Info Racconto Extra
cammino di santiago - roberto pesenti

05/09 Chiomonte – Oulx (TO)

(campeggio Pra Vey)
23 km

Niente da fare: dormire su tavoli affiancati è una stupidaggine. Sarà per il senso di precarietà o chissà che altro, ma ancora una volta passo una notte veramente brutta, svegliandomi in continuazione. Fortunatamente la giornata inizia comunque bene, grazie all’arrivo di Filippo che, premurosissimo, mi porta caffellatte e savoiardi. Questa persona è un vero angelo.

Partenza alle sette in punto. Tutto entusiasta, scendo per la valle seguendo la via tracciata ma, arrivato alla Dora, trovo una gran cancellata chiusa. Siamo in corrispondenza dei cantieri per la TAV e questo è il motivo dell’interruzione.
In realtà ero stato avvisato che sarebbe potuto succedere, e prima di scendere ho superato delle barriere con dei cartelli affissi, ma senza leggerli. Mea culpa, ho tentato. Davanti a me, oltre il cancello, due carabinieri a fare picchetto. Faccio il finto tonto, implorando pietà e mostrando zaino e conchiglia, ma comprensibilmente vengo rimbalzato.
Tornato sui miei passi, opto per l’unica alternativa: la statale. Non certo una bella esperienza, ma per fortuna passano poche auto e c’è sufficiente spazio per camminarvi a lato.

La freddezza del tappeto d’asfalto e dei guardrail, ancora in ombra insieme a metà della valle, è temperata dalla bellezza inaudita di quelle montagne già baciate dal sole. Il cielo è limpido, le cime spoglie sono rosa come pompelmi. Fin da Chiomonte godo di questa tavolozza e mi è difficile trattenere un sorriso di meraviglia e gratitudine.
La quotidianità di questi sentimenti è una delle caratteristiche maggiori dell’esperienza, tanto quanto il mio continuo scorrere tra luoghi e persone.
Tra l’altro, proprio le rivoluzioni a cui mi sottopongo ogni giorno sembrano rafforzare quegli stessi sentimenti eccezionalmente positivi: pace, meraviglia, gratitudine, consapevolezza. Sono scoperte favolose.

In corrispondenza di un secondo ponte a valle, riesco a ricollegarmi alla Francigena e dopo mezz’ora sono di fronte al Forte di Exilles, un complesso fortificato tra i più importanti del Piemonte. Svetta al centro della valle, facendo intuire quanto efficace possa essere stato nelle epoche passate. Militarmente risulta in disuso dal ’43, ma da molti anni è diventato sede di un museo. La salita rettilinea che porta all’ingresso è piuttosto ripida, ma percorrerla è emozionante, e arrivati in fondo tutto sembra ancora più monumentale. Purtroppo le porte sono chiuse ma, voltandomi, la visione della valle è splendida, così mi godo almeno quella.

Scendo poi verso Exilles, dove avevo prenotato un alloggio già dopo Torino, ma che ieri ho disdetto. È un piccolo borgo e l’attraverso solamente lungo la breve e stretta via principale, ma tanti dettagli me lo fanno piacere particolarmente. Tra questi, il fatto che attività di base come la panetteria, il macellaio o la sartoria, condividano un unico stile per le loro insegne, qualcosa di vagamente retró. In realtà, qualcosa mi fa pensare che in alcuni casi stiano ad indicare l’attività che lì c’era storicamente, e non una esistente, ma il mio passaggio è troppo veloce per verificarlo.
Ci sono anche cartelli informativi, fotografie e mappe che aiutano meglio a calarsi in quella che era Exilles nel passato, e tutto questo nelle poche decine di metri su cui sviluppa l’abitato! Anche l’uscita è molto bella: il paesaggio si apre e si incontrano suggestivi lavatoi, una chiesetta, case ben curate, muretti a secco e tantissima vegetazione.

Si prosegue su asfalto, scendendo di nuovo a valle e attraversando un altro ponte, oltre il quale comincia una salita non da poco. È quella che mi porta in una delle aree forestali più incantevoli che abbia visto: il Parco Naturale del Gran Bosco di Salbertrand. Il nome è altisonante, ma è un’area che rivela presto la sua straordinarietà, ben all’altezza del titolo che porta. C’è un’atmosfera magica e solenne; qua e lá, tra i grandi alberi, posso scorgere le montagne dall’altro lato della valle, illuminate da una luce che ancora qui manca.

Nei pressi del forte di Sapè, che si intravede appena perché immerso tra la vegetazione, qualcuno sta bruciando qualcosa e il fumo rende ancora più visibili i raggi del sole che penetrano tra i rami. Poco più in là, il bosco si apre e sulla mia destra un largo prato verde scivola verso un piccolo agglomerato di case in pietra, bellissime. In mezzo al prato, un covone sostiene un’asta su cui sventola una bandiera rossa. Nel mezzo c’è stampato un simbolo giallo ed elegante che non so riconoscere. Mi fermo per un paio di minuti a fare qualche foto, e scorgo una coppia spuntare da una casa per occuparsi di qualche faccenda. I nostri sguardi si incrociano, ci salutiamo, mi chiedono dove stia andando e restano felicemente stupiti dalla mia risposta. Gli domando della bandiera, e mi spiegano essere quella dell’Occitania, un nome che però non collego a nulla. Con incredibile gentilezza, mi invitano a proseguire il nostro dialogo davanti a una tazza di caffè. Ne approfitto entusiasta.
Si chiamano Laura e Gigi, quella è la loro seconda casa e la stanno ristrutturando piano piano. Gigi mi affascina parlando dell’Occitania, accennando alla sua storia, alla sua lingua, alla cultura che vi si associa. Mi entusiasma pensare anche che il mio tragitto andrà proprio ad attraversare le terre che storicamente si associano a quel nome. Conversiamo molto piacevolmente, mentre Laura porta in tavola pani e mieli diversi e deliziosi. Il sole arriva a baciarci e tutto sembra perfetto, tanto che rimango addirittura quaranta minuti, seguendo Gigi mentre mi mostra gli ingegnosi macchinari che lui stesso ha costruito per lavorare alla ristrutturazione della casa.

Quando torno sui miei passi ho la pancia e il cuore pieni. Il Parco, però, non è ancora finito, e mi aspetta anche una cosa molto speciale. Proseguendo lungo il fantastico sentiero detto “dei Franchi”, infatti, avvio una diretta streaming con Genova. Per che cosa? Per il matrimonio di mio cugino! Un’esperienza più unica che rara: camminare in scenari favolosi verso Santiago mentre si segue un matrimonio lontano a cui si tiene moltissimo. Passo ore splendide nelle quali, oltre allo spettacolo della cerimonia, tutto attorno a me è una fioritura di dettagli impagabili, per lo sguardo, per il corpo e per l’anima. Consapevole di star vivendo una gioia rara che sembra affiorare senza sosta sul mio viso, mi diverto a tentare di immortalarla con qualche foto. Faccio bene, perché quando riguardo quegli scatti vedo la parte migliore di me. Sia un promemoria per il futuro!

Mi fermo per far pausa su una panchina al sole, messa lì per godere dello spettacolo del magnifico Lago Orfù, a fondo valle, dove qualche bagnante sta anche azzardando un bagno.
Infine, riparto e scendo, raggiungendo Gad, una bella frazione di Oulx, il comune dove termina la mia tappa di oggi e che raggiungo poco dopo.

Prima dal centro, incontro il campeggio Pra Vey, dove dormirò.
Trovata la piazzola, sistemo la tenda e faccio conoscenza con due bambini che mi gironzolano attorno incuriositi e poi con il padre di uno di questi, con cui resto a fare due parole. È sempre bello e mai scontato poter socializzare in un luogo dove si è appena arrivati.
Dopo una doccia, vado al supermercato di fronte a fare un po’ di spesa, dopodiché approfitto di uno dei tanti negozi sportivi per chiedere aiuto. La linguetta frontale delle scarpe, infatti, si è staccata ancora, il che significa che la colla di Filippo non è adatta. La cosa mi preoccupa molto, ma riesco a restare ottimista. Fortunatamente, trovo un negoziante molto gentile che mi propone di usare una sua colla “speciale”, a suo dire, che funziona alla grande e che alla fine ricevo pure in regalo. Io lo ringrazio vistosamente, anche se più tardi scopro che, aldilà della innegabile cortesia della persona, la colla non era altro che un piccolo campione di comune Attack. In fondo è un ottima notizia. Se funzionerà a dovere saprò che basta quella colla tanto comune per poter risolvere i miei problemi.

Oulx è un bel paese, molto vivo. Un crocevia per tante persone e turisti, ricco di servizi e ben tenuto. Anche qui i fiori non mancano. Ormai, insieme ai lavatoi, sono diventati una piacevolissima costante lungo questo tratto.
In centro paese, domando per la chiesa e, lungo la strada, mi imbatto nel sacerdote che sta uscendo da un negozio. Gli chiedo se c’è qualcuno alla parrocchia che possa timbrarmi la credenziale. Mi risponde di sì, ma in maniera un po’ strana; io comunque mi incammino fiducioso. Arrivato in cima alla salita, lo vedo uscire da una macchina fuori dalla porta. È tornato apposta per me perché probabilmente la verità è che in casa parrocchiale non c’è nessun’altro. Beh, a conti fatti è stato molto gentile.

La sera ceno al caldo presso il bar del campeggio, e fuori, poi, ho il piacere di conoscere diverse persone tutte insieme. Innanzitutto Caterina e Cynthia, una coppia di simpaticissime amiche, poi Loris, un trentanovenne di Torino, ex scout, che mi dice che a diciott’anni ha raggiunto Santiago in 35 giorni da Torino, camminando sessanta chilometri al giorno assieme ad un’amica. Rimango davvero stravolto da questi numeri. Il racconto sembra abbondantemente improbabile, ma non riesco a respingerlo e quei numeri si annidano in me fin da subito, come un’inutile e fastidiosissima pietra di paragone.


In ogni caso, ai tre si aggiunge una quarta persona, Jacqueline, una donna apparentemente sui cinquant’anni, ma non posso dirlo con certezza perché i segni sul suo volto, pur luminoso e sorridente, raccontano fin dal primo istante di anni vissuti con qualche difficoltà fuori dal comune. Una mezzora con lei e le altre due donne mi regala l’opportunità di conoscersi un po’ meglio. Jacqueline ha un’aura intensa e magnetica, e allo stesso tempo profondamente buona. Si coglie il lavoro che lei ha dedicato a comporre la sua pace interiore nonostante gli inciampi della vita. Mi esprime il desiderio che io passi a prendere un caffè nel suo bungalow domani mattina, prima di partire. Accetto volentieri.

20_OulxDownload

Categorie:

Italia, Piemonte
Info Racconto Extra
cammino di santiago - roberto pesenti

04/09 Sant’Antonino di Susa – Chiomonte (TO)

(sala del complesso parrocchiale)
29km


Vincenzo mi aveva espressamente chiesto di non fare troppo chiasso quando mi sarei svegliato, e di non accendere la luce. Io faccio il possibile, ma riesco comunque a disturbare il suo sonno leggero. Borbotta qualcosa, ma con l’aria di chi in fondo sa che era inevitabile. Ci salutiamo senza esagerate moine, ma mi lascia con una raccomandazione quasi materna, del tutto inaspettata: “…e stai attento!”. È forse il massimo segno d’affetto che può sfuggire dalle maglie del suo sconforto, e per me è un dono grande, sia per averlo ricevuto che per aver contribuito affinché nascesse in lui. Spero tanto che la vita possa fargli qualche regalo importante.

Lascio Sant’Antonino seguendo ancora una volta una strada asfaltata alla base della montagna. Questa mi trattiene nella sua ombra, ma le cime dal lato opposto e molti alberi già sono pennellati di un rosa mozzafiato.
Finalmente, quando la carreggiata si sposta verso il centro della valle, anch’io posso godermi un gran bagno di luce, con il sole che ha appena superato le piante all’orizzonte. Tutt’intorno ho prati e pascoli letteralmente infuocati. L’ombra di ogni cosa è lunghissima e tutto è immobile.
Quello che vedono i miei occhi, però, è diverso da quello che sento. Infatti, percepisco quella staticità come una tensione dinamica: mi pare che ogni cosa, così come me, stia subendo un’attrazione ammaliante verso il sole. Forse, se vedessi anche qualcosa oltre la materia, scoprirei che davvero tutto è orientato verso quella sorgente di vita ogni volta che sorge. Mi piace pensare sia così.

Il paese successivo è Villar Focchiardo. Luciano mi ha consigliato di approfittare del ponte sulla Dora e proseguire il cammino sull’altra sponda, spiegandomi che lá c’è una serie pittoresca di paeselli. Continuando su questo lato, invece, dovrebbe esserci solo un po’ di bosco, niente di che. In realtà, la parola “bosco” mi convince a fare il contrario di quello che mi ha proposto. Sento proprio il bisogno di tornare tra gli alberi.
Ahimè, l’aspettativa si frantuma con la realtà: il tratto si rivela essere davvero anonimo. Pazienza, vorrà dire che al prossimo giro da queste parti esplorerò quello opposto.

Alle porte di San Giorio di Susa scorgo su un poggio il castello medievale. Mi piacerebbe salire a dare un’occhiata, così lascio la rotta segnalata, ma abbandono altrettanto alla svelta il piccolo capriccio, perché capisco che allungherebbe troppo il tragitto. Ripiego sulla parrocchia, che però trovo chiusa. Mentre ancora sono sul sagrato, noto che una signora mi osserva incuriosita dal suo terrazzo. Ne approfitto per chiedere un po’ d’acqua ma, prima che mi risponda, esce dalla porta il figlio e mi chiede con durezza che cosa voglia. Gli sorrido e ripeto la richiesta, presentando la mia borraccia. Constatato che non sono un forestiero minaccioso, il suo volto si ammorbidisce,  e alla fine me ne vado sia con l’acqua che con saluti cordiali da parte di entrambi.

Dopo il sottopasso autostradale, raggiungo Bussoleno. Qui si riuniscono definitivamente i due tratti paralleli della Via Francigena sui quali mi sono alternato tra ieri e oggi. Fra poco proseguiró sulla sponda sinistra della Dora, perlomeno fino a Susa. Proprio sul piccolo ponte, mi imbatto in un dettaglio che mi sorprende molto piacevolmente: sulle ringhiere sono state poste delle fioriere. Un tocco di buon gusto inedito per me, che mi pare capace di impreziosire non poco l’atmosfera. Chapeau!

Salgo fin dietro la ferrovia e continuo ancora su asfalto, purtroppo, ma se non altro il panorama è splendido. La valle da qui sembra ancora più ampia e verdeggiante; ci sono anche delle vigne e altri alberi da frutto. Fin dall’inizio del cammino, il mio vero street-food è proprio la frutta colta qua e là sul percorso: in particolare fichi, uva e mele.
È un gesto elementare, primitivo; non è solo sfamarsi, e nemmeno come pescare dalla fruttiera o dalla cesta di un supermercato. La cosa più divertente è ricordarsi che quelle golosità non sono state appese lì dove le strappo, ma ci sono nate. Da un’unghia del ramo è passato tutto ciò che poi è diventato succo, polpa, buccia, foglia. A quel peduncolo il frutto è rimasto attaccato per mesi pur essendosi fatto pesante, e rimanendo esposto a ogni condizione climatica. Eppure, a volte, per staccarlo serve pochissima forza. Non me ne intendo di botanica, ma sembra che tutto stia lì appeso proprio per essere colto, esclusivamente per quello, e riesco sempre meno a dare questa cosa per scontata. Nella nostra società, si può passare una vita intera senza staccare un frutto da un albero, e nel mio caso poco ci è mancato.

Forse queste sono solo suggestioni da pellegrino principiante, ma me le tengo strette perché mi lasciano col cuore aperto. Nella vita routinaria, i rischi che un cuore spalancato venga riempito alla svelta di immondizia – o venga vandalizzato – sono alti e frequenti, ma in cammino sembra molto diverso. Si accumula facilmente meraviglia, si vivono preziose e frequenti sorprese, si ricevono lezioni semplici ma mai banali, gesti d’affetto sbalorditivi. E anche quando qualcuno ti spegne un mozzicone proprio lì, brucia forte, sì, ma mai abbastanza per rovinare tutto. Anzi, come in tanti altri casi, capisci che anche le ferite sono necessarie perché la grande tavolozza di quest’esperienza mostri tutti i suoi colori.

Sceso dalle nuvole, mi accorgo che gli spuntini fatti mi hanno spalancato lo stomaco, oltre che il cuore, così mi fermo per una pausa a Foresto. Lì incontro una signora che, saputo dove mi sto dirigendo, mi raccomanda con grande pathos di farle un favore speciale: mi chiede di portare le sue preghiere in Francia, presso una località chiamata La-Roche-de-Rame, dove troverò un lago artificiale. Quasi con le lacrime agli occhi, mi mostra una vecchissima fototessera col volto di un giovane, appena ventenne. Era suo figlio e proprio lá morì annegato. Resto molto toccato da ogni dettaglio, e le prometto che lo farò.
La pagina su cui appunto offerte e intenzioni sta riempiendosi più di quanto avrei potuto immaginare.

Arrivo a Susa da dietro la stazione; lì c’è una lunga area di sosta per camper. Sapevo della sua esistenza perché amici di Beppe mi avevano consigliato di piantare lí la mia tenda. Trovo il luogo che mi hanno indicato, ma sono le due del pomeriggio, c’è un sole splendido e non ho dolori di nessun tipo, solo un po’ di sana stanchezza. Decido di proseguire.
Prima, però, mi regalo un altro meritato riposo e mangio qualcosa. Trovo subito da sedere ai margini di un parco, al bordo della strada principale. Mentre ricarico le batterie, sulla panchina di fianco viene a sedersi un’anziana signora, ma ancora incredibilmente ruspante. Si chiama Diomira e ha ben 96 anni! Mi racconta qualcosa della sua vita e, nonostante gli inevitabili lutti vissuti, trova anche qualche simpatico aneddoto per il quale ridiamo un po’ insieme. Una volta salutata, mai mi sarei aspettato di avere la fortuna che qualcun altro, altrettanto speciale, la sostituisse. E invece ecco arrivare un uomo, anche lui non certo giovane, vestito con una bizzarra tunica tutta colorata, lunga fino alle caviglie. Mi spiega di farsi chiamare Petrus, il suo nome d’arte. Fa il pittore da sempre, ha parecchi problemi di salute, ma ci scherza e ci fuma su. È un po’ originale anche nei discorsi, ma incredibilmente sorridente.
Arrivato l’ennesimo autobus, se ne va anche lui, e ormai è ora che anch’io mi dia una mossa.
Si riparte! Per quale paese? Mah! Sono in pieno affidamento.

Arrivo nel fulcro storico-artistico di Susa, e ammetto che è davvero bello. Il campanile della Cattedrale, Porta Savoia, l’arco di Augusto, l’acquedotto romano, i parchi: non conoscevo la sua storia millenaria.
La traccia mi porta infine davanti a un cancellino. Se non fosse che Luciano me lo aveva anticipato, difficilmente l’avrei aperto, e invece è proprio da lì che si passa. Lo supero, lo chiudo alle mie spalle e da lì scopro che parte un bella salita, stavolta in un bosco vero. Nonostante la fatica non da poco, l’affronto con euforia, sorretto anche dalla gioia inesausta per la mia miracolosa ginocchiera.

La parte più difficile, per fortuna, è solo all’inizio. Attraverso un’infilata di scenari naturali molto diversi. Mi godo tutto, sbaglio strada, la riprendo: sono contentissimo.
Dopo circa sei chilometri, arrivo nel paesino di Chiomonte, scendendo tra vigneti e muretti a secco; sono le quattro del pomeriggio. Mi dirigo alla chiesa, con il suo campanile svettante e appuntito: tenterò la solita strategia, chiedendo ospitalità al parroco. La porta è aperta e dentro ci sono due signore del paese a fare le pulizie. Una di queste, Giancarla, si fa carico con incredibile generosità di sopperire all’assenza del sacerdote. Mi accompagna nel suo ufficio e lo chiama per telefono, proponendo ella stessa una stanza al piano inferiore e ricevendo risposta positiva. È fatta anche stavolta! Cerchiamo insieme il timbro della parrocchia e, una volta segnata la credenziale, scendiamo nella mia nuova stanza. È una sala per attività varie, tipica di un oratorio. Ci sono tavoli, sedie, due bagni, panche, un telo per proiettore, materiale da disegno. Ha diverse grandi finestre che si affacciano su un piccolo giardinetto incassato tra le case dietro la chiesa. Mi avvisa della presenza di una coppia di villeggianti che abita al primo piano, Gabriella e Filippo. La casetta di fianco, invece, è abitata da un ragazzo.

Prima dei saluti, Giancarla mi consegna alcuni soldi da portare in offerta a Santiago per un parente malato. Li aggiungo all’elenco e anche a lei do la mia parola. Poco dopo faccio conoscenza del signor Filippo e della moglie, anche loro gentilissimi. Il marito, in particolare, è provvidenziale perché mi regala un tubetto di colla speciale per calzolai, che per evenienza porta con sé da parecchio tempo. Il motivo è che le mie fantastiche scarpe nuove mi hanno già fatto uno scherzetto: la piccola lingua di gomma che sta sulla punta si è già scollata. Con la cintura e un pezzo di cartone improvviso un gran laccio per tenerla premuta mentre la colla fa effetto.

Per la notte, viste le condizioni del pavimento, mi rassegno a replicare la soluzione pur fallimentare adottata a Lodi: unire dei tavoli e appoggiarci sopra il materasso. Perseverare è diabolico, dicono, ma ci provo comunque.

Prima di dormire, incontro anche Mot, il ragazzo della casa affacciata sul cortile, con il quale scambio solo due parole, ma sono sufficienti per cogliere sia una persona davvero per bene. Viene dall’Africa, e non ha avuto vita facile, ma ora qui ha trovato nuove radici ed è molto ben voluto. Sto conoscendo moltissima gente, e ascoltare dal vivo tutte le loro storie è sempre un’emozione e un arricchimento.

Non rimane altro che calare il sipario anche su questa grande giornata.
Francia, ci sono quasi!

19_ChiomonteDownload

Categorie:

Italia, Piemonte
Info Racconto Extra
cammino di santiago - roberto pesenti

03/09 Alpignano – Sant’Antonino di Susa (TO)

(Casa del Pellegrino – ospitalità parrocchiale)
27km


Mi sveglio di buon ora, mangiucchio qualcosa e raggiungo casa di Beppe, trovandolo fuori ad aspettarmi con altri due amici. Di certo fanno parte dell’associazione, perché portano tutti e tre la stessa maglietta.
Uno dei due è Luciano, il grande pellegrino di cui mi ha parlato il giorno prima, e l’altro si chiama Michele.

Mi confermano una cosa che aveva abbozzato ieri Beppe, cioè che potranno accompagnarmi solo fino a Sant’Ambrogio, dove inizia la salita per la Sacra. Sarà come un passaggio di testimone, visto che proprio lá dovrei trovare Sara ad aspettarmi.
Sembrano tutti ben felici di partire. Da parte mia, custodisco un senso di leggero disagio legato al fatto che non cammino con qualcuno da tempo, precisamente dalla partenza, quando Chiara e le altre mi fecero compagnia.
Oltretutto, in queste settimane per me la prima ora di marcia è diventata quasi sacra, emotivamente sempre molto intensa e gioiosa. Sono curioso di scoprire come andrà oggi.

Beppe è evidentemente un uomo che ama prendere iniziativa e dare forma benevolmente alle cose; ne trovo conferma anche stamattina, vedendo come da subito si pone di fianco a Michele, chiacchierando senza sosta solamente con lui. Mi pare lo faccia per permettere a me e Luciano di conoscerci e confrontarci fin da subito. È un gesto un po’ teatrale, ma simpatico.

Accetto il dono e rompo il ghiaccio col partner “assegnatomi”. Luciano si rivela fortunatamente un generoso narratore e mi parla appassionatamente di tutti i suoi cammini tanto audaci, che spero qui di appuntare fedelmente: è andato una prima volta a Santiago, poi successivamente ha fatto il cammino primitivo ed è tornato a piedi. E ancora, ha raggiunto l’Apostolo partendo da casa e tornato di nuovo “col due”, come ama dire. È una risposta molto simpatica che lui utilizza di fronte all’incredulità di chi gli chiede, appunto, come sia tornato dai suoi cammini: “Col due!”, come fosse un tram, mentre non sono altro che quelle due leve miracolose che natura ci ha dato per muoverci.
L’anno prossimo prevede di fare il cammino della Plata e, da Santiago, raggiungere poi addirittura Roma, ovviamente sempre a piedi. Che dire? Una vera vocazione tardiva, a quanto pare.
Parla sempre sorridendo, inanellando aneddoti divertenti e mostrando una memoria di ferro su tantissimi dettagli. Di quando in quando, gli pongo qualche domanda su cose che potrebbero essermi utili, e cerco di acciuffare ogni singolo dettaglio delle sue risposte, soprattutto riguardo al tratto francese, quello che temo di più.

Ascoltandolo, però, mi rendo anche conto che siamo due persone profondamente diverse, e non solo per l’età. La cosa di per sé sarebbe di certo fonte di arricchimento, ma purtroppo, invece, prendono forma nel dialogo dei piccoli attriti.
Ci spostiamo su temi differenti, ma la cosa non migliora. Al contrario, l’aria finisce col diventare un po’ elettrica, fino a che non trovo altra soluzione se non riprendermi un po’ il mio spazio.D’altronde non può bastare fare la stessa cosa per garantire una sicura sintonia, e il peregrinare, a quanto pare, non fa eccezione; ma va bene così.

Purtroppo, a questo piccolo imprevisto si aggiunge anche il fatto che soffro terribilmente il loro passo spedito. Sono più giovane, è vero, ma ho anche uno zaino che – ogni giorno di più – mi rendo conto essere davvero troppo pesante per me. Oltretutto, sarebbe mia abitudine anche rallentare di fronte a scenari particolarmente belli, perchè ho proprio il bisogno di goderli, di mettermici in relazione. Questa, però, non sembra essere un’esigenza condivisa dai miei compagni, e decido di onorare la loro presenza oggi allineandomi al loro passo.

I paesaggi sono splendidi. La giornata valorizza al massimo il fascino di questo primo tratto di valle, tanto aperto e soleggiato. Ancor prima delle otto, iniziamo già a vedere la Sacra di San Michele in lontananza.
Il sentiero si alterna a strade asfaltate; è semplice e piacevole da percorrere. Sull’altro lato della valle svettano le prime montagne. Mi viene fatto per la prima volta il nome del Rocciamelone, che non avevo mai sentito prima. Scopro che è una montagna particolarmente nota, e dal valore simbolico molto importante per tanti appassionati di montagna.

Passiamo anche nei pressi della Precettoria di Sant’Antonio di Ranverso, a Buttigliera Alta: un’abbazia molto originale, non grande, con un’architettura e delle decorazioni esterne del tutto nuove per me. Dentro dev’essere altrettanto bella, ma non è possibile visitarla. Attorno ci sono altre costruzioni affascinanti, simili nell’impianto decorativo ma apparentemente non religiose.


Arrivati a Sant’Ambrogio di Torino, alle basi del colle su cui svetta la Sacra, troviamo Sara, proprio come d’accordo. È raggiante e in splendida forma. Faccio le presentazioni e passiamo qualche minuto anche con Don Romeo, parroco del paese, entusiasta accoglitore di pellegrini. Abita proprio lì, di fianco alla chiesa dedicata a un certo San Giovanni Vincenzo, dalla splendida facciata in mattoni.
Dopo le foto di rito e i saluti, io e Sara imbocchiamo la salita verso l’abbazia, ma ci dobbiamo fermare subito, perché le viene in mente di aver dimenticato in macchina il pranzo preparato generosamente per entrambi. Meno male che si è ricordata! Una volta riuniti, riprendiamo il sentiero, che si rivela particolarmente ripido.
Fortunatamente, il bel tempo, i magnifici scenari e il piacere di essere lí insieme ci fanno comunque trovare il fiato per parlare lungo tutto il percorso, raccontandoci di noi, e soffrendo meno la fatica.


Arrivati all’abbazia, ci godiamo il panorama sia verso le Alpi che verso Torino, ma è l’imponenza ammaliante della Sacra stessa che lascia ammutoliti. Paghiamo ed entriamo in questo luogo monumentale e unico. La grande scalinata interna, detta “dei Morti”, proietta all’istante in epoche lontanissime. I primi insediamenti noti qui risalgono a quasi duemila anni fa, ma la gran parte dell’abbazia per come la si vede ora esiste comunque da un millennio. Ogni passo scatena l’immaginazione e la meraviglia.
Purtroppo, una volta entrato nella chiesa, resto stranito perchè il fascino magnetico appena sperimentato svanisce in un istante. Molti segnali poco in armonia con la bellezza del luogo sono disposti per far sì che le persone non entrino troppo a contatto tra loro, ma non è solo quello; anche l’allestimento decorativo mi pare disordinato e mi trasmette un senso di disarmonia: una questione molto soggettiva, certamente. Poco importa, comunque, perché ogni altro luogo fuori che quello mi lascia incantato.

Conclusa la visita, pranziamo beatamente al sole, per poi ripartire e scendere fino a Chiusa di San Michele. Da lì, Sara dovrà farsi ancora un bel pezzo di strada, a valle, per tornare all’auto. Il lavoro la aspetta, ma fortunatamente ha un po’ di flessibilità d’orario e possiamo goderci il tempo assieme.
Ci siamo aperti a fondo entrambi durante tutto il tragitto, e questo non ha fatto altro che rafforzare l’attrazione istintiva che mi era nata fin da quando l’ho vista. Nonostante ciò, per più di una ragione mi tengo a bada da qualsiasi gesto, seppur con enorme sforzo. Una volta scesi, rimaniamo un po’ insieme su una panchina. C’è un’incredibile tensione nell’aria e dividersi ora sembra quasi assurdo, ma soffoco tutto dentro e la saluto, ringraziandola per aver mantenuto la promessa e avermi accompagnato. Non lo dimenticherò facilmente, ma sono contento così. Non ho rimpianti.
Lei se ne va, mentre io rimango ancora un po’ ad ascoltare in silenzio i suoni di questo momento.

Riparto con calma. Manca ancora un’ora abbondante all’arrivo. Provo un senso di sollievo, quello di quando cammino nella natura senza altre persone. Non è un problema accontentarsi dell’asfalto; è una strada molto tranquilla che corre proprio ai piedi della montagna e tutto intorno è gradevole e pacificante.
I paesi di Sant’Ambrogio, Chiusa, Vaie mi trasmettono tutti un’impressione di familiarità. La vallata è larga, generosa; tra un abitato e l’altro c’è sempre respiro, e anche se molte case sono vecchie di decenni, tutto partecipa a creare un senso di sana vivibilità, di bellezza umile e a misura d’uomo.

Anche Sant’Antonino mi dà le stesse sensazioni. Grazie a Beppe, trovo qualcuno ad aspettarmi presso la casa parrocchiale. Ricevo saluti cordiali, molto apprezzati, dopodichè vengo accompagnato all’interno di un grande cortile su cui si affacciano, tra gli altri, i locali adibiti a Casa del Pellegrino.
Non sarò solo, c’è un’altra persona, ma non è un viandante. Si chiama Vincenzo e vive proprio lì, non so da quanto tempo. Non è molto espansivo, sembra un po’ giù di morale. Rispetto la sua necessità di essere lasciato in pace, e mi dedico alle solite cose. Vado poi a comprare qualcosa per la cena nel mini-market che si affaccia sulla piazza.
Consumiamo la cena insieme a tavola, anche se lui si cucina le sue cose. Pur limitandoci a poche parole, ci raccontiamo qualcosa su noi stessi. Per motivi che non conosco, da tempo non ha più un lavoro e sta facendo molta fatica per trovarne uno. Ha perso molto ottimismo per strada e l’amarezza è palpabile, unita anche ad una certa asprezza. Ciononostante, riusciamo a regalarci qualche scambio di battute abbastanza sereno, e credo sia già molto.

18_SantAntonino-di-SusaDownload

Categorie:

Italia, Piemonte
Info Racconto Extra
cammino di santiago - roberto pesenti

02/09 Torino – Alpignano (TO)

(Cascina Govean – Legambiente)
16km

Dopo colazione Federico insiste per accompagnarmi almeno alla Basilica di Santa Maria Ausiliatrice. Mi spiega che è stata voluta proprio da Giovanni Bosco, a ridosso del luogo dove cominciò la sua missione. Lui ci va ogni mattina, restando addirittura per due messe e facendo la comunione entrambe le volte. Lo fa perché ha abbracciato la tesi di un’amica, secondo la quale è valido vivere il sacramento anche per qualcuno che non può presentarsi. Non posso dire nulla a favore o contro questa convinzione, ma di certo è una grande conferma dell’altruismo di Federico.

Do solo un breve sguardo all’interno della chiesa, poi saluto l’amico e mi metto in marcia, anche oggi piuttosto tardi. Partire dalla basilica mi permette di ricollegarmi al percorso corretto evitando il grande Corso Francia. Percorro invece una dozzina di vie secondarie della periferia ovest: un’immersione interessante nel tessuto vivo della città.

Ieri l’amica Sara Zanni, di Milano, mi ha messo in contatto con Fabio, un pellegrino abitante a Trana, a pochi chilometri dall’imbocco della Val di Susa, non esattamente sulla mia rotta. In questo momento è bloccato per un brutto infortunio, ma ha esperienza da vendere, tanti contatti utili e una disponibilità splendida.
Quando mi ha chiesto cosa avevo in mente di fare oggi, gli ho spiegato che pensavo di limitarmi ad una tappa breve, per evitare il rischio vesciche con le scarpe nuove; il mio progetto era mettere la tenda vicino al Castello di Rivoli. Proprio grazie a lui, però, ho trovato poi un appoggio prezioso nel gruppo “Amici del Cammino” di Alpignano, in particolare in un certo Beppe. Fabio gli ha dato il mio numero e stamattina ho già ricevuto una sua chiamata, quando ancora ero a casa di Federico. Per raggiungerlo, devo per prima cosa arrivare all’aeroporto di Collegno.

La particolarità della Via Francigena nel primo tratto della Val di Susa è di dividersi in due tronconi paralleli, uno per ogni sponda della Dora Riparia, fiume che scorre per tutta la valle.
Io per oggi imboccherò quello che si affaccia sulla sponda orografica sinistra, poi deciderò in base a dove troverò da dormire. Fabio mi ha passato diversi nominativi, e ho anche già prenotando un letto a Exilles, nonostante la raggiungerò fra quattro o cinque giorni. Tutto può ancora succedere.
Non sono nemmeno certo che domani salirò sulla Sacra di San Michele. Ho un po’ paura di approfittare troppo del mio ginocchio, ma il luogo mi dicono essere spettacolare, e in più ho lo stimolo di poter rivedere Sara, la bibliotecaria incontrata ieri.

Arrivo al Campo Volo più o meno a metà mattina, dopodiché ricevo dal mio traghettatore il resto delle istruzioni; sembra quasi una missione segreta. Potrei usare il navigatore, ma è troppo bello così.
Gambe in spalla! Entro nel paese di Collegno, attraversando un grande parco a fianco di edifici legati in qualche modo alla sanità pubblica. Mi ricordano incredibilmente un grande presidio presso la mia città, e infatti scopro che anche in questo caso si tratta di un ex ospedale psichiatrico.
Costeggio un’altra chiesa dedicata a San Lorenzo, dopo quelle di Bergamo e di Ronsecco. Da lì, poi, si passa nel centro della cittadina, che mi fa davvero un’ottima impressione.

Arrivato in fondo, attraverso la Dora e continuo a seguire le tracce della Francigena, ma a un certo punto la lascio per restare a lato del fiume. I sentieri che lo costeggiano, infatti, sono a tratti bellissimi. Si alternano scenari con caratteristiche molto diverse e il fiume stesso sembra avere una propria personalità, un fascino che non so nemmeno spiegarmi.

Poco prima di raggiungere il punto d’incontro, fraintendo un segnale e mi imbuco in un sentiero senza sbocchi, sempre lungo la Dora. Perdo un po’ di tempo, ma ho anche il piacere di scoprire nuovi scorci fluviali particolarmente affascinanti.
Tornato sui miei passi, finalmente riesco a raggiungere il buon Beppe che, pazientemente, mi aspetta di fianco alla sua macchina. Percepisco subito la sua naturale attitudine al prendersi cura e iniziamo immediatamente a dialogare con gran gusto. Mi accompagna a casa sua: bellissima! Un luogo caldo e accogliente, come d’altronde lo sono sia lui che la moglie Angela, una delle migliori padrone di casa che abbia incontrato. A farci compagnia, anche Federica, la giovanissima nipote. Di lei mi lasciano ammutolito l’educazione e la maturità. Si intrattiene con noi come fosse un adulta, con modi piacevolissimi, sicuramente ereditati dai nonni.

Beviamo insieme un aperitivo e poi ci gustiamo un ottimo pranzo, finendo con un genepy fatto in casa. A quel punto Beppe mette alla tv un bel video con tutte le fotografie del suo Camino del Norte. È solo uno dei tanti che ha percorso, ma mi accenna anche a imprese ben più grandi vissute dall’amico Luciano, che dopo la pensione ha abbracciato la vita pellegrina in modo superlativo, partendo e tornando da Santiago a piedi in vari modi.
Mi promette che farà di tutto perché io possa incontrarlo il giorno dopo. Infatti, ha già deciso di accompagnarmi per la tratta di domani, e sta tentando di arruolare almeno un altro paio di amici dell’associazione.
Nel frattempo, mi ha già trovato da dormire sia per stanotte che per quella seguente – a Sant’Antonio di Susa, presso una casa della parrocchia. Questo significa che passeremo sull’altro versante della valle, cosicché salire alla Sacra diventa ormai una cosa irrinunciabile. Non perdo tempo, quindi, e avviso Sara, che mi conferma la sua presenza: mi aspetterà proprio alla partenza della salita, presso la parrocchia di Sant’Ambrogio di Torino.
Tutto sembra prendere forma in maniera splendida.

Conclusa la felicissima parentesi presso casa di Beppe, lui stesso mi accompagna alla cascina Govean, sede multifunzionale di Legambiente posta su una collina del paese. È lì che dormirò questa notte.
Il luogo è poco distante e, manco a dirlo, immerso nel verde. È bellissimo, e quando arrivo è anche stracolmo di bambini: sono tutti occupati in qualche attività con gli educatori, o semplicemente intenti a godersi il cortile e il parco, giocando a più non posso.
Mi accoglie con molta gentilezza il referente, di cui non ricordo più il nome, ma per il quale Beppe ha speso parole di grande stima. Attorno a lui, una ciurma di giovani collaboratori. C’è davvero tanta energia positiva.

La mia stanza sarebbe per quattro, ma sono il solo ospite quel giorno a dormire in cascina. Ci sono travi a vista e solidi letti a castello in legno. Mi piacerebbe vivere qualche momento con i bambini e con gli educatori, ma non trovo lo spiraglio giusto per presentarmi senza sembrare invadente. Nessun problema: non mi fa male un po’ di riposo, ma solo dopo una passeggiata esplorativa nel bel parco di fronte.

La sera rimane un gruppetto di giovani operatori a mangiare in cortile. Io ho già cenato da un pezzo, per poter andare a letto presto e tentare di partire ben riposato domani. Provo comunque a scendere, almeno per salutare, ma il cerchio sembra chiuso e, con goffa nonchalance ritorno in stanza, ma va bene anche così.

17_AlpignanoDownload

Categorie:

Italia, Piemonte
Info Racconto Extra
cammino di santiago - roberto pesenti

01/09 San Raffaele Cimena – Torino

(da Federico, tramite Couchsurfing)

La notte ho avuto un fastidioso disguido. Entrato in casa per andare in bagno, ha iniziato a suonare un allarme assordante. Ahimé, il buon Savino si era dimenticato di disattivarlo, e io non ho potuto far altro che rimanere ad aspettare desolatamente che scendesse a spegnerlo, dispiaciuto per aver contribuito a quel disturbo.
Ritrovati a colazione, poi, ci intratteniamo molto a lungo a parlare e la partenza slitta intorno alle 8:20. Ho anche il tempo di veder tornare i bambini, e quindi poter salutare proprio tutti. Qualcuno ha perfino gli occhi lucidi. Sono i superpoteri del pellegrino: nel pieno del proprio sogno, gonfio d’amore che gli arriva da ogni cosa, scatena sorpresa a chi ha il cuore aperto per qualche motivo. Ogni volta, però, l’ora degli addii arriva sempre prestissimo. Il pellegrino non è un uomo migliore di altri, ma nel suo lungo e lento tuffo credo diventi simbolo. È ciò che lui evoca che tocca i cuori. Oggi penso questo.

Il tempo è splendido, ma per tutta la prima parte della mattina riverso la mia attenzione sullo smartphone. Non è certo un piacere, ma voglio organizzare al meglio il mio passaggio a Torino. Un posto dove dormire l’ho già trovato tramite Couchsurfing, ma il fatto è che sta nell’estrema periferia nord. Non sarebbe stato un problema, avrei semplicemente potuto deviare, ma devo prima passare per forza dal centro per riuscire a risolvere il problema delle scarpe. Non sono ancora rassegnato a comprarne un altro paio, perché sono ancora in ottimo stato, fuori che quel brutto scollamento. Voglio chiedere una consulenza per capire se sia possibile ripararle, anche se so che dovrei essere talmente fortunato da trovare anche qualcuno che me lo faccia all’istante.
Creo un programma serratissimo, cercando i migliori calzolai e i negozi dove avrei maggiore scelta, laddove non rimarrebbe che comprarle. Al contempo, studio le varie possibilità per raggiungere l’appartamento dove dormirò e come poi mi potrò ricollegare all’itinerario tradizionale. Torino è una metropoli e io ci arriverò appena dopo pranzo, quando i negozi saranno chiusi. Mi scervello perché sono convinto che, prendendola alla leggera, rischierei di perdere troppo tempo e magari trovarmi costretto a passare un giorno in più in città.

Riemergo dallo schermo di quando in quando, per assicurarmi di non sbagliare strada, ma a grandi linee riesco comunque a rendermi conto dell’ambiente che sto attraversando. Uscito dal San Raffaele, il percorso costeggia il canale Cimena fino al paese successivo, oltre il quale incontro un ragazzone barbuto che cammina in senso opposto al mio. Porta un grande zaino, e infatti è un pellegrino anche lui. È francese e molto giovane; cammina già da circa 700 km e sta dirigendosi a Roma. La sua partenza non è stata meno improvvisata della mia, a quanto pare, e incontrarlo mi emoziona molto, forse perché viene a piedi proprio dal prossimo Paese verso cui sono diretto, quello che più mi spaventa. È partito molto prima di me stamattina e intuisco che non gli dispiacerebbe mantenere il passo, ma riesco a strappargli alcune informazioni, qualche consiglio per il mio passaggio oltralpe e pure una foto ricordo, che non guasta.

Durante una pausa a metà mattina, incontro e scambio quattro chiacchiere anche con Veronica, una ragazza argentina che vive da queste parti e che stava portando a spasso il cane. Ormai socializzo con chiunque incontri! Ridiamo un po’ assieme e ci salutiamo senza null’altro che il piacere di quei pochi minuti.

Poco dopo, arrivo di nuovo sulle sponde del Po, presso San Mauro Torinese. La passeggiata in pavé che si affaccia sul fiume è particolarmente piacevole. Da una terrazza si può già vedere la Mole. Mancano almeno dieci chilometri ancora per raggiungerla, sarà meglio darsi una mossa. Voltandomi, invece, mi rendo conto che siamo ai piedi del colle di Superga, con la sagoma in controluce della Basilica. A volte è bello trovarsi in mezzo alla natura, in posti sconosciuti, ma non è male nemmeno camminare in luoghi più familiari e significativi. Sono già stato a Torino varie volte, ma ovviamente non l’ho mai raggiunta a piedi. In questo momento sono circa 400 i chilometri che mi separano da casa, e li ho fatti tutti camminando! Sembra impossibile, io stesso fatico a crederci. A pensarci mi viene quasi da ridere.

Il percorso prosegue imboccando una ciclovia godibilissima, che sbocca nel magnifico Parco del Meisino, in corrispondenza di una grande ansa del fiume. Camminare in queste aree mi dà un piacere incredibile. Mi continuo a ripetere quanto siano fortunate le persone che abitano in queste zone, convinto che molte altre parti della città non godano di polmoni verdi di queste proporzioni.

Anche quando il Parco finisce, la pista continua parallela al Po, e per la maggior parte del tempo si gode dell’ombra di grandi alberi. A un certo punto, ormai a un passo dal Ponte Vittorio Emanuele Primo, mi imbatto in un Bibliobus parcheggiato in un’area di sosta tra il fiume e la strada. È spalancato e dentro si possono vedere scaffali pieni di libri, e anche fuori ci sono diversi espositori. È decorato con coloratissime illustrazioni, ma a dominare su tutto è il rosa shocking dell’abito indossato dalla giovane bibliotecaria seduta al tavolo dei prestiti.
Curioso come al solito, mi avvicino per fare qualche domanda, d’altronde le biblioteche per me sono sempre posti speciali ed è la prima volta che vedo un servizio come quello. A dirla tutta, però, non sono queste le sole ragioni, infatti non resisto dal voler conoscere la ragazza.

Con lo zaino in spalla e nel pieno di un grande viaggio, rompere il ghiaccio ormai è diventata una sciocchezza, anche se aiuta anche il fatto di sapersi di passaggio, senza nessuna aspettativa né possibilità, se non quella di godersi due parole e qualche sguardo, quando va bene.
Lei si chiama Sara, e la prima grande sorpresa è che si rivela essere anche lei una camminatrice. Anzi, lei è già stata sul Cammino, quindi tra noi due sono io il principiante. Ci raggiunge anche Luca, il suo collega. Lui è di Rivoli, e per un attimo sogno che possa essere un clamoroso aggancio per trovare in anticipo l’alloggio per domani, ma non sembra dell’idea.
Saputo che passerò dalla Sacra di San Michele, Sara mi fa una proposta che mi lascia di stucco: si offre di accompagnarmi per salita e discesa dalla famosa abbazia. L’idea è splendida, le chiedo soltanto di darmi un giorno di tempo per darle conferma. Dopodiché scambio il numero con entrambi e riparto. Ma pensa un po’ la vita! Sarebbe la prima persona in questo cammino che incontro in giorni diversi.

Pochi minuti e sono sul ponte che dà accesso al centro della città. Ci sono poche auto, o almeno così pare. Gli spazi sono così grandi… Da una parte c’è Piazza Vittorio Veneto, dall’altra il tempio della Gran Madre. Un nome insolito per una chiesa, ma anche affascinante; sembra più pagano che cattolico.
Tornare da queste parti mi emoziona. L’ultima volta ci ho passato due giorni, da solo, per assistere ad uno dei concerti più belli della mia vita, Yann Tiersen al Teatro Colosseo, l’anno scorso. Due anni prima, invece, partii da qui per andare a fare una settimana a Taizé, la mia prima e unica. Anche a vent’anni, quando iniziai a studiare arte contemporanea, fu qui che venni a vedere una delle mie prime mostre; era di un surrealista che nemmeno mi piaceva, Paul Delvaux. Non sono molte le città in cui sono tornato più volte, e stavolta ci sono arrivato addirittura senza mezzi.

Ho almeno un paio d’ore in attesa che apra il calzolaio che ho scelto. Affamato, ho la fortuna enorme di trovare una focacceria specializzata in specialità liguri, non ho bisogno d’altro. Scelgo l’abbinata dei miei sogni: focaccia di Recco e farinata. Straordinarie! Molto gentilmente, i proprietari mi lasciano mangiare dentro, su una mensolina, anche se non si potrebbe, sempre per via del virus. Quando riparto, saluto e vengo salutato con grande cortesia; è il gesto più semplice del mondo, ma fa sempre la differenza.

Il cielo e il sole sono al loro meglio, e la città di conseguenza. Passo del tempo in un negozio di bigiotteria molto originale. È pieno di collane e orecchini che piacerebbero tantissimo a una mia ex, ma mi trattengo dal fare regali che poi farebbero solo casino. Non mi faccio mancare un bel gelato. Cerco il posto in base alle recensioni sul web; può non esser molto poetico, ma funziona. Scopro l’estasi della stracciatella al gusto di caffè, uno dei gusti migliori mai assaggiati in vita mia. Inaspettatatmente, sembra stia diventando il pellegrinaggio dei gelati e delle vasche da bagno.

Tra una cosa e l’altra, finisco spesso a pensare al beneficio che mi ha dato la ginocchiera comprata a Mortara: c’è quasi del miracoloso. Mi domando quanto avesse ragione Marco, un conoscente che sosteneva che il problema al ginocchio rappresentasse la parte di me che non accettava la partenza. Sono arrivato a pensare che forse in parte sia vero. Ogni volta che mi fermo la allargo per lasciare riposare la pelle e il tessuto; è anche comodissima. È strano come questo tema riesca a mettermi in pace. Di certo è perché sembra lo abbia risolto, ma credo anche sia per via degli esperimenti di dialogo col corpo. Inizio a pensare che sarà un qualcosa che sperimenterò ancora più a fondo durante le prossime settimane.

Arriva l’ora della consulenza del calzolaio. La sentenza è inappellabile: pollice in giù! È possibile incollarle, ma prevedendo poi solo un uso per piccole gite; non potrebbero sopportare tutto quello che ancora mi aspetta. Ricevuto.
Poco lontano trovo quel paio di negozi monomarca in cui già avevo programmato di recarmi se fosse andata così. Nel primo tutto costa troppo, mentre nel secondo trovo opzioni più adatte a me. Il proprietario, a quanto dicono certe recensioni sul web, ha la fama di avere un carattere poco cordiale, diciamo così, e anch’io ne faccio esperienza. Nessuna disonestá, solo poca gentilezza. Per fortuna, una delle commesse mangia la foglia e mi assiste nella scelta con grande premura. Scambiamo due chiacchiere piacevolmente ma, quando sto quasi per decidermi, viene mandata a fare altro e sostituita da una collega che sembra sintonizzata sulla stessa lunghezza d’onda del titolare. Mossa molto chiara. Mi chiedo di cosa abbiano paura. Mi accompagna in cassa e mi comunica il prezzo. Le scarpe sono di una linea vecchia, ma intuisco che chiedere uno sconto a questo cyborg sarebbe inutile.

Eccomi, quindi, a muovere i primi passi con le mie scarpe nuove di zecca. Sono più leggere delle altre e non mi danno nessun fastidio, nonostante debbano ancora prendere la forma del piede. Se già sono comode ora, mi immagino poi! Spero proprio di non incappare in vesciche o chissà che altro.
Porto con me anche quelle vecchie perché ho già deciso dove lasciarle.
Prendo l’autobus e scendo alla fermata prima della casa di Federico, il ragazzo che mi ospiterà stasera. Usare un mezzo non mi fa sentire in colpa neanche stavolta, per il semplice fatto che l’autobus mi porta indietro rispetto al mio senso di marcia. Cammino qualche minuto e suono alla casa parrocchiale di una chiesa dedicata proprio a San Giacomo. Non è un caso trovarla ora, perché avevo già programmato ieri di passarci. Piuttosto, lo è stato scoprire che era vicina a dove avrei dormito, quello sì. Chiedo se sia possibile avere un timbro per la mia credenziale e ne approfitto per lasciare anche le mie scarpe, spiegando di non farsi intimorire dalla grandezza della parte scollata, perché sono facilmente riparabili e ancora perfette per un uso normale. Il sacerdote cede alle mie insistenze, anche se poco convinto siano poi un grande affare. Spero si ricreda e che il calzolaio abbia detto la verità.

Alleggerito e contento, raggiungo finalmente la dimora di stasera: un palazzone moderno e altissimo, almeno per i miei standard da provincia. L’appartamento è addirittura all’ultimo piano.Federico è un uomo pieno di energia, generosissimo ed entusiasta di incontrare persone nuove; ne ha ospitate un numero sbalorditivo. Mentre finisce il suo lavoro al computer, mi lascia tranquillo a sistemarmi e fare la doccia. Mi invita anche a godere dello spettacolo dal balcone e dalla terrazza in cima all’edificio, e in effetti il panorama in entrambi i punti è eccezionale. Anche la grande area industriale circostante, con le sue immense proporzioni, mi produce un certo fascino; forse perché la posso guardare dall’alto, oppure perché ha come sfondo le Alpi, sovrastate da un cielo splendido. Sono bastati pochissimi giorni per vederle ora così vicine, è incredibile, eppure ricordo che a Lamporo mi sembravano straordinariamente distanti. È un altro grande fronte di scoperta del viaggiare camminando: capire quanto sia efficace spostarci sulle nostre gambe. Non si può capire se non si sperimenta.

Passiamo una splendida serata, parlando davvero di tutto. Mi spiega che riesce a lavorare facilmente da casa, ma da sempre si dedica anche a un numero di attività che mi lascia sbigottito. Mi racconta aneddoti di ogni genere; sembra aver vissuto tre vite in una. Ha competenze ampissime, ma una delle sue caratteristiche maggiori sembra essere una generosità senza misura. Pensando a quante persone ha ospitato, resto stupito quando mi confessa che sono l’unico che ha voluto lavare i piatti, ma mi fa piacere essere ricordato per questa dovuta gentilezza.

Buona notte, Torino.

16_TorinoDownload

Categorie:

Italia, Piemonte
Info Racconto Extra
cammino di santiago - roberto pesenti

31/08 Lamporo – San Raffaele Cimema (TO)

(in tenda da Savino e Angela)
35 km

La notte è stata particolarmente inquieta, ma la mattina mi consolo con la compagnia del buon Giancarlo, che ha accettato di svegliarsi presto e fare colazione con me.
Alla partenza, il paesino è immerso in una luce ancora molto tenue. Se ne esce come si è entrati: seguendo il canale. C’è addirittura una chiesetta che gli sta a cavallo. Non oso immaginare l’umidità, però una scelta simile è manifestazione di una creatività non scontata, che apprezzo molto.

Una volta tra i campi, ritrovo la vista delle Alpi. Hanno le cime già rosate da un sole che io ancora non posso vedere. In pochi secondi, inaspettatamente, esplodo in una commozione strabordante. Mi aspettavo un’emozione intensa stamattina, con l’alba sulla grande catena montuosa, ma non così. Quei massicci mi trasmettono qualcosa che non so interpretare, e che entra in me squarciando ogni difesa. È come un vento benevolo, tiepido, ma fortissimo, e dentro mi pare di sentire pezzi che si staccano e si frantumano. Rimane una grande spaccatura, è come fossi cavo ora, eppure senza sentirmi mancante di qualcosa. Tutto può passare attraverso; sono sopraffatto dallo sconvolgimento, ma sento anche di essere più leggero. Piango moltissimo e, come nei migliori momenti, un riso liberatorio fa compagnia alle lacrime.
Mi nascono parole di preghiera e le appunto; hanno anche loro un colore speciale oggi. Come inizio di giornata, direi che non è niente male.

Questa volta mi ci vuole parecchio tempo per tornare in me. Nel frattempo, il sole è salito ma qualche nuvola gelosa e isolata sembra voglia coprirlo a tutti i costi. Raggiungo e attraverso il Canale Cavour. Ne ho visti molti fin qui, ma vivo la strana sensazione di un primo incontro, forse perché di certo è il più grande che ho incontrato. L’acqua scorre calma e la sua superficie è perfettamente piatta, sembra quasi solida. Mi dà un senso di sobria eleganza. Lo lascio, sapendo che più avanti ci incontreremo ancora.

Trovo altre scritte su qualche cippo. Una dice:

Camminiamo, leggiamo e balliamo.
Questi tre divertimenti non potranno mai fare del male al mondo”.

Un’altra:

Una briciola d’oro non ti dà una briciola di tempo”.

Questa è pesantissima, un colpo di maglio. In fondo nella vita ci vogliono entrambe le cose: qualcosa che dia slancio ai nostri voli sognanti, e qualcos’altro che che ci radichi nella concretezza.

Attraverso anche la Dora Baltea, che fino ad oggi per me era stata solo un nome bellissimo conosciuto quasi trent’anni fa sul sussidiario delle elementari e mai più apparso nella mia vita.
A Torrazza Piemonte mi imbatto in un gigantesco cantiere proprio sul tragitto che devo seguire. Aggirandolo allungherei troppo il percorso, così lo attraverso sfacciatamente, oltrepassando nastri e recinzioni. Tutto fila liscio, vengo notato ma nessuno si interessa alla mia presenza.
Purtroppo pago comunque la mia apparente furbizia, perché sbaglio strada una volta uscito dal cantiere, e me ne accorgo solo un quarto d’ora dopo, ormai fuori rotta. In questi casi la cosa che preferisco è farmi un regalo di consolazione, qualcosa che riempia lo stomaco, mi rilassi e mi dia energie per ripartire.

Faccio tappa al supermercato, quindi, e mi regalo una merenda. Cercando di tornare sul percorso giusto, poi, incrocio una coppia di anziani a passeggio sotto il sole, mano nella mano. Mi volto spesso a riguardarli mentre si allontanano. Non ci si stanca mai di vedere certe cose.

Come previsto, ritrovo il Canale Cavour, ma questa volta ci camminerò di fianco fino a raggiungere Chivasso. Una volta là, mi fermo a pranzare in una pizzeria all’ingresso della cittadina, ingolosito da un cartello con scritto “Pizza al tegame”. Sono l’unico cliente e al proprietario accenno il fatto di essere alla ricerca di un alloggio economico o di un luogo dove piantare la tenda. Inizialmente sembra entusiasta del mio viaggio e mi dà l’impressione finirà col rispondere alla mia domanda con qualche utile dritta. In realtà, non appena finisce di cuocere la pizza, se ne va a fumare e mi lascia al mio pranzo senza concludere il discorso. Decido quindi di bussare come al solito alla porta del parroco.

Trovo la chiesa aperta, ma una gentilissima donna delle pulizie, Maddalena, mi avvisa che il sacerdote è fuori paese. Nel frattempo entra con passo sportivo una signora, lasciando fuori dalla porta il passeggino che spingeva. Va a ringraziare davanti all’altare, in piedi e a braccia aperte, cantando qualcosa a voce bassa. È bello vederla, ma intanto vado con discrezione a dare un’occhiata al passeggino, che così abbandonato per strada mi preoccupa un po’, ma per fortuna lo trovo pieno solo di una borsa della spesa.
Quando la donna esce non la fermo. Forse però sbaglio, perché l’intuito mi diceva di farlo, per chiedere anche a lei per un alloggio. Comunque ormai è andata.
Cammino ancora un po’ per il centro, ma è come se in questo paese non percepisca un clima ideale per me. Provo comunque a chiedere ad altre persone: prima una coppia di impiegati comunali che aveva appena staccato, poi un uomo distinto seduto su un panchina poco distante. Seppur cortesemente, tutti mostrano di non avere intenzione di aiutarmi.

Mi nasce in testa la convinzione che il paese successivo, San Raffaele Cimena, farà al caso mio. Ho ancora energia nelle gambe, e mi butto. Esco da Chivasso attraversando per la prima volta il Po e sbucando in scenari collinari molto simili a quelli del mio paese d’origine. Il cielo ha qualcosa di strano: la luce del sole è fortissima, ma non si ha quella percezione di biancore diffuso. Tutto è limpido, nitido, e il blu del cielo è particolarmente intenso, occupato qua e là da nuvole che sembrano sculture di marmo. Non so, è come quando si passa ad un televisore 4K, qualcosa del genere. L’arsura si somma alla fatica per i tanti chilometri percorsi, ma il fisico regge comunque bene, probabilmente sostenuto dalla bellezza attorno.

Attraverso un’area lungo il fiume dove tutto, ma proprio tutto, è ricoperto da una sorta di edera infestante. Infinite foglie brillanti rivestono ogni centimetro quadrato di superficie, come un mosaico: una cosa mai vista.

Avvicinandomi poi a San Raffaele, vicino a dei frutteti, incrocio un uomo in bicicletta che traina un carretto con sopra due bambini. Hanno tutti e tre un’espressione molto simpatica e sembra si stiano divertendo un mondo. Mi presento e provo a chiedere se in paese potrebbero esserci luoghi dove io possa piantar la tenda senza infastidire nessuno.
Il signore alla guida si chiama Savino, ed è il nonno dei due bambini. Mi dice che di fronte a casa sua ci sarebbe posto. Poi, pensandoci un altro po’, cambia idea e mi propone di stare da lui per questa notte, convinto che anche la moglie sarà d’accordo. Wow! Ancora una volta resto stupefatto e ringrazio con tutto il cuore.
Mi indica dove si trova la casa e ci diamo appuntamento, perché prima deve finire il tour coi simpaticissimi nipoti. Più che giusto!

E così, eccomi a camminare più felice che mai, rinvigorito dalla splendida novità. Arrivato al paese, noto subito che ha un aspetto davvero molto arioso e curato, trasmettendo la sensazione di una buona vivibilità. Chiedo a un passante dove potrei trovare dell’acqua. Con mio gran piacere, anche lui mi risponde con un bel sorriso e viva gentilezza, indirizzandomi al parco vicino. Una volta là, domando a dei bambini dove si trovi la fontana. Anche loro mi indirizzano con una cortesia quasi appassionata. Forse sono solo stato molto fortunato, ma l’impressione è che questo paese sia un’insolita oasi di buone maniere e generosità.

Mi dirigo poi alla chiesa per farmi timbrare la credenziale. Al suo interno, ho il piacere di trovare appesa l’immagine di Chiara Luce Badano, di cui conosco la biografia. È la prima volta che ne vedo il ritratto affisso in un luogo sacro. Oltre a me non sembra esserci nessuno, ma in bacheca c’è l’indirizzo e il numero del sacerdote. Abita lì dietro; suono, ma nessuno risponde.
A fianco della chiesa scopro esserci il Comune. Provo lì, ma un cartello indica che si può entrare solo su prenotazione, per via del Covid. Provo allora a chiamare per telefono il parroco. Si dimostra molto affabile, ma purtroppo è in vacanza e non può aiutarmi. Proprio in quel momento una bambina esce dal Comune. Le chiedo se possa entrare anch’io, spiegandole il motivo. Mi risponde che la sua mamma lavora lì e può domandarglielo; così entra e, un minuto dopo, torna con un via libera. Perfetto! Dentro trovo alcune impiegate che confermano a loro volta la diffusa cortesia del paese. Ascoltano entusiaste le cronache delle mie prime due settimane di viaggio e mi offrono anche un tè. Ricevuto poi un bel timbro sulla mia credenziale, ci salutiamo in allegria.

Poco dopo, sono fuori da casa di Savino. Angela, la simpatica moglie, si presenta subito. Riescono subito a mettermi a mio agio, facendomi capire chiaramente che per loro non sono assolutamente un disturbo; sentirsi accolti in questo modo è stupefacente. I due nipotini sono incuriositi dal fatto che tutte le cose che mi servono stiano dentro a uno zaino, ed esprimono il desiderio di vedere la tenda montata. Così, prima che arrivi a prenderli la mamma, decidiamo coi nonni di piantarla in giardino. Mi diverte collezionare un’esperienza di campeggio anche in un cortile privato.
L’unica nota dolente di questa giornata è lo scoprire che mi si è letteralmente aperto uno scarponcino, scollandosi proprio sulla punta per almeno quattro o cinque centimetri. Mi consolo pensando che domani arriverò in una grandissima città come Torino, dove certamente troverò un gran numero di negozi che faranno al caso mio. Fossi stato in mezzo alla campagna, avrei dovuto di certo prendere dei mezzi e scombussolare tutti i miei programmi.

Una volta arrivata la mamma, salutiamo i piccoli e io posso approfittare di una doccia rigenerante. Passiamo il resto del tempo in cucina, dove ceniamo e ci raccontiamo le nostre vite. Come sempre sembra accadere, ne nasce una condivisione intima e preziosa, dove non mancano tanti momenti divertenti.
Arriva infine l’ora di andare a dormire, ed è quasi buffo salutarli alla porta e sistemarmi in cortile. Grazie al cielo mi sono ricordato di chiedergli le chiavi in prestito, nel caso dovessi andare in bagno.

15_San-Raffaele-CimenaDownload

Categorie:

Italia, Piemonte
Info Racconto Extra
cammino di santiago - roberto pesenti

30/08 Ronsecco – Lamporo (VC)

(Hospitale don Francesco Ottavis)
22km

Parto senza troppa fretta, vista la nottata turbolenta e i pochi chilometri previsti per oggi. Riconsegno le chiavi al bar. Fabio sceglie di offrirmi la colazione e quando ci salutiamo si commuove un po’. La generosità e l’umanità di questa famiglia è incredibile!

Durante la prima ora abbondante, attraverso i campi in mezzo a una fitta nebbia. A molti forse sembrerebbe tetra, ma a me dà un senso di poesia ed eleganza straordinari. È lo stesso paesaggio che ho amato i giorni prima, ma ora sembra essersi mascherato; eppure sa sedurmi anche così: ingrigito e appannato.

Incontro grandi stormi di cicogne: prima ferme in un certo luogo, le vedo poi sollevarsi in volo tutte assieme e riprendere posizione altrove, o infine volarsene via. Bellissimo.
Altri protagonisti di questi scenari sospesi sono degli imponenti tralicci elettrici. I cavi che li collegano tracciano onde flessuose che si perdono all’orizzonte. Inaspettatamente le loro sagome non stonano nella scenografia lattiginosa di stamattina.

A un tratto, noto in lontananza un edificio molto grande, sviluppato in orizzontale: è la tenuta Darola. Alcuni dettagli mi fanno intuire che non sia una costruzione qualsiasi; ha un’architettura troppo elegante, sembra una reggia rurale.
Lungo le facciate ha tante finestre – cieche e non – disposte in file ordinate; il portale è sobrio e imponente. Aggirandola lentamente, capisco che si sviluppa su una pianta rettangolare molto estesa. All’interno mi pare di scorgere una torre e un campanile. Mi fanno pensare che forse era progettata come una cittadella autonoma, e magari dentro ci vivesse una piccola comunità o una famiglia nobiliare.
Ne rimango talmente affascinato che perdo una svolta, ma quando me ne accorgo decido di non tornare sui miei passi. Riuscirò facilmente a ricollegarmi più tardi, e non mi dispiace camminare un po’ di più del previsto oggi.
Nel frattempo la nebbia si è diradata, ma le nuvole sono livide e cariche.

Lungo il rettilineo asfaltato, incontro l’ennesimo cimitero in mezzo a campi spogli. Dev’essere di vecchissima data e in disuso da decenni. È piccolo, ma stranamente all’interno è pieno di alte piante. L’edera è ovunque e sembra se lo stia mangiando lentamente. Incuriosito, provo a intrufolarmi; sulle pareti c’è qualche scritta cretina e alcuni slogan satanisti. In mezzo a rovi, immondizia e resti di qualche pernottamento, inizio a provare un po’ di disagio: un mix di vecchie paure infantili, sensazioni inquietanti da fatti di cronaca nera e suspence spiccia, come nei film horror di pessima qualità. Esco sforzandomi di mantenere un certo contegno, come se qualcuno potesse vedermi, e una volta fuori tiro un sospiro di sollievo. Non pensavo di soffrire ancora di timori simili.

Incontro poi un’altra tenuta grande e affascinante, ma molto diversa dalla prima. Il muro di cinta è basso e permette più chiaramente di vedere all’interno. Qui ci sono addirittura due chiese e da protagonisti la fanno i mattoni a vista. Sul portale leggo: “Principato di Lucedio”. Senza grosse traccia di modernità, se non l’asfalto e i tralicci, sembra davvero di aver viaggiato un po’ nel tempo.

Pochi secondi e cominciano a cadere le prime gocce. È ora di sfoderare la mantella! Di fretta e furia spoglio lo zaino dove l’ho lasciata e provo a farmi trovare pronto in tempo, ma non tutto va nel modo migliore. Mi impiglio qua e là, sbaglio verso, qualcos’altro mi cade. La pioggia inizia già a infradiciarmi, ma nonostante tutto non mi agito troppo, e addirittura comincio a riderne tra me e me.
Un bell’acquazzone ancora mi mancava: sarà un altro tassello al grande puzzle che ho iniziato a comporre partendo per questo folle viaggio a piedi. Camminare col mio zaino in spalla mentre piove mi dà un senso di libertà grandissimo. Inaspettatamente, sono contento come un bambino.
La scrollata d’acqua non dura moltissimo ma lascia un sipario di nuvole scure su cui si disegna un fantastico arcobaleno, in equilibrio sul solito tappeto giallo delle risaie.

Le pedule con cui sono partito hanno un paio d’anni e sono in goretex, ma a quanto pare qualcosa non va, perché ho già i calzini zuppi. Ho potuto verificare anche la completa inutilità di uno dei miei acquisti pre-partenza: un paio di piccole ghette che avrebbero dovuto evitare il passaggio dell’acqua nei calzini. Scomodissime a mettersi e incapaci di restare in posizione per più di duecento metri, mi è bastato questo primo utilizzo per bocciarle del tutto.

La strada ora sale leggermente, tagliando a metà un bosco, oltre il quale trovo l’ennesimo piccolo cimitero. Da lì parte un sentiero per una certa chiesa, di cui da lontano avevo visto il tetto spuntare tra gli alberi. Lo seguo e la raggiungo. Immersa nella vegetazione, è diroccata e particolarmente tetra. Mi riparo sotto il portico mentre scende un altro scroscio.
Aspettando che smetta, mi scopro a pensare che viaggiare da solo per ore ogni giorno mi sta piacendo davvero all’inverosimile.

Finita la pioggia, torno sulla strada; il cielo si è aperto moltissimo. Scendo dalla collinetta e prendo una lunga svolta a destra. Mi aspetta una grandissima sorpresa: per la prima volta durante questo cammino vedo davanti a me le Alpi. Sono lontane, ma non è solo uno sfondo splendido. Io quelle montagne le dovrò raggiungere – a piedi! – e poi superarle, per andare molto più in là. Sono una schiera imponente e nobile, che in quel momento mi pare si sia presentata solo per me, per vedere che faccia ho, per spaventarmi un po’ e…per chiamarmi, eccome! Una voce muta, sottile, la loro, ma capace di far vibrare qualcosa nel petto, come le basse frequenze a certi concerti. Roba da far cadere le difese. Provo forse l’emozione più prorompente da quando sono partito. Mi ritrovo a piangere e ridere insieme: niente di nuovo, niente di meglio. Ci sono poche cose nella vita belle come questi momenti, in cui la massima felicità nasce dalla massima commozione.
Davanti a me ancora parecchi chilometri senza ostacoli alla vista. Potrò camminare verso quelle vette continuando a guardarle e a farmi guardare da loro. Ci parlerò, ma d’altronde sto iniziando a parlare con tutto. Sto benissimo.

Dopo un’ora e mezza arrivo a una rotonda con un monumento davvero originale: un uomo distinto, ritto in piedi, indica a un bambino davanti a sé un punto all’orizzonte. Mi avvicino per leggere la targa: la scultura è dedicata all’imprenditore agricolo, al suo impegno a favore di questa terra e alla trasmissione di valori, traguardi e tradizioni alle nuove generazioni. Un bel messaggio, non c’è che dire; non me lo sarei mai aspettato. La statua, però, mi strappa anche una risata perché a me dà l’impressione che l’uomo stia mandando in castigo il bambino, piuttosto che quello che ho letto.

Poco dopo attraverso il curioso borgo di Castell’Apertole. Tramite alcuni cartelli e un po’ di sana osservazione, capisco che ha anch’esso una storia lunga e interessante e che ora contiene al suo interno luoghi di ricezione turistica e non solo. Scambio due parole in allegria con un abitante, che mi confessa voler intraprendere anche lui un pellegrinaggio verso Santiago. Glielo auguro, sperando di riuscire a mia volta ad arrivarci.
Un centinaio di metri più in là, scorgo quello che in passato era il minuscolo cimitero di quel borgo. Stranamente lontano dalla strada, immerso tra i campi, ora è evidentemente abbandonato. Ha un fascino che ricorda il caro De Chirico. In poche ore stamattina ho già visto un sacco di luoghi originali, affascinanti e misteriosi allo stesso tempo.

È ora di pranzo. C’è un ristorante, ma è ancora chiuso; entro comunque. Avranno di certo qualcosa di pronto, penso; tanto a me non interessa consumare al tavolo, e nemmeno mangiare chissà che. Inaspettatamente, la mia presenza sembra uno scandalo e mi negano qualsiasi cosa; solo la cameriera che sta pulendo il cortile solidarizza un po’ e mi indica un altro posto poco più avanti, a Colombara, più alla mano e, soprattutto, aperto.
Le indicazioni sono tutte corrette; là ordino un piatto tipico della zona, povero ma non troppo: riso con fagioli e salame. Si chiama panissa. Mentre aspetto che me lo preparino, faccio un aperitivo con un buon rosso della casa e qualche stuzzicheria, su un tavolo all’aperto baciato dal sole.
Una volta ritirato il piatto d’asporto, vado a gustarmelo su una fresca panchina di roccia, all’ombra di un albero nel praticello di una chiesetta cinquanta metri più avanti. Alle mie spalle scorre un piccolo canale che rende tutto ancora più rilassante. Impagabile! …e per di più il piatto è squisito.
Ovviamente approfitto anche per un buon pisolino e poi, nonostante l’ora sia la meno adatta, torno a incamminarmi tra le risaie, col sole che picchia in testa come un martello.

Scopro anche un’abitudine del posto molto apprezzabile: scrivere frasi dedicate ai pellegrini su delle grandi pietre lungo il percorso. Riflettendoci, l’effetto è un po’ quello della Bacheca di Facebook, però all’antica.

Dopo meno di due ore sono a Lamporo, un piccolo paesino sviluppato per lungo sulle due rive di un piccolo canale. Al centro, l’unico grande incrocio, con la piazza e la chiesa. Dietro questa c’è l’ostello dove dormirò, di recente apertura. Lì, ad accogliermi trovo Giancarlo, altro hospitalero volontario. Ahimè, dopo pochi minuti, come già Pietro a Vercelli, anche lui mi riversa tutte le sue titubanze e le sue preoccupazioni per il lungo cammino che ho scelto di fare, facendosi anch’egli insistente in modo un po’ eccessivo. Per me è una giornata molto speciale e non me la sento di lasciarmi scaricare addosso ansie, pur ragionevoli, ma fondamentalmente inutili. La decisione è presa e i passi si interromperanno solo giunto alla meta o se verrò bloccato da eventi davvero irrisolvibili, punto. Ora tutto va bene, ed è tempo di godere di questa fortuna, non di torturarsi col peggio che potrebbe essere. Comunico quindi a Giancarlo che preferisco si interrompa, dopodichè vado a sistemarmi.

Durante le ore successive non resta traccia dell’impatto un po’ elettrico che abbiamo avuto, e finiamo col chiacchierare beatamente di tanti altri temi, tra cui alcuni aspetti riguardanti la sua tarda vocazione pellegrina. Mi racconta che ha lavorato tutta la vita come bancario, e solo dopo la pensione si è trasformato in un grande camminatore. I familiari hanno faticato a capire il valore che lui trova in questo genere di esperienze, e sembra che ancor oggi si domandino se sia impazzito.
È divertente ascoltarlo mentre ne parla, perché non sembra dispiacersi per questi fatti; camminare è diventata una cosa talmente bella e importante per lui, che nulla sembra poterlo scalfire.

Nel tardo pomeriggio scegliamo insieme cosa mangiare per cena; siamo solo io e lui.
Come Pietro a Vercelli, anche in questo caso è lui a occuparsi di cucinare. Prima o poi, mi piacerebbe vivere a mia volta questo genere di esperienza. Sembra si debba fare solo un brevissimo corso.
Festeggiamo sobriamente le mie prime due settimane di cammino. Tutto va per il meglio e la giornata finisce in piena serenità.

14_LamporoDownload

Categorie:

Italia, Piemonte
Info Racconto Extra
cammino di santiago - roberto pesenti

29/08 Vercelli – Ronsecco (VC)

(spogliatoi campo sportivo)
19km


In ostello anche la colazione è condivisa. Siamo tutti un po’ rintronati dalla sera prima, ma diventa comunque un altro momento cordiale che apprezzo particolarmente.
Guardiamo insieme le previsioni. Sembra che inizierà a piovere fra non molto.
Rimango stupito di essere l’unico a voler approfittare di questa parentesi senza pioggia per partire. Vedo gli altri prenderla con comodo, andare a prepararsi o mettersi a leggere, così finisce che me ne vado senza riuscire nemmeno a salutare diversi di loro.

Attraverso la piazza principale ringraziando il buon Cavour che, sul suo piedistallo, sembra indicarmi la via.
Uscito dalla città e in piena campagna, in corrispondenza di una svolta in mezzo ai campi, mi imbatto nel primo adesivo con l’indicazione esplicita per Santiago. È un’emozione mica da poco! Un semplice quadrato bianco con una freccia gialla nel mezzo, attaccato alla bell’e meglio su un palo della corrente qualsiasi. Pura poesia!

Un altro segno, in realtà, mi accompagna da quando cammino sulla Francigena: un simpatico pellegrino stilizzato, con bordone, bisaccia e mantello. Anche questo lo trovo sotto forma di adesivo, oppure su cartelli in metallo, o altre volte dipinto qua e là. Camminare come me in senso contrario significa avere alcune difficoltà nel trovarlo, ma godere della compagnia di questi segni resta impagabile.
È una cosa che ho scoperto sulla via per Matera. Laggiù se ne alternano diversi, ma poco importa: quando sei solo, a camminare in terre mai viste prima, la compagnia di quelle tracce è testimonianza di una premura concreta nei tuoi confronti. Anche un piccolo simbolo su un guardrail può essere capace di iniettare calore in un momento di smarrimento; ci rassicura, siamo sulla strada giusta, invita a fidarsi e non tradisce mai.

Il cielo è uggioso, ma le risaie m’incantano sempre di più, e in fondo è bello anche conoscerle con condizioni atmosferiche differenti; le combinazioni cromatiche cambiano, e anche le emozioni che si provano sono diverse. Sotto un pesante soffitto di nuvole, il giallo perde di luminosità, mentre il verde sembra sempre cavarsela in qualche strano modo.


È memorabile il passaggio presso il piccolo borgo di Lignana, dove vengo attratto da un gruppo di uomini fuori dal bar del paese, tra i quali mi accorgo esserci un viandante come me. Mi accorgo subito che ha una luce molto particolare negli occhi e un’allegria contagiosa. Si chiama Luca, ha almeno dieci anni più di me, è originario di Trieste ma partito dalla Francia. Lui sì che è un vero pellegrino: senza tenda (“per non diventare un orso da campeggio”, spiega), con cellulare ma senza scheda, in pieno e allegro affidamento. Ricerca riparo sempre nelle parrocchie. Mi racconta di aver imparato a non demordere anche quando sono chiuse, perché non di rado si trova una porta lasciata aperta, per sbaglio o per provvidenza. La notte passata, però, ha dovuto accontentarsi del portico della chiesa di fronte, perché il sagrestano gli ha rifiutato l’ospitalità, eppure lo dice con tanta allegria da essere contagioso.
Nella veranda del bar tiene banco, mentre si rolla una sigaretta di Pueblo. Dice che è al quarto caffè offertogli, e un po’ si nota. Indossa un cappello Panama e un abbigliamento per nulla tecnico o traspirante. Non che io stia viaggiando con capi particolarmente sofisticati, ma penso banalmente a quanto tempo debbano impiegare i suoi per asciugarsi dopo averli lavati. In ogni caso, è molto bello vedere un pellegrino vestito in quel modo; mi ricorda mio nonno quando andava in montagna.

Gli uomini attorno si dimostrano incredibilmente aperti nel confrontarsi con gli originali racconti di viaggio, e creano un clima di accoglienza palpabile. Mi fermo anch’io per un cappuccino e, presentandomi, rubo un po’ la scena a Luca. Lui non sembra dispiaciuto, però. Anzi, ne approfitta andando a mettersi in coda per il Comune o la posta, lì di fronte. I miei racconti fanno commuovere uno degli uomini, cosa che mi colpisce incredibilmente.
Arriva presto l’ora di ripartire. Il barista, mio omonimo, decide di offrirmi la brioche, e pure un nocino. Grande!
Prima di incamminarmi, raggiungo Luca per salutarlo, e gli confesso grande ammirazione per il suo approccio al pellegrinaggio. Lui, contentissimo per quelle mie parole, mi regala un rosario ed un santino con un angelo custode, quasi eccitato per la fede che lo anima.


Attraverso ancora una volta risaie molto belle. Di nuovo, pochissimi elementi in gioco e massima resa emotiva. Il cielo ha cominciato ad aprirsi. È piovuta solo qualche goccia oggi; le previsioni hanno sbagliato.


Arrivo a Ronsecco: paesino che trovo deserto, ma mi strappa un sorriso lo slogan che campeggia su un gigantesco poster: “Un paese da vivere!”. Non ho percorso molti chilometri, ma vorrei fermarmi qui, oggi. Il motivo può sembrare assurdo: la prima sillaba del nome di questo posto è la stessa del mio nome. Non ha molto senso scegliere sulla base di una banale assonanza, eppure è qualcosa che sembra davvero “chiamarmi” a restare.

Il Comune ha appena chiuso, mentre trovo la chiesa aperta. È dedicata a San Lorenzo, come quella di Bergamo dove tutto è iniziato. Non sono un cultore della devozione ai santi, ma non posso negare che una parte di me è rimasta legata all’immagine tradizionale del coro di eletti appollaiati tra le nuvole, che cala la propria protezione su chi ancora si barcamena in questo mondo. Con questo approccio più ludico che devoto, mi affido al santo finito sulla graticola, sperando che mi aiuti a trovare riparo per stanotte.

Entro nella parrocchia e piego a terra un ginocchio, poi l’altro; questo lo faccio ogni volta che trovo una chiesa aperta. È un gesto che ripeto senza scetticismo, e per me è cosa rara. Forse è così perché ci trovo un valore universale: in qualsiasi forma Dio esista, sento dentro me la convinzione che ci sia, che un principio unico e amorevole abbia originato e regga l’esistente e il suo infinito mistero. Inginocchiarmi è farne memoria, ammettermi piccola parte privilegiata, coinvolgere il corpo nell’esprimere gratitudine, pregare che la salute non mi abbandoni.

Dopo un attimo, inizia a suonare da poco lontano della musica latina a massimo volume. Sorrido stupito ed esco.
Viene dal cortile del baretto di fronte, ma ancora non vedo nessuno. Entro. Qualcuno c’è, invece, e sono subito ben accolto. In pochi minuti scopro che è gestito da una famiglia molto ampia. I veri responsabili sono Fabio e sua moglie, una coppia più giovane di me. Hanno un figlio e una figlia, e tutti gli altri componenti li aiutano.
Ovviamente pranzo lì, con delle ottime lasagne e del pollo a un prezzo onestissimo. Spiego chi sono e cosa sto facendo. Anche Fabio mi parla di sé, e anche con lui nasce un momento di condivisione toccante. Il culmine è quando mi confessa quanto ami sua moglie, che lo ha saputo “raccogliere da terra”, mi dice, e gli si bagnano gli occhi mentre lo racconta.
Mi spiega che il bar è un circolo Arci; lo hanno preso in gestione poco prima del lockdown. A causa delle chiusure forzate hanno rischiato che tutto andasse in fumo fin da subito, ma dice che la gente del paese si è dimostrata incredibilmente solidale, e con il loro aiuto stanno riuscendo a rialzarsi.
A riprova che fare del bene è contagioso, chiama direttamente il sindaco per chiedere se può aiutarmi per stanotte. Questi si conferma davvero gentile, e fa venire una persona a darmi le chiavi di uno spogliatoio del campetto dietro la chiesa. Grandioso!


Terminato il pranzo, chiedo se loro abbiano un timbro per la mia credenziale. Mi dicono di no, ma il padre di Fabio se ne inventa uno incredibilmente creativo. Con un pennarello colora la piccola tau che porta al collo e la preme sulla carta. Fa poi lo stesso con un tappo di plastica, per disegnare la corona esterna. Chapeau!
Li saluto e prometto tornerò anche per cena.

Passo tutto il pomeriggio a pulire e sistemare lo spogliatoio. Potrei viverla in maniera più spartana, ma sono fatto così, e oltretutto mi piace l’idea di lasciarlo più pulito di come l’ho trovato. È un minimo segno di gratitudine che forse qualcuno noterà, ma poco importa.
Dopo la doccia, spendo un po’ di tempo parlando con una delle cognate di Fabio, che ha portato il nipote a giocare lì di fianco.
Una volta andati loro, arrivano tre altri ragazzini. Sembrano molto incuriositi della mia presenza. Li saluto divertito e attacco bottone, approfittando di una rete di recinzione tra noi che mi fa sembrare forse meno minaccioso. Mi fanno domande sulla mia esperienza e rispondo con gioia. È la prima volta che mi capita di parlare del mio pellegrinaggio con dei bambini.

La sera torno al bar, come promesso. Fabio e la moglie sono fuori per un catering. Il papà e la mamma mi trattano benissimo, cucinando solo per me almeno tre etti di carbonara e della torta salata da portar via. Parlo molto con entrambi, e mi colpiscono per la loro umanità. Lui in particolare, così come ha fatto il figlio, mi racconta di vicende molto intime, eventi durissimi, che sarebbero veri e propri cataclismi per chiunque. Nonostante ciò, mi impressiona constatare quanto ancora riesca a trasmettere amorevolezza; penso che molti al suo posto si sarebbero induriti gravemente. Quando il discorso si sposta su temi più sociali, fa alcune affermazioni molto severe su cui non sono d’accordo, ma mi sento perfettamente a mio agio perché il suo sguardo, la sua espressività e le premure che ha per me e per i familiari continuano a parlarmi di un uomo dal cuore davvero buono. Forse anche questo è il caso, come spesso capita, che alcune ostinate asprezze si formano su grandi ferite. Non posso saperlo, ma è quello che sento. Quando arriva l’ora di andarmene, sceglie di farmi pagare una cifra minima, mandandomi a letto pieno e felice.

La notte succede qualcosa di brutto: alle tre dei giovanissimi ragazzi si ritrovano nel piazzale del campetto, a quindici metri da dove stavo dormendo. Uno urla come un pazzo, ce l’ha col mondo.  L’aggressività con cui sbraita fa gelare il sangue nelle vene. L’impressione è quella di una scena già vista qualche volta, da adolescente, quando alzavamo troppo il gomito e non sapevamo che farne di tutta l’inquietudine che portavamo dentro. La cosa, però, si prolunga moltissimo e la tensione in certi momenti è insopportabile, nonostante tutti tentino di calmarlo. Alla fine ci riescono e se ne vanno. Confesso di aver avuto un po’ paura nei momenti più accesi, ma soprattutto mi è rimasto addosso un profondo dispiacere per lui.

13_RonseccoDownload

Categorie:

Italia, Piemonte
Info Racconto Extra
cammino di santiago - roberto pesenti

28/08 Albonese – Vercelli

(Ospitale Sancti Eusebi)
30km

Ho dormito senza svegliarmi mai, cosa molto rara. Adriana, invece, deve aver passato una nottataccia, ma è invasa d’amore per i suoi cani sofferenti e accetta queste prove dando tutta sé stessa.

Fatta colazione e raccolta la mia roba, ci salutiamo sulla soglia, consapevoli e felici che il nostro sia stato un incontro pieno di intensa umanità. Io ancora una volta ho vestito i panni di colui che ha ricevuto, ma sto capendo sempre meglio che è fondamentale per imparare poi a restituire, quando la vita invertirà i ruoli.
Una volta in strada, con il ginocchio fasciato dal tutore e senza traccia del solito fastidio, avanzo con gli occhi lucidi. Può sembrare esagerato, ma è vera gioia, è gratitudine. Sento che la vita mi sta sostenendo.

Strisce bianche, disegnate da poco sull’asfalto nuovo, indicano la via con tutta la loro nitidezza. A entrambi i lati della strada, folte sponde erbose camuffano i canali di irrigazione. Oltre quelle soglie, si stendono gli immensi tappeti gialli delle risaie, con solo qualche albero a far da sentinella lungo i loro bordi.
Prima carta da zucchero, il cielo si lascia dipingere dall’aurora con pennellate sempre più calde, fino all’arrivo di un sole microscopico. Poco importa sia piccolo o grande, basta quel punto appena svegliatosi per acquerellare tutto il visibile, prima con un velo magenta e poi arancione.
Avanzo sul bordo della strada, continuando a fermarmi e girarmi verso quello spettacolo, per poi riprendere la rotta e ricadere poco dopo nella tentazione di un ultimo sguardo. Per quanto sembri assurdo, rimango “imprigionato” per non meno di un quarto d’ora in questa buffa coreografia dello stupore.

A Nicorvo, primo paese dopo Albonese torno a solcare la Francigena.
Condotto tra i campi, incontro stormi di cicogne e di altri uccelli dai corpi sinuosi, con strani becchi neri ricurvi. Mi scervello sui motori di ricerca, convinto di averli già visti da qualche parte. Avevo ragione: sono Ibis sacri, proprio quelli egiziani, e, per la precisione, il profilo che ricordavo era quello del dio Thot. Sembra abitino anche da queste parti da pochi decenni, e che le risaie siano una straordinaria oasi di biodiversità aviaria. Ora che lo so, me ne accorgo sempre di più.

A Robbio mi fermo per una pausa all’ombra di alcuni alberi, di fianco a una antica chiesetta dedicata a San Pietro che mi scoccia molto trovare chiusa.
Verso l’uscita del paese, ne trovo un’altra: come la prima è vecchia di molti secoli e tutta in mattoni, cosa frequente da queste parti, ma ha in comune anche il fatto di essere serrata. Pazienza.

La fatica si fa sentire sempre più, mentre macino chilometri nell’ultima campagna lombarda. Qualche pioppeto e alcuni tratti meno scontati regalano un po’ di varietà al paesaggio, e la torre merlata di Palestro diventa un riferimento visuale fondamentale per concentrare tutte le energie che mi restano. È poco gratificante scoprire poi che non è un luogo visitabile, ma non mancano cose più importanti, come trovare una fontana e un posto dove fermarmi a riposare e mangiare qualcosa.
Lascio per un attimo il percorso ed entro in paese. Davanti alla chiesa incontro Maurizio, un pellegrino originario della Val di Susa. Scoprendo che sono diretto proprio lá, mi anticipa che rimarrò incantato dalla bellezza della sua terra. Ottima notizia! Tutto mi sta piacendo finora, ma affrontare la lenta salita verso le Alpi è qualcosa che aspetto particolarmente.
Lo lascio proseguire e vado a fare una siesta in un parco per bambini. Le panchine non sono tante e, visto che su una mi ci voglio sdraiare, attacco bottone per qualche istante con un nonno che vigila la nipotina, in modo da comunicare che sono innocuo e solo di passaggio. Forse mi faccio troppi problemi, ma in fondo le persone sembrano rassicurate quando mi presento loro, e a volte si fanno anche molto affabili, il che non è cosa da poco.

Lasciare Palestro corrisponde anche a superare il confine lombardo-piemontese, dopo quasi 300 km di cammino. Ho oltrepassato di gran lunga la distanza percorsa in Puglia a febbraio. Ricordo bene, allora, come già quei 190 km mi sembrassero un’infinità prima di partire. Guarda invece la vita che sorprese! Ovviamente anche la psiche è gratificata da questo traguardo. Non è solo una questione numerica, ma di rafforzamento della consapevolezza di potercela fare. Bellissime sensazioni!

Resto incantato dalle enormi risaie prima di Vercelli. La particolarità è il punto di vista dato dal sentiero che sto percorrendo, alcuni metri più alto dei campi. Mi permette di vedere ancora meglio quella distesa brillante gialla e verde, e tuffarmici con gli occhi.
All’orizzonte, vedo avvicinarsi man mano il profilo della città. Sono emozionato perché è uno snodo storicamente importantissimo per la Via Francigena. Qui, infatti, si uniscono due rami fondamentali: quello che arriva dal Gran San Bernardo e quello che invece si collega al valico del Monginevro, dove sono diretto io.

Gli ultimi chilometri sono un po’ frustranti: prima perché perdo una deviazione, poi a causa del dover camminare ai bordi di una strada molto trafficata. Seguendola, però, supero il fiume Sesia e finalemnte arrivo a muovere i primi passi in città.
Dopo non molto, l’inizio della pavimentazione lastricata introduce al centro storico, fino a Piazza Cavour. C’è poca gente e molte attività sono chiuse, ma riesco comunque a trovare un’ottima gelateria aperta e premiarmi per la trentina di chilometri camminati oggi. Sono stanco, ma il ginocchio è ancora in forma ed è come aver vinto alla lotteria.

Riconoscendo la mia inequivocabile tenuta, un passante mi indirizza spontaneamente al luogo principe dell’accoglienza pellegrina qui a Vercelli: l’Hospitale Sancti Eusebi. L’hospitalero si chiama Pietro, di Ancona, ed è all’ultimo dei suoi quattordici giorni di servizio volontario. Fin dalle prime battute, faccio conoscenza coi suoi modi rudi e la sua espressione perennemente accigliata, ma se è lì non c’è dubbio: sotto quella scorza si nasconde un animo caldo e generoso.
Questo bel pensiero inciampa per un attimo in qualche sua affermazione molto irruenta con cui dá per spacciato il mio progetto di raggiungere Santiago de Compostela. Dice di essere in stretto contatto con la rete di hospitaleros spagnoli e quindi non c’è speranza che io riesca ad arrivarci. È indiscutibile l’autorevolezza delle sue fonti, ma anch’io ne ho di dirette della Spagna e sono decisamente meno rigide nel giudicare la fattibilità del Cammino, per lo meno ora. Mi dice di fare pure come voglio, e che vedremo poi. Gli faccio intendere che gradirei fosse meno insolente, tentando di difendere almeno un po’ del buon umore con cui sono arrivato.

Mi accompagna alla stanza, che condivido con un giovanissimo comasco, Samuele. Ha vent’anni e sta andando in bici verso il Gran San Bernardo, per completare l’unica parte di Francigena che non era riuscito a percorrere nel tour precedente. Faccio una doccia e, tornato, ci conosciamo meglio. Scopro una persona davvero in gamba: sensibile, umile e intelligente. Nonostante l’età, ha già sofferto un lutto molto importante, ma proprio nel modo in cui lo sento parlare anche di quello trovo la conferma delle mie impressioni positive. È un gran piacere averlo incontrato.

Prima che sia troppo tardi, esco per comprare qualcosa e visitare altri angoli della città. La cosa che mi resta più impressa è la Basilica di Sant’Andrea, con il bel sagrato reticolato e la sua facciata grigio-verde che stacca moltissimo dal colore dei due campanili che la coronano: un’armonia inedita per me. Seppur le linee appartengano al passato, vivo la sensazione di essere di fronte a una costruzione moderna, non mi è mai capitato. Tutt’attorno, altri edifici rendono quell’area particolarmente elegante, e in mezzo alla piazza svettano alcuni alberi giganteschi. Vorrei tantissimo andare ad abbracciarne uno, ma rinuncio, imbarazzato da una cricca di adolescenti lì vicino.
Mi lascia un bel ricordo anche il Duomo, la cui facciata mi ricorda quella di San Giovanni in Laterano, ma in piccolo. Chissà se è un’eresia o c’è un fondo di veritá in questo abbinamento.
Nel complesso, a questa città riconosco grande eleganza, ma per qualche motivo non riesce a incantarmi. È come se mancasse di vitalità. Sarei molto felice di tornarci quando questa pandemia finirà e darle una seconda chance.

Stasera cenerò in ostello, e cucinerà proprio Pietro. Avendo capito che ci sono diversi altri ospiti, compro una bottiglia di buon vino.
Una volta tornato, faccio conoscenza con il resto della truppa. Ci sono tre ciclo-pellegrini: un irlandese, Tom, e due dall’Emilia-Romagna. Questi hanno avuto la mia stessa idea, portando a loro volta un gran bottiglione di rosso. Poi ci sono uno svizzero e un italiano a piedi: sono partiti divisi, ma stanno provando a proseguire insieme.
Siamo tutti maschi. Non è un privilegio né un problema: semplicemente ci godiamo l’atmosfera da ciurma piratesca, deliziati dalla cucina del nostro hospitalero e dal vino che scorre come niente fosse.
Età, direzioni, lingue e mezzi differenti, poco importa. Anzi, sembra che le differenze attorno a questa tavola alimentino la gioia della nostra festa.
Davvero non poteva esserci modo migliore di celebrare una tappa così significativa!

12_VercelliDownload

Categorie:

Italia, Piemonte