Purtroppo, a questo piccolo imprevisto si aggiunge anche il fatto che soffro terribilmente il loro passo spedito. Sono più giovane, è vero, ma ho anche uno zaino che – ogni giorno di più – mi rendo conto essere davvero troppo pesante per me. Oltretutto, sarebbe mia abitudine anche rallentare di fronte a scenari particolarmente belli, perchè ho proprio il bisogno di goderli, di mettermici in relazione. Questa, però, non sembra essere un’esigenza condivisa dai miei compagni, e decido di onorare la loro presenza oggi allineandomi al loro passo.
I paesaggi sono splendidi. La giornata valorizza al massimo il fascino di questo primo tratto di valle, tanto aperto e soleggiato. Ancor prima delle otto, iniziamo già a vedere la Sacra di San Michele in lontananza.
Il sentiero si alterna a strade asfaltate; è semplice e piacevole da percorrere. Sull’altro lato della valle svettano le prime montagne. Mi viene fatto per la prima volta il nome del Rocciamelone, che non avevo mai sentito prima. Scopro che è una montagna particolarmente nota, e dal valore simbolico molto importante per tanti appassionati di montagna.
Passiamo anche nei pressi della Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso, a Buttigliera Alta: un’abbazia molto originale, non grande, con un’architettura e delle decorazioni esterne del tutto nuove per me. Dentro dev’essere altrettanto bella, ma non è possibile visitarla. Attorno ci sono altre costruzioni affascinanti, simili nell’impianto decorativo ma apparentemente non religiose.
Arrivati a Sant’Ambrogio di Torino, alle basi del colle su cui svetta la Sacra, troviamo Sara, proprio come d’accordo. È raggiante e in splendida forma. Faccio le presentazioni e passiamo qualche minuto anche con Don Romeo, parroco del paese, entusiasta accoglitore di pellegrini. Abita proprio lì, di fianco alla chiesa dedicata a un certo San Giovanni Vincenzo, dalla splendida facciata in mattoni.
Dopo le foto di rito e i saluti, io e Sara imbocchiamo la salita verso l’abbazia, ma ci dobbiamo fermare subito, perché le viene in mente di aver dimenticato in macchina il pranzo preparato generosamente per entrambi. Meno male che si è ricordata! Una volta riuniti, riprendiamo il sentiero, che si rivela particolarmente ripido.
Fortunatamente, il bel tempo, i magnifici scenari e il piacere di essere lí insieme ci fanno comunque trovare il fiato per parlare lungo tutto il percorso, raccontandoci di noi, e soffrendo meno la fatica.
Arrivati all’abbazia, ci godiamo il panorama sia verso le Alpi che verso Torino, ma è l’imponenza ammaliante della Sacra stessa che lascia ammutoliti. Paghiamo ed entriamo in questo luogo monumentale e unico. La grande scalinata interna, detta “dei Morti”, proietta all’istante in epoche lontanissime. I primi insediamenti noti qui risalgono a quasi duemila anni fa, ma la gran parte dell’abbazia per come la si vede ora esiste comunque da un millennio. Ogni passo scatena l’immaginazione e la meraviglia.
Purtroppo, una volta entrato nella chiesa, resto stranito perchè il fascino magnetico appena sperimentato svanisce in un istante. Molti segnali poco in armonia con la bellezza del luogo sono disposti per far sì che le persone non entrino troppo a contatto tra loro, ma non è solo quello; anche l’allestimento decorativo mi pare disordinato e mi trasmette un senso di disarmonia: una questione molto soggettiva, certamente. Poco importa, comunque, perché ogni altro luogo fuori che quello mi lascia incantato.
Conclusa la visita, pranziamo beatamente al sole, per poi ripartire e scendere fino a Chiusa di San Michele. Da lì, Sara dovrà farsi ancora un bel pezzo di strada, a valle, per tornare all’auto. Il lavoro la aspetta, ma fortunatamente ha un po’ di flessibilità d’orario e possiamo goderci il tempo assieme.
Ci siamo aperti a fondo entrambi durante tutto il tragitto, e questo non ha fatto altro che rafforzare l’attrazione istintiva che mi era nata fin da quando l’ho vista. Nonostante ciò, per più di una ragione mi tengo a bada da qualsiasi gesto, seppur con enorme sforzo. Una volta scesi, rimaniamo un po’ insieme su una panchina. C’è un’incredibile tensione nell’aria e dividersi ora sembra quasi assurdo, ma soffoco tutto dentro e la saluto, ringraziandola per aver mantenuto la promessa e avermi accompagnato. Non lo dimenticherò facilmente, ma sono contento così. Non ho rimpianti.
Lei se ne va, mentre io rimango ancora un po’ ad ascoltare in silenzio i suoni di questo momento.
Riparto con calma. Manca ancora un’ora abbondante all’arrivo. Provo un senso di sollievo, quello di quando cammino nella natura senza altre persone. Non è un problema accontentarsi dell’asfalto; è una strada molto tranquilla che corre proprio ai piedi della montagna e tutto intorno è gradevole e pacificante.
I paesi di Sant’Ambrogio, Chiusa, Vaie mi trasmettono tutti un’impressione di familiarità. La vallata è larga, generosa; tra un abitato e l’altro c’è sempre respiro, e anche se molte case sono vecchie di decenni, tutto partecipa a creare un senso di sana vivibilità, di bellezza umile e a misura d’uomo.
Anche Sant’Antonino mi dà le stesse sensazioni. Grazie a Beppe, trovo qualcuno ad aspettarmi presso la casa parrocchiale. Ricevo saluti cordiali, molto apprezzati, dopodichè vengo accompagnato all’interno di un grande cortile su cui si affacciano, tra gli altri, i locali adibiti a Casa del Pellegrino.
Non sarò solo, c’è un’altra persona, ma non è un viandante. Si chiama Vincenzo e vive proprio lì, non so da quanto tempo. Non è molto espansivo, sembra un po’ giù di morale. Rispetto la sua necessità di essere lasciato in pace, e mi dedico alle solite cose. Vado poi a comprare qualcosa per la cena nel mini-market che si affaccia sulla piazza.
Consumiamo la cena insieme a tavola, anche se lui si cucina le sue cose. Pur limitandoci a poche parole, ci raccontiamo qualcosa su noi stessi. Per motivi che non conosco, da tempo non ha più un lavoro e sta facendo molta fatica per trovarne uno. Ha perso molto ottimismo per strada e l’amarezza è palpabile, unita anche ad una certa asprezza. Ciononostante, riusciamo a regalarci qualche scambio di battute abbastanza sereno, e credo sia già molto.