(Hotel le Saint Eloi)
27,5 km
Contro ogni aspettativa, anche questa notte non è stata delle migliori. Purtroppo la casa-mobile si è rivelata una vera scatola di cartone: il vento l’ha scossa in continuazione, e il rumore della pioggia sul tetto produceva un rimbombo insopportabile. Oltretutto qualcosa continuava a sbattere, senza che sia mai riuscito a capire di che si trattasse. Non significa non abbia dormito, ma di certo non me ne resterà un buon ricordo.
Questa faccenda del dormire male spesso mi fa pensare. Ho quasi l’impressione che le nottate simili a questa ad oggi siano state la maggior parte. Se avessi mai dormito così per un mese intero nella mia vita routinaria a Bergamo, credo mi sarei ridotto in condizioni sempre peggiori, settimana dopo settimana. In cammino, invece, sembra sia un problema assolutamente contenibile. Mi sono accorto che faccio questo pensiero ogni mattina – giusto un minuto, proprio appena svegliato. Ovviamente sono sempre pensieri un po’ scombussolati che in pochi istanti si perdono chissà dove, insieme alle ore inquiete della notte e gli incubi assurdi.
Così succede anche oggi, naturalemente. Una volta alzato, il cervello si spegne e mi focalizzo solo sul fare colazione e sistemare tutto. Grazie al cielo non piove, ma fa comunque piuttosto freddo. C’è ancora buio e ovviamente nel campeggio non incontro nessuno. È affascinante passare tra altre mobil-home e i camper, pensare che dentro alcuni di quelli c’è gente che dorme, che magari viene qui in vacanza da anni. Sono divisi tra loro da alte siepi, e i vialetti sono illuminati con lampade da giardino.
Passo di fianco anche alle piscine desolate e al complesso che ospita bagni e docce: è una struttura circolare che sembra un grande ufo, con tutte le luci rigorosamente accese. Se lavorassi nel cinema, tutto questo comporrebbe un ottimo scenario per qualche b-movie, oppure per un film di David Lynch, ma di certo qualcuno ci avrà già pensato.
Aspetto Fabian all’incrocio fuori dal camping. Vedo passare giusto un paio di auto e le finestre delle case intorno sono quasi tutte ancora buie.
Appena prima che scocchi l’ora pattuita, mi scrive che ritarderà una decina di minuti. Per un attimo avevo pensato non sarebbe venuto e già mi stavo facendo mille film in testa.
Una volta arrivato, intuisco già dall’andatura che non è al massimo della forma. La prima cosa che mi dice, infatti, è proprio che ha passato una nottataccia e che il fisico è messo ancora peggio di ieri. Non so come andrà la tappa – probabilmente questo complicherà un po’ le cose – ma sono comunque molto felice di ritrovarlo, convinto che ce la caveremo anche oggi.
Partiamo con il cielo coperto e il buio ancora a farla da padrone. Immagino che non avremo il piacere di vedere l’alba, stamattina. Peccato.
Lasciamo Gallargues e ci dirigiamo verso il fiume Vidourle. L’unico ponte pedonale, però, è 3 km più a nord, quindi iniziamo a camminare paralleli al corso d’acqua verso quella direzione. Costeggiamo per un lungo tratto una sorta di alto argine di pietra e cemento, senza capire se serva per il fiume o meno, perché ne rimane molto distante e in mezzo ci sono anche parecchie vigne. Ci teniamo il dubbio e arriviamo al ponte.
Ancora una volta, l’attraversamento porta con sé il passaggio di un confine: abbandoniamo il dipartimento del Gard ed entriamo in quello dell’Hérault.
Durante il passaggio in un quartiere residenziale del paese di Villetelle, noto che attorno a noi ci sono solo ville con grandi giardini, tutte circondate da alti muri di cinta. Non è uno scenario troppo originale, ma ho la sensazione che ci sia qualcosa di strano, senza riuscire subito a cogliere di che si tratti. Dopo qualche minuto, però, capisco che il dettaglio che mi stranisce sono proprio i muri esterni. In effetti, fino ad ora avevo sempre incontrato case recintate, ma mai da muri – per di più così imponenti.
Questo fa sì che ogni casa sia un’isola a sé, protetta in maniera radicale, sia dalle intrusioni che dagli sguardi. Ripeto, niente di sconvolgente, eppure ne resto turbato. Mi si innescano riflessioni sulla convivenza, sul senso di minaccia che l’essere umano sente, sulle sue deformazioni. Tutto in me si mescola all’esperienza del mio procedere ogni giorno in un luogo diverso, senza proprietà se non il mio zaino e vivendo per la maggior parte del tempo all’aria aperta. Non arrivo a grandi conclusioni, semplicemente lascio incontrare pensieri e sensazioni, niente più.
Un altro dettaglio interessante è che proprio su quei muri troviamo tantissimi empégues come quelli di ieri, sempre a lato dei cancelli. Segni che rendono un po’ più umano questo piccolo arcipelago di cemento.
Usciti dal paese, torniamo nella natura, imboccando un ampio sentiero pianeggiante immerso tra i boschi. Lungo il cammino incontriamo alcune costruzioni edificate esclusivamente con pietre a secco, dall’aria quasi primitiva. Pare si chiamino Capitelles. Venivano utilizzati dai pastori o dai cacciatori, oppure come depositi nelle stagioni di raccolto. Esteticamente non sono straordinari, ma hanno il pregio di rendere un po’ più interessante il percorso di oggi, fin qui un po’ anonimo.
Passata una grande e profonda cava, decidiamo finalemnte di sederci a mangiare qualcosa. Il buon Fabian è davvero a pezzi, purtroppo; i dolori di ieri sono aumentati drasticamente. Quando ci rimettiamo in marcia, sto un po’ al suo passo per spronarlo e sostenerlo, ma poi sono costretto a chiedergli di poter proseguire da solo al mio ritmo. Per quanto possa sembrare paradossale, andare così lento crea anche a me dolori e affaticamenti che non sopporto, e per fortuna si dimostra comprensivo. Cammino davanti a lui per circa tre ore, scegliendo di fermarmi ogni mezz’ora ad aspettarlo. Ad ogni pausa mi godo il paesaggio o la vista di qualche allevamento di buoi. In un’occasione mi diverto anche a cantare ad alta voce davanti ai loro sguardi impassibili, entusiasta di quella libertà con cui giocare.
Ogni volta che ripartiamo, cammino prima qualche minuto con lui e poi riprendo il mio passo. Facciamo così per una dozzina di chilometri, quasi tutti in linea retta, fino a che raggiungiamo Vendargues.






Da questo paese Fabian mi ha già avvisato che prenderà i mezzi pubblici per raggiungere il centro di Montpellier. È una decisione che non nasce dalla pigrizia e non è improvvisata. Più di una fonte, infatti, sia tra le mie che le sue, contempla questa possibilità per concludere la tappa. In gioco ci sono circa 8 km che corrispondono alle periferie orientali della grande città.
Stamattina ho dedicato buona parte dei miei strappi solitari a riflettere su cosa fare a riguardo. Mi sono domandato in continuazione perché si concordi tanto in questa “scorciatoia”. Forse quelle zone di Montpellier sono particolarmente malfamate, oppure è solo un modo per i pellegrini di avere più tempo da dedicare alla visita della città, che sembra rinomata per la sua bellezza. Sono tentato, ma molto combattuto. Una parte di me la vive come vero e proprio tradimento al pellegrinaggio che sto facendo. L’altra mi chiede di non essere così duro e di accompagnare Fabian, in modo da godermi con lui la conclusione di questi tre giorni preziosi di cammino condiviso.
Alla fine prendo con fatica la decisione di continuare a piedi, anche se vorrà dire spezzare questa breve e ricca esperienza con lui. Sento di dover rispettare più che posso il mio cammino, anche se questo bisogno di radicalitá mi interroga. Cosa c’è davvero in gioco? Perché mi sembra che tutto si rifaccia ad una sfida esistenziale? Le risposte sembrano prender forma solo nell’ambito intimo e misterioso della fede. Non ce la faccio nemmeno a metterle per iscritto. Ho preso una decisione, ma mi sento svuotato, e non capisco perché.
Arrivati a Vendargues, quando tutto ormai sembra deciso nonostante il cuore lacrimi, un banale cartello riesce inaspettatamente a rimettere tutto in discussione. È un ampio benvenuto ai pellegrini da parte della comunità locale, ma la sua particolarità è che è rivolto specificatamente a quelli che, come me, sono diretti a Santiago de Compostela.
È capitato molto raramente in questi quaranta giorni di cammino di imbattermi in messaggi destinati a chi sta dirigendosi laggiù, ed è sempre stato emotivamente molto toccante. Forse il motivo è che ogni volta, davanti a quelle parole, io ero il solo in viaggio verso quella meta – e spesso anche l’unica persona presente. È stato sempre un po’ come ricevere un abbraccio, una pacca sulla spalla, qualcosa che mi faceva sentire accompagnato nel mio procedere solitario – ed è lo stesso che capita quando incontro ogni tipo di segnaletica che mi conferma di essere sulla strada giusta.
Immerso in queste suggestioni, mi accorgo che proprio nel mezzo del manifesto campeggiano le indicazioni per raggiungere la fermata del famoso autobus. Anche se lo reputo un semplice cartello, e non certo un segno del destino, si dimostra sufficiente per mandare in pezzi la fragile decisione che avevo preso.
Fabian è di fianco a me, sorridente: finalmente è arrivata la fine delle sue sofferenze. Vederlo così alleggerito e contento mi convince definitivamente a continuare con lui fino in fondo, e festeggiare questi tre giorni tanto preziosi passati insieme. Senza volerlo, esalo un gran sospiro, ed esplodo anch’io in una risata liberatoria. Lui mi guarda incuriosito e solo a quel punto gli comunico con malcelato sollievo che ho cambiato decisione. Sorpreso, confessa di essere molto felice per questo colpo di scena, e insieme ci dirigiamo alla pensilina, dove approfittiamo dell’ombra e dell’attesa per pranzare.
Arrivato il nostro autobus, saliamo e compriamo i biglietti in vettura. Sono curiose le sensazioni che provo vedendo tutto scorrere veloce dai finestrini, o spostandomi non più da solo ma con tante persone tutte assieme.
Raggiunto il capolinea più o meno a metà strada, proseguiamo in tram.
La sorpresa maggiore è che le periferie che attraversiamo sono assolutamente ordinate e pulite, niente che meritasse davvero di essere sorpassato così impunemente. Dentro di me sommo questi chilometri a quelli saltati ingenuamente tra Sisteron e Pepin, e prometto a me stesso che prima o poi nella vita dovrò “restituirli” al cammino.
Dopo circa mezz’ora, ci ritroviamo in pieno centro. La città è davvero imponente, ma allo stesso tempo ariosa e molto elegante. È stracolma di gente, per lo meno per quello a cui sono abituato ultimamente. Non oso immaginare quanta ce ne sarebbe senza il Covid. Vedo tantissimi giovani passare, e questo mi fa ancora più effetto, perché in questo mio peregrinare mi ci imbatto molto raramente.
Entriamo in un bar con tante vetrate, affacciato sulla stazione dei treni. Convinco Fabian a brindare a questo momento con uno shot di qualcosa di forte. Quale occasione migliore di questa, d’altronde? Non esattamente convinto, mi propone un mauresque, un cocktail tradizionale a base di pastis e orzata. Accetto senza discussione, eccitato di assaggiare qualcosa di nuovo. Il sapore dell’anice si sposa benissima a quello della mandorla, ma il drink si rivela piuttosto blando rispetto a quello che avevo in mente. Non c’è problema, va benissimo anche così.
Anche se è distrutto, l’amico parigino accetta la mia richiesta di spostarci per poterci salutare in un posto meno anonimo di questo. Gli propongo il santuario di San Rocco, in pieno centro. Questo santo, gli spiego, ha un valore importante per i pellegrini. Anzi, ne viene addirittura riconosciuto tra i massimi protettori, perchè anch’egli raggiunse Roma proprio da Montpellier, sua città natale.
Nelle nostre chiacchierate Fabian ha conosciuto la mia poca predisposizione alla devozione dei santi, ma non me lo fa presente, forse perché capisce che la mia fede è tutta fatta di contraddizioni, ma resta onesta e appassionata.
Raggiungiamo quindi la chiesa e, alle sue porte, infrangiamo le ferree regole di distanziamento sociale e ci stringiamo in un forte abbraccio davanti a tutti. È davvero una grande e bella emozione! Ci ringraziamo a vicenda, dicendoci felicissimi dell’esperienza fatta assieme. Non andiamo oltre, di parole ne abbiamo spese a sufficienza.
Resto a guardarlo mentre se ne va; ha preso un’ottima stanza con AirBnB. Fin da ieri ha scelto che non proseguirà oltre, il suo cammino finisce qui. Domani visiterà per bene la città, poi tornerà a Parigi da sua figlia. Per il futuro non ha ancora deciso, ma per quello ci sarà tempo.


Una volta rimasto solo, entro in chiesa e lì resto per un’ora almeno. Ho molto tempo a disposizione perché l’ostello che ho trovato apre solo alle 18. Resto in preghiera, oppure semplicemente a riposo, contemplando tutto ciò che ho attorno e ascoltando un paio di volte l’usciere fare da cicerone a dei fedeli: racconta loro tutta la storia di San Rocco, e resto colpito dal fatto che il tono della sua voce si mantenga fervente e allegro. Chissà quante altre volte lo ha fatto, eppure sembra non abbia perso freschezza e partecipazione.
C’è anche una vetrina con dei souvenir e dei libri in vendita. Sono molto attratto dall’immancabile conchiglia del pellegrino. Io ho già la mia appesa allo zaino, ed è di capasanta – come vuole la tradizione – ma è la valva superiore, più piccola e piatta. Al contrario, quella abitualmente utilizzata è quella inferiore. Più grande e convessa, si dice servisse come cucchiaio per i pellegrini del passato. È anche oggettivamente più bella e il desiderio di sostituirla alla mia è tanto. Quella che porto, però, è un regalo ricevuto prima della partenza, e alla fine decido di onorarlo e rinunciare all’acquisto.
Prima di andarmene, ho anche la fortuna di poter gustarmi le esercitazioni di un suonatore d’organo. È di una bravura straordinaria, o forse è il mio orecchio inesperto che me lo fa sembrare, ma che importa!

La giornata è meravigliosa e mi permette di gironzolare per le vie del centro godendomi tutta l’eleganza monumentale di Montpellier, nonostante ad ogni passo la stanchezza morda sempre più.



Fattasi l’ora, raggiungo l’alloggio e scarico finalmente il peso portato per più di dieci ore. Il posto è più che spoglio, e nemmeno troppo pulito. Non c’è cucina, sala relax o altro spazio comune per gli ospiti: stranissimo. Io sto in una stanza con un paio di letti a castello, che condivido con altri due ragazzi. Capisco che non sono viaggiatori, ma non riesco a cavar loro nient’altro.
Prima di cena, studio il percorso per domani: essendo fuori da ogni cammino segnalato, lascio fare a Komoot anche stavolta. La scelta più incisiva sta nel rivoluzionare l’itinerario di Sara. Lei era scesa sulla costa, fiancheggiando l’immenso stagno di Thau e attraversando le sue magnifiche località portuali. Io, invece, ho trovato una soluzione più pratica ed economica passando più nell’entroterra. Per dormire, trovo un campeggio in un paesino che si chiama Loupian. La tappa sarà molto lunga, ma sono carico.
Conclusa la fase logistica, mangio sulla mia branda i soliti cibi in scatola e poco più. Da domani tornerò a camminare da solo; fatico a rendermene conto. Incredibile come mi fossi già abituato alla presenza di Fabian. Comunque sono contento di aver scelto l’autobus ed essere arrivato in città con lui; è stata una degna conclusione di questi tre giorni insieme. Chissà quando incontrerò ancora qualcun’altro con cui camminare. Mi addormento serenamente, fantasticandoci sopra.