(Camping Les Amandiers)
33 km
L’esperienza di ieri ha definitivamente convinto Fabian che partire presto la mattina sia la soluzione migliore. Oggi, però, sono io quello stravolto, perché le mie poche ore di sonno sono state anche piuttosto inquiete. Cerco comunque di lasciarmi tutto alle spalle e iniziare la giornata nel migliore dei modi.
Si alza con noi anche Severine, che però la prende con maggiore calma, perché ha altri programmi rispetto ai nostri. Sembra più stordita di me dalla sveglia e non spiccica parola.
Conclusi preparativi e colazione, la salutiamo e usciamo in piazza.
Vista l’ora, c’è ancora buio, e lo spettacolo dell’abbazia illuminata è davvero magico. Mentre Fabian studia la mappa per capire dove dirigerci, comincio già a muovere i primi passi, godendomi le vie deserte del centro storico.
Ci lasciamo velocemente il paese alle spalle, gustandoci il lieve diffondersi della luce che colora la pianura agricola.


Meno di un’ora e siamo raggiunti da un’alba stupefacente, nei pressi di un passaggio ferroviario in mezzo a vigneti senza fine. Il sole infuocato, i binari, le vigne: una combinazione inaspettatamente affascinante che ancora non avevo sperimentato.
Ieri le nuvole ci avevano messo i bastoni tra le ruote, quindi per Fabian è ufficialmente la prima alba del suo piccolo cammino. Direi che non gli è andata per niente male.

Passiamo oltre, sempre circondati da una pianura coltivata quasi solo a viti. Arrivati al Canale del Basso Rodano – che irriga il territorio tra Arles e Montpellier – l’itinerario ci fa imboccare il sentiero di terra rossa che lo costeggia. Ora è il piatto corso d’acqua a farla da protagonista.

Camminare in mezzo a grandi pianure ha la caratteristica di mettere alla prova il viandante; la monotonia dello scenario è qualcosa con cui si è costretti a fare i conti. Trovare il giusto assetto interiore è fondamentale, perché la povertà di punti di riferimento produce frustrazione. Il rischio è che poi si indebolisca oltre il morale anche il corpo, finendo alla svelta col trascinarsi.
In questo senso i dislivelli della Via Domitia erano a volte durissimi, ma aiutavano a restare più attenti e reattivi – oltre al fatto che i paesaggi erano spesso meravigliosi. D’altronde allora Sara me lo disse chiaro e tondo, in risposta ad alcuni miei messaggi un po’ lamentevoli: “Goditi queste montagne, Robi, perché poi le rimpiangerai”. Ricordo perfettamente il tono con cui me lo disse, e ora la comprendo in pieno.
Non voglio nemmeno esagerare, però: il mio rapporto con la pianura rimane buono. L’abitudine all’introspezione e il gusto per la contemplazione mitigano molto noia e spossatezza. Ovviamente oltre al fatto che non sono solo: non proprio un dettaglio.
A proposito di Fabian: ieri abbiamo parlato tantissimo, mentre oggi ci stiamo godendo lunghi tratti conmpletamente in silenzio. Sembriamo entrambi restii a riempire queste ore insieme, come fosse un tacito accordo.
Per un attimo mi chiedo se ci sia nell’aria qualche traccia di insofferenza da parte sua, ma i pur pochi dialoghi scorrono perfettamente. Anzi, spese ormai tutte le informazioni principali riguardanti le nostre vite, oggi i temi si fanno più astratti e interiori, e chissà non sia conseguenza anche dell’ambiente stesso.
Restiamo di fianco al canale per meno di un’ora. Nel frattempo, verso sud, l’orizzonte sembra essersi trasformato inaspettatamente in una lama luminosa. Guardando meglio ci rendiamo conto che sono delle distese d’acqua in cui il sole si riflette. Diamo quindi un’occhiata alla mappa, scoprendo che si tratta di due stagni molto grandi. Nella mia testa gli stagni sono sempre stati bacini di dimensioni ridotte, con qualche animale attorno, ma mi rendo conto che forse la mia è una visione troppo elementare. Da queste parti sembra vengano chiamati così anche bacini che io normalmente avrei chiamato laghi. In ogni caso, spiando sul web, apprendo che questi sono i due principali della Piccola Camargue, un territorio affine alla Camargue vera e propria, ma posto fuori dal Delta del Rodano.
Tra noi e gli specchi d’acqua noto poi delle sagome bianche: sono i tipici cavalli di quest’area, esemplari particolarmente affascinanti. Come i pochi versi di un haiku, pochi elementi riescono a comporre un dipinto davvero sublime. È un’esperienza che fa parte della quotidianità di questo cammino, ma non riesco e non voglio abituarmici.
Più o meno da queste parti, secondo dei calcoli assolutamente approssimativi, mi rendo conto che dovrei aver superato la soglia dei 1000 km percorsi. Non sembrano esserci paesi abbastanza vicini, così decidiamo semplicemente di fermarci su uno dei tanti ponti che attraversano il canale, a festeggiare con una meritata merenda.
La cosa strana è che non sono particolarmente entusiasta, né tantomeno commosso. Mi viene da sorridere sinceramente, quello sì, ma niente più. È come se questo traguardo avesse innescato una leggera malinconia. La cosa migliore che riesco a fare è lasciarla vivere e non oppormici, né spendermi a interpretarla. Va bene anche così, semplicemente.
Non so se Fabian abbia percepito questa cosa, ma comunque mi sta di fianco benevolmente mentre facciamo pausa, rispettando la mia poca euforia con rispetto. Se – per qualche ragione – ora non so essere felice del mio traguardo, riesco almeno ad esserlo per questo suo modo di essere. È un momento che non saprei davvero commentare oltre, ma me ne ricorderò, sono sicuro.

Si riparte, lasciandoci il canale alle spalle e tornando di nuovo tra campi sconfinati. C’è anche qualche pascolo, stavolta. Una lieve altura regala un po’ di varietà agli scenari attorno a noi, facendoci anche addentrare in una piccola area boscosa. Ci godiamo i passaggi all’ombra delle piante, interrotti qua e là da qualche radura.
Incontriamo allevamenti di capre, di maiali di vario genere e di cavalli.
Incapace di resistere, mi avvicino ai recinti con lo sguardo di un bambino allo zoo – soprattutto davanti ai maiali, numerosissimi. Anche questa per me è una cosa nuova: vedere una dozzina di maialini scappare alla mia presenza e venire protetti da alcuni grossi esemplari, mentre il più grande tra loro sembra venire a mettere in chiaro che quel territorio è protetto.
Fabian non ne sembra minimamente interessato; anzi, parrebbe che per lui la cosa davvero insolita sia il mio stupore. Mi capita spesso nella vita che gli altri si straniscano di fronte al mio meravigliarmi così frequente, spesso per cose davvero comuni. Quando torno sul sentiero, però, mi guarda sorridendo. È davvero una persona benevola e poco giudicante, e questo mi mette incredibilmente a mio agio.





Proseguendo, passiamo in mezzo ai resti di un grande bosco bruciato, arrivando infine alla prima vera cittadina: Vauvert. Sembra molto vivibile e il centro storico ha il suo fascino. Nella bella piazza principale ci fermiamo a bere un caffè, seduti ai tavoli esterni di un bar. Io ne approfitto per fare qualche chiamata, tentando di trovare un alloggio per stanotte e uno per quando avrò superato Montpellier. Nella grande città, infatti, ho già individuato un ostello che può fare al caso mio.
Per quanto riguarda Fabian, sarà ospitato da una dipendente comunale di Gallargues-le-Montueux, meta di oggi. Qualche giorno fa, infatti, aveva tentato di prenotare un letto nella struttura specifica per l’ospitalità ai pellegrini, ma era stato avvisato che era chiusa. La signora dall’altra parte del telefono, però, si è impietosita e gli ha offerto un ripiego nella piccola casetta che ha nel giardino di casa. Anch’io ho chiamato lo stesso numero ieri, ma comprensibilmente senza esito.
Nonostante mi sia chiaro come siano andate le cose, purtroppo provo comunque una certa frustrazione. Mi rimbomba nella testa la convinzione che una maggior padronanza della lingua mi avrebbe permesso, come in Italia, di attivare molta più empatia negli interlocutori francesi ai quali mi sono rivolto fin qui per trovare alloggio. Riflettendoci meglio, capisco che non posso saperlo con certezza e che in questo momento non sto tenendo presente di essere stato comunque aiutato molte volte.
In ogni caso, finisco col prenotare in un campeggio, ma questa volta non in tenda, perché ho bisogno di dormire bene stanotte e recuperare le ore di sonno perse ieri. Come a Cavaillon, opto quindi per una mobilhome, ma in assenza di promozioni devo sceglierne una molto più piccola. Il prezzo che mi viene chiesto è comunque alto, ma in tutto il paese non c’era alternativa più economica.
Rispetto alla tappa di dopodomani, oltre Montpellier, ho il piacere di parlare con un’impiegata di origini italiane del comune di Gigean. Mi avvisa che la gîte comunale, come tante altre, è chiusa a causa del Covid. Chiedo se possano darmi l’autorizzazione a piantare la tenda da qualche parte. Lei non può prendere questa decisione, ma si opera con grandissima gentilezza per ottenerla, ricevendo purtroppo solo risposte negative.
La ringrazio di cuore, spiegandole che la sua premura mi risulta ancora più preziosa di quello che stavo cercando, ed è vero come non mai.
La pausa caffè si è prolungata più del previsto, ma al mio compagno di viaggio sembra non essere dispiaciuto. Comincia infatti ad avere qualche dolore alle articolazioni e alla schiena; cose prevedibili nei primi giorni di cammino, ma sempre da gestire con attenzione.
Una volta ripartiti, incontriamo un altro luogo particolarmente importante per il paese: l’arena dei tori. Scopro così che anche nel sud della Francia ci sono manifestazioni simili alla corrida. In particolare qui viene chiamata Corse camarguaise e gli animali non vengono fatti combattere, né tantomeno uccisi. Pare che l’unica sfida sia quella di rubare laccetti e coccarde poste sulla testa e sulle corna del toro – anzi, del bue per la precisione, cioè del toro castrato.

Un altro segno inusuale che incontriamo tra le vie del paese sono dei simboli verniciati a spray fuori dalla porta o dai cancelli di molte case. Includono sempre rappresentazioni di elementi emblematici della Camargue, come i suoi tipici animali. Alcune case ne hanno cinque e più, ciascuno con l’indicazione di un anno diverso.
Domandiamo spiegazioni a un abitante, scoprendo che si chiamano Empégues. Nascono da una vecchia tradizione che ha cambiato forma nel tempo. Oggi sono certificazioni che la famiglia proprietaria della casa ha devoluto un’offerta a un gruppo giovanile del paese. Le richieste di supporto economico sono fatte annualmente, e da lì la tradizione di produrre uno stemma diverso ogni anno. Curioso!

Ripreso il cammino, facciamo pausa pranzo a Codognan e poi raduniamo le ultime energie rimaste, trascinandoci verso Gallargues-le-Montueux.

Nel bel mezzo di un’enorme vigneto alle porte della cittadina, troviamo risposta a un dubbio nato durante la mattinata, notando che c’erano tantissimi grappoli rimasti a terra sotto vigne già vendemmiate.
Assistiamo, infatti, ad una raccolta fatta soltanto con un imponente mezzo motorizzato. Avanzando tra i filari, riesce a staccare i grappoli scuotendo energicamente ogni pianta. Quelli caduti sono evidentemente conseguenza di quel procedimento ma, a quanto pare, per qualcuno il gioco vale la candela.



L’ultimo tratto è insolitamente brutto: il percorso ci guida prima nel pieno di un’anonima zona industriale e poi per una strada a lato della ferrovia.
Il paese, invece, sembra ben curato, ma io ci rimango solo il tempo di fare un ultimo fallimentare tentativo in Comune. Non riesco ad accettare non mi si voglia autorizzare a campeggiare per una notte sul territorio comunale. In Italia ho sempre trovato qualcuno che mi ha accolto amorevolmente, pur nella semplicità. Sono molto nervoso, non posso negarlo, e scarico un po’ anche su Fabian.
Mentre mi lamento come un moccioso, una parte di me se ne rende conto. Mi vergogno di star sbottato in questo modo infantile e provo a scusarmene e tornare a rasserenarmi.
Il periodo è quel che è, devo ricordarmene bene, e comunque ogni cosa che ho ricevuto gratuitamente non posso permettermi di darla per dovuta. Va accettato il dono così come va accettato il rifiuto. Ho ancora molto da imparare.
Prima di lasciare il mio compagno raggiungere l’indirizzo che gli hanno indicato, definiamo luogo e orario per la partenza di domani mattina, quella della nostra ultima tappa insieme. Dentro me covo una sottile preoccupazione di avergli fatto passare la voglia, ma spero di sbagliarmi.
Arrivato al campeggio dopo aver fatto un po’ di spesa, scopro che anche qui c’è incluso l’utilizzo della piscina. Non c’è il sole e non fa caldissimo ma, una volta lasciate le mie cose nella mobil-home, decido comunque di approfittare del servizio per consolarmi meglio dai soldi spesi.
La serata nella minuscola casa-mobile è un po’ noiosa e il pensiero va all’amico parigino che, nel frattempo, mi invia la foto della sua sistemazione. È un piccolo capanno da giardino, di quelli per riporre gli attrezzi, e può ospitare a malapena il suo materassino. Mi si stringe il cuore pensando alla nottata che sta per passare, soprattutto quando comincia a piovere, ma la verità è che provo anche un po’ di cinico sollievo per me stesso. Mea culpa.